Biografia

Renato Fucini nacque l’8 aprile 1843 a Monterotondo Marittimo, in provincia di Grosseto, da David e Giovanna Nardi. A causa della professione del padre, medico della Commissione Sanitaria governativa incaricato per la cura delle febbri malariche in Maremma dal governo granducale (ma anche mazziniano e patriota, volontario nella rivoluzione del 1848), fu costretto insieme alla famiglia a continui spostamenti, che gli consentirono di conoscere numerosi luoghi della Toscana (Campiglia Marittima, Livorno, Vinci, Dianella, Empoli).

All’Università di Pisa si dedicò agli studi di agraria e ottenne nel 1863 la licenza di agronomo. Fu aiuto ingegnere a Firenze (allora capitale d’Italia) e più tardi ispettore scolastico, due professioni che gli consentirono di percorrere in lungo e in largo la campagna toscana.

Esordì con “Cento sonetti in vernacolo pisano”, pubblicati nel 1872 con lo pseudonimo-anagramma di Neri Tanfucio. Seguirono “Cinquanta nuovi sonetti” (1881). Si tratta per lo più di brevi dialoghi tra popolani, conditi di battute e modi proverbiali.

Affiora la fresca vena bozzettistica che troverà più compiuta espressione in due popolari raccolte di racconti: “Le veglie di Neri” (1884) e “All’aria aperta” (1887). Qui le macchiette, i personaggi bizzarri, divertenti o patetici, sono ambientati in un paesaggio arioso e essenziale che ricorda quello dei contemporanei pittori macchiaioli, con i quali ebbe rapporti di amicizia. Oltre a queste cose Fucini ha lasciato anche il reportage giornalistico “Napoli a occhio nudo” (1878), e i volumi di ricordi “Acqua passata” e “Foglie al vento”, usciti postumi nel 1921.

Dopo aver ricevuto numerose onorificenze (fu anche Accademico della Crusca) e riconoscimenti da parte della critica contemporanea (Edmondo De Amicis, Benedetto Croce e altri), Fucini morì a Empoli il 25 febbraio del 1921.

La Toscana e la Maremma di Fucini

Fucini è stato per un lungo periodo – dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Sessanta del Novecento – lo scrittore toscano per eccellenza, le cui opere erano presenti in ogni casa della borghesia toscana e italiana a rappresentare l’immagine stereotipa delle campagne maremmane e non solo. I suoi racconti hanno contribuito a fissare una certa immagine della Toscana – quella dei cacciatori e dei contadini arguti, delle feste popolari e della malaria – universalmente accettata e ormai talmente radicata nell’immaginario di tutti gli italiani, i quali oggi possono ancora trovarne le tracce nel cinema di molti toscani e non solo.

Come ha scritto Carlo Cassola nella sua prefazione alle “Veglie di Neri”:

L’intera Toscana era diventata sua. Bastava un nome toscano, bastava la minima inflessione dialettale, perché quella produzione letteraria fosse bollata come fuciniana. E ancora: il successo di Fucini è spiegabilissimo. Egli mise sotto gli occhi dei suoi conterranei lo strato più superficiale, quindi più evidente della realtà toscana. L’approvazione dei non toscani era dovuta allo stesso motivo. Si sa bene che agli stranieri salta subito agli occhi il folclore, il pittoresco, il colore locale. Per un non napoletano Napoli è la città delle canzonette e dei panni stesi a asciugare fuor di finestra. Per un non toscano la Toscana è la terra delle burle, delle cacce, delle veglie: di tutte le cose, insomma, che si trovano in Fucini.

E anche la Maremma, in particolare, è stata per lunghi decenni e in parte è ancora quella che Fucini ha voluto e saputo fissare nell’immaginazione di tutti: una terra arcaica, caratterizzata dalla malaria e della miseria, verso la quale ci si avvia carichi di speranza e paura per tornare – i più fortunati – malati e cadenti.