Archivio Sonetti

‘R pappavero

Ovvero omaggio a De Andrè
“Non è la rosa,non è il tulipano,ma sono mille papaveri rossi.”…

‘Un è ‘n fiore di nobil lignaggio,
‘un è lla rosa,nè ‘r tulipano;
macchia di rosso ‘e ‘ampi der grano
tutta ll’estate-a rifassi da Maggio.

Guardalo bene,ner fosso,sur poggio,
coglilo, tienilo drent’alla mano;
ha ‘r color der sangue,sangue-umano,
è ‘n segno di morte e coraggio,

der sangue versato-in tante battaglie
da giovin sordati a più non posso.
Tempo di giugno1-‘e ri’ordi raccoglie:

mett’ar petto ‘n pappavero rosso,
sentirai grida da facce vermiglie,
che metteranno ‘e brividi  addosso.

‘N abbraccio…

Tutti ll’anni per me è ‘n appuntamento,

indà’ dar pioppo giù ‘n fondo alla valle.

Ma oggi… so’ stanco, ‘rivà’ là è un tormento,

un afa!… Ér grano ha già le spighe gialle,

sotto ar sole, ‘un c’è ‘n alito di vento,

c’è rosolacci, danzan’ le farfalle,

c’è ‘na cïala… ma mi paian’ cento

con quér frinì’ da ghietro alle mi’ spalle…

 

Ér prossim’anno ‘hissà se ce la faccio

a rivedé’ ér mi mondo, la radura…

Ormai lo so, son preso da un malaccio,

 

ciò pòo da illudemmi, ‘un c’è la ‘ura!…

Guardo ér mi’ pioppo… poi gni do ‘n abbraccio…

ma vorrei abbraccià’ tutta la natura.

(senza) Il mio gatto

Gli alberi spogli alla finestra
nelle serate fredde e ventose
mutano in profumi di ginestra,
gli struscichii in morbide rose.

Fusa e miagolii d’orchestra,
lambiti  e lusinghe copiose
e ricordi che la tristezza mostra
di lacrime ancora speranzose.

La morte ruba anche i germogli,
in questa sera di tristi stelle
e di pianti scritti sui fogli.

Ciò che semini sempre raccogli!
Le colpe sono pece sulla pelle,
brucia anche quando  la  togli.

 

A Cupido

E’ un oceano d’acqua senza sale
la donna che il mio cuore tiene in mano
è un alito di vento, un uragano,
è sole che risplende, è temporale.

In testa ho come un canto di cicale
che mi tormenta e mi distrugge piano
quello che provo, certo, non è umano
però mi piace e forse mi è vitale.

Sono impazzito? Cosa posso fare?
Vorrei aprire nel suo petto un varco,
rapirla e poi portarla nel mio nido.

Prego ogni giorno te, o Dio Cupido,
perché la rossa freccia del tuo arco
possa colpirla e farla innamorare!

A voi poeti

S’io poesia fossi mi annoierei

nell’essere in eterno quella sponda

che sola attende schiumosa l’onda

il cui suono avessi orecchie udirei

Di vivere su un foglio mi dolerei

se non fosse di pensiero profonda

la parola che vola vagabonda

nel cielo blu che avessi occhi guarderei

Ascoltate ora, o poeti, il lamento

che nasce dal vostro scrivere versi

che muoiono come pianto nel vento

E ridateci tutti i giorni persi

a cercar sulle sillabe l’accento

e donateci infiniti universi

 

A volo d’uccello

Come fusse ‘na stampa der Fambrini (1)

vorrei dar monte indà’ sulla mi’ Pisa

in volo ‘ome fanno l’uccellini

eppoi giù, giù co’ ‘na rotta precisa

 

volà’ sopra le vie e su’ ‘ giardini

vedé’ dall’Arno la bandiera lisa

tutta palle e sur ponte e’ celatini

coll’ermo e la ‘orazza per divisa…

 

Se fusse ‘vella stampa… ma nun gliè:

oggi gliè ‘n ber casino la città

e c’è ‘r Kebab ar posto de’ ‘affè!

 

Anco se ‘r bailamme nun mi va

la mi’ tristezza me la tengo ‘n me.

Ma ‘n paio d’ali chiedo pé’ scappà’!

 

 

– 1)  Celebre  incisore del settecento, che tanto ha illustrato Pisa.

ABBA’, ALLAH

Ha Jasmine sì tonde orbite nere,
è bella in stelle notte di Isrā e Mi΄raj,
ridon soavi le mani leggere
di Guerrouane, com’io profetai.
Un dì per gioco in chiesa la portai:
“Gesù chiama Abbà Allah!”, piacere
numinoso di pace tra i rosai,
prima che ci schiacciasse il mal potere.
Un dì d’autunno l’empio animal odioso,
le guance impallidì a Jasmine dolce.
O sera o città, chi disse: “Talithà”?
E Tu, chi sei, Tu?, Gesù, Abbà, Allah…
Beva Zemzem o Siloè, Tu focoso
dì “Va’”. “Shemà”, che l’anima ci molce.

Addii

É sempre freddo nelle buie sere,m
non trovan pace i viandanti rari,
si temono, stazionando, i binari
per evitare le parole sincere.

Tra le rotaie non crescono fiori
perchè il sole non ama l’acciaio
e non serve rievocar il rosaio,
nascondendo fra gli inganni i dolori.

Partito il treno s’è ancor più mesti
resta a terra solitario il domani,
un cupo inverno avanza per chi resta.

Ma chi rimane rimpiange la festa,
anela con gioia a stringer le mani,
vagheggiando all’amore che si desti.

 

Adornami le braccia

Adornami le braccia
dei doni incalcolabili
di un amore eterno e infinito
come l’indissolubile
ciclo vitale

Fammi girare
senza vertigine
intorno al suo universo
come la terra fa
instancabile col sole

Lasciami entrare
nel suo cerchio esclusivo
come per un semplice
tuffo
da uno scoglio

Permettimi di scoprire
l’incanto e l’incantesimo
per cui tutto appare possibile
e l’impotenza e il silenzio
diventano forza e musica

E così le fragilità le mancanze
le povertà umane
si frantumano e dissolvono
si perdono e scompaiono
ignare e dimenticate

Oltre le scintille divine
dell’amore eterno e infinito.

 

Aiutami

Nel mio corpo è sbocciato il fior del male,
infocato, funesto,  prepotente.
Non rispetta né amore né morale;
invadere mi vuole fibre e mente.

Mi ghigna innanzi, orrendo carnevale
che in me vuole ridurre tutto in niente.
Ma non voglio aspettare il mio finale
ché a morte sta colpendo un innocente.

La mia paura ora a fuggir m’induce
cercando scampo a quel fiorir funesto.
Ma il fiore mi persegue sordo e truce.

Armanda mia, al fianco tuo m’arresto.
la tua mano al sicuro mi conduce?
S’oscura il fiore e tu sei la mia luce.

Alessandro

Così ti trovo perduto al punto
che potresti esser solo nell’estasi
d’un’altra prima idea venuta
senza progetto e senza intento.

Hai accolto il genio in sosta,
si è riposato nella tua testa,
ora percorre una nuova strada
verso il polso, le dita, la carta.

Col respiro contratto ti osservo
mentre la tua anima si fa atto
e mi chiedo a che ti servo

se non sono dell’etere che muove
dentro te l’istinto più elevato
né il grossolano amore.

Allo specchio

Amo la rima
eppur mi lascio andare
al ritmo che decidon le parole,
la mia unica prole.

Bambine irriverenti
che rompono lo specchio in cui mi vedo
stravolgono i ritratti del mio credo.

Mi chiedo:
davvero sono io quella creatura
che scambia il coraggio per paura?
Colei che mette in ordine la stiva
per ritornare a galla un po’ più viva?

Si affaccia un sorriso alla mia bocca
lo sbatter delle ciglia che rintocca,
perché se una parola è stata scritta
la strada che era storta segue dritta.

È come se nel buio che ti offende
ci fosse una luce che si accende.

Mi dice la parola appena nata
con aria indulgente e innamorata:
il pensiero che sul foglio vola
se tu lo scrivi non sarai più sola.

Alterigia

L’eroe che interpreti
partorisce la tua angoscia,
tutte le tue belle sculture di una sera,
cosa ti lasciano?
Appassisce in fretta il viale alberato
della tua gestualità,
il tuo odio efebico
come il tuo imbarazzato amore.

Amore sine poena

Qualor  ritornasse il divin  poeta
A visitare dei perduti il regno,
Direbbe d’ altri   e novelli peccata
Dei quali avrebbe rinnovato sdegno.

Non più rivedrebbe  focosi amanti
Ire allo sbando per pagare pegno,
Ma  uomini e donne soli e vaganti,
Anime ove l’amore non ha segno.

Molto è mutato e manca l’attesa,
Connessi sempre  nell’aer trionfanti,
L’amor nulla  più costa e nulla pesa.

Non v’è legame che  a lungo perduri
Non più sospiri né lacrime e pianti,
Aggiorni il profilo e altro non curi.

Austero concentrato di falene

E quell’austero concentrare di falene,
pupillabisso di pianeti naufragati
nello scalo delle iridi violacee
a puntofisso, rimarginanti attese,
era solo parziale posizione di lunari capovolti,
e antichiese e schiene di risvolti,
sintesi esegetica di periodi e frese
e tibie attorno a bottiglie verdi
in abbandono,
il buiobalena leva l’ancora oltre i denti torti
ad ultrasuono, sul biancheggiare di breviari rotti,
stai serena che nessuno ti raggiungerà
oltre gli sbotti d’uggia delle mareggiate,
oltre la dinamica a sfere roteanti delle coste,
nessuno mai verrà a devastare il muro,
ma erano sere che pensavo a me,
anticadavere tra tanti
dentro fragranti villaggi di polene senza mostre,
oltre il sentiero scosceso delle iene,
nel verde, ad ascoltare il silenzio duro dato
dall’austero concentrato di falene.

 

 

Avrei sentito la traccia piccante

Avrei sentito la traccia piccante
delle spezia robusta nel sugo del dolce
che ogni giorni mi lasci, che io mangio distante,
centellinando ogni grano, ripensandoti a scorze.

Al contrario, fantastico di briciole minute, croccanti
spumeggianti in aria, in aria svanite
se mi lasciassi, teso e convinto, con le braccia in avanti
in uno sfracellio rubizzo, e , semplicemente, le cose sarebbero finite.

Quella risposta che io cerco, cerco molto,
che poi dico di afferrare, di quando in quando,
è gelida e infantile come un quarzo.

Per  questo sono certo che al freddo di dicembre
potrei opporre quel bruciore salato di sempre
di cui in fondo, in fondo, sono fatto.

 

Beat

Quando tutto è spento,
quando c’è il silenzio,
ti penso.
Uno scatto fisso,
odio amore misto,
ti sento.
Ancora nel tempo,
come acqua vento,
ti detesto.
Ma è nella notte,
che il cuore batte,
si sente.

Bianco

Bianco, se piango, o semplice stupore;
oppure intenso sguardo che distoglie,
abbaglio della notte che si scioglie
d’inverno, bacio freddo di vapore.

Bianco, se dormo, luce dalla strada,
o squillo del mattino che mi sveglia,
lama che acceca il sonno, prima veglia,
d’estate, quando il gelo si riposa.

Bianco universo, stanco, vuoto, intenso
dubbio, che forse esiste pur qualcosa
o forse sono io che la nascondo.

E tu candido bianco appari immenso
a ricordare un Dio che a volte posa
lo sguardo suo dal cielo verso il mondo.

 

Caducità estive

Riverbero di sole sull’asfalto
abbaglia l’occhio che difesa cerca,
guizza dietr’un sasso la lucerta,
incerto l’aquilone vola in alto
mentre l’onda ratta col suo salto
infrange dei fanciulli attese sacre,
abbatte l’ultimo castello, alacre
frutto d’ingenuo zelo, l’assalto
è cieco distruttore. Sento odore
salmastro dacché spumeggiano l’onde
e lavano invano anche quel dolore.
Vibrando le cicali tra le fronde
ombrose friniscon, ma ormai logore
taccion giacché il sole già s’asconde.

Cadute

Chi non è mai caduto, nella vita?

ma niente drammi o mortificazioni,

perché in fondo uno sbaglio, una ferita,

qualche ricordo, un po’ di escoriazioni

-di pelle o di emozioni- anche brucianti,

possono pure ben rimarginare.

Basta che, senza il graffio di rimpianti

a riaprire memorie sempre amare,

senza gravare il peso dell’errore

con l’eco di rimorsi e di lamenti

tanto pungenti, troppo logoranti,

sappiam trovare in noi, nel nostro cuore,

nella fede e nei nostri sentimenti,

la forza per rialzarci e andare avanti

Canto dell’amore negato (Cesare Pavese a Constance)

«L’ho creata dal fondo di tutte le cose

     che mi sono più care, e non riesco a comprenderla»

Pavese, Incontro

 

 

Le tue mani hanno sentieri segreti,

valli profonde come l’alto mare,

segnali di sconosciuti   alfabeti

che non riuscirò giammai a decifrare,

 

le tue mani sono intrecci di reti

intricate inabissate nel mare,

le tue mani sono boschi irrequieti

in cui svaniscono le mïe care

 

esplorazioni di terre ridenti,

e la ricerca di aperti orizzonti,

come lontani e grandissimi vènti,

 

sono balenio di sempre nascenti

miraggi di irraggiungibili fonti

di fresche e serene acque lucenti.

 

Canzone di Serenella

Ruscelletto che sussurra,
fronda fresca che stormisce
da lor nacqui la stagione
in che il bosco rifiorisce.

Serenella è il nome mio
che mi diede un giorno il vento
che spirava denso e caldo
nel meriggio sonnolento.

Gli uccelletti spensierati
dei miei giochi sono amici
e se canto la mia storia
con me cantano felici.

Quando il cielo si scolora
nella fredda notte nera
mi addormento insieme ai fiori
per sognare primavera.

Finché ancor sorride il sole
e rugiada fresca beve
e mi sveglia dolcemente
dal mio sonno lieve lieve.

Chiedere

Chiedere al sole

di riscaldare

il mio malandato cuore,

per riscoprire

un nuovo e più

pulito amore che,

non mi faccia soffrire

ne mai imbestialito redarguire.

Chiedere al sole pulizia

nei sentimenti,

per non più feroci

ed anche malati giuramenti…

Coerenza

Ha senso subire l’ostinato presente

o riviverlo, ostile estraneo, a tratti,

nel mio dolor d’angoscia cosciente,

con occhi da disillusione esterrefatti,

 

per scoprire poi, nel freddo niente,

dell’inutil mia coerenza i misfatti?

L’illusione sostenuta eroicamente

si fa larva languente, eco di ricatti.

 

La confessione chiede assoluzione,

ogni colpa mite perdono implora:

così, nel buio dell’assuefazione,

 

inattesa, flebile, una luce riaffiora.

Dell’animo accolgo la distensione,

se tutto, benevolmente, trascolora.

 

Come in un dolce sonno

Bella m’appare nella visione,
come la vidi in tempi giulivi,
l’animo si turba di passione
ed evoca ricordi sempre vivi.

Era graziosa e gioconda,
l’aureo crine splendente,
come la cresta dell’onda
sotto il bel sole fulgente.

I suoi sguardi furtivi e ridenti
accesero il palpitante cuore,
dardi improvvisi e ardenti.

Come in un dolce sogno fu mia,
breve fremito di segreto amore
che un soffio di zefiro portò via.

Contemporanea

La spiaggia su cui vado è uguale
non ci sono alghe o conchiglie
solo cocci e vetri di bottiglie
e in fondo non è poi troppo male

I sorrisi – quelli da ospedale
che ho imparato nelle guerriglie –
i rimpianti – che ho alle caviglie
d’un benessere dittatoriale –

li abbandono gettandoli dietro,
come sabbia trascinata dal vento,
come foglie d’un ramo spezzato

vado scalzo sui cocci di vetro,
sono rabbia di antico lamento,
sono scabbia d’un tempo malato.

Copacabana, ed io

Sono arrivata a Rio senza visto…

Qui è diverso, è diversa la legge.

Alla fine tante cose ho scoperto,

ho visto il Redentore, il suo volto,

il Pão de Açúcar, Botafogo, il porto.

La samba, la gioia, ho vissuto il sole

son venuta qui sperando di amare,

ma le mie esperienze son state amare.

Si, ho conosciuto persone sole.

Mi son sentita in trappola. Ne porto

i segni sul corpo, nel cuore, sul volto…

Ma dopo la pioggia il cielo scoperto

sono indescrivibili. A chi legge:

io sono felice perché l’ho visto.

Cosa direbbe Erasmo?

mi alleo con te inesauribile di fiori
mi alleo in pace bellezza mille ideali
di te serbiamo miti antichi nei cuori
e come allora sull’isola candide ali

ancora c’inebriano ad onta dei mali
il profumo del croco e d’Esiodo i tori
del rapsodo cieco i sagaci pensieri
le voci di Profeti e i divini Evangeli

al capo sii corona con care radici
di albero della vita le alate fronde
in una nuova era di popoli amici

offri bene, copiosi doni preservaci
nei moti liberi di menti profonde
giorni e giorni fai circolare pacifici

Costiera Amalfitana

Sale su questo tratturo di costiera e non fatica
quest’aria calda che profuma di agrumi e di mare:
ti fa camminare piano, sotto una pergola antica
ove tra fioriture di limoni vibrano insetti a impollinare…

Scompiglia un garbato vento la frasca degli ulivi
che dal vecchio amico si fanno accarezzare
con movimenti ripetuti e lenti che li fa sentire vivi.

Scende la sera sulle case di bianco e di sasso
anche le luci da sopra il monte si fanno brillanti
come le onde che schiumano alla luna da basso
vestendo di nuove tinte gli sguardi degli amanti.

Le musiche di festa e di danze si fanno richiamo
anche per noi che a questo mare ci siamo venduti
confinando le brume di pianura in ricordo lontano…

Decrescita felice (A Serge Latouche e al MDF )

Va contro il malinteso volontario
che taccia d’anelare anacronistico
crescita zero e stato stazionario
– arresto all’antro  con afflato mistico.

E’ il mondo che precipita al sudario!
Se è cieco il vico al calcolo balistico
stallo di retroguardia è necessario
per un futuro in testa  – e sillogistico.

Dismisurata corsa al materiale
crudele sfida il tempo e la memoria
spazio al cemento e al circolo caudale.

Decrescita felice erta agonale
sotto la china morde come noria
l’ultima scoria al rivolo esiziale.

Dell’amore e di altre sventure

Il giorno che ti ho visto, era di sera
e me ne stavo in piazza spensierata;
le sue dita di pesca, innamorata
spargeva intorno già la primavera.
Tu stavi fiero in groppa alla Gilera
e mi hai bruciato il cuor con una occhiata:
cercavo di non fare la sfaccciata
ma ti ho subito amato, son sincera.
Quale pianeta intorno al sole ardente
o come una stellina tramortita
fra mille, vado sconsolatamente
cercando la tua luce. Son finita
là dove il cosmo si dissolve in niente;
Volano i giorni come paglia trita.

Democrazia

Se sol’ uno comanda è Monarchia:
unico volere quello del sire.
È governo di pochi l’Oligarchia,
con tutti gli altri a ubbidire;
quando eccede diventa Tirannia:
soprusi e danni a non finire!
Potere al popolo, Democrazia:
questo sì! è meglio. Lasciami dire:
ogni cittadino vota e sceglie
chi lo rappresenta e lo governa,
chi fa ogni bene e nessun male!
Ma… se ci si sbaglia e si presceglie
chi arraffa, imbroglia, ci squinterna….
Allora il disastro è totale!

Demoni

Riesco a percepire
un vuoto smisurato
che voi chiamate lutto
e che mi uccide dentro,
poi stermina sorrisi
cercando di rapirmi.
Eppure sono vivo,
scampato a strade impervie,
segnato ma mai domo,
dopo una lunga lotta
che ha vinto i miei fantasmi.
Le lacrime che bevo
mi furono avversarie,
per mesi, giorni e anni
sembravano fuggire,
ed ora sono qui,
mi scorrono sul volto,
mi dicono parole
e bagnano il mio cuore.
E se mi volto indietro
è per testimoniare
che è stato un bel cammino
scoprire il mio me stesso.
Ma ora io lo so che
i demoni bastardi
che tengono il tuo laccio,
ti serrano le braccia
non posso eliminarli,
è tua la lotta, il fato,
il cuore e la passione.
Ti possano guidare
assieme alla tristezza
di tutto questo tempo,
di un letto così vuoto,
le immagini radiose
dei quadri di Van Gogh,
di un principe e una rosa,
di un film che non finisci
e di tutti i caffè
che non hai più bevuto.

Di Giugno gran riposo noi bramiamo

Di Giugno gran riposo noi bramiamo
nell’afa del solstizio che martella
di corsa noi partiamo da Milano
a Roma poi imbocchiamo la bretella.

Affranti e disperati in fila andiamo
sia che in città che verso Spiaggia Bella
e litri di gassosa poi beviamo
sperando di sanare le cervella.

Sapreste dirmi se ha davvero un senso
quel  gran fuggire ancora contro al tempo
che questa vita un giorno ci ha donato?

Non voglio più sentirmi un can braccato
io spero torni ancora quel beltempo
e tolga a questa vita il suo nonsenso.

 

Diluvio univerbale

Piovono dentro ventotto lettere
“Qual’è il tuo nome, gran meraviglia?”
Ma le mie labbra ne fan gozzoviglia
E le trattengo e non so dove mettere

Undici sillabe fan capolino
“Ehi tu bellezza stasera che fai?”
Ma l’eleganza mi dice “sia mai!!”
Meglio qualcosa che sia più carino

Ora mi guarda e profuma di sole,
ora sorride con occhi di miele
Lei si avvicina, mi sfiora un pensiero

Frullo discorsi, ma niente davvero,
Al sentimento rimango fedele
ma vince un “Baciami”  su mille parole

Dolce orecchio, accogli le giuste lodi

Dolce orecchio, accogli le giuste lodi

“Le braccia fresche, gli eleganti modi”

Per tutto questo e quant’altro ancor odi;

Contemplati insieme a noi e con noi godi!

 

Splendido occhio, il severo tempo preme

E al sol pensiero l’anima mia geme,

L’umil pensier che al pensar di te freme

Prigionier delle tue beltà supreme.

 

Mano d’ebano dal mirabil tatto,

Non t’insozzar volgendo all’umil volgo

La misericordia delle tue cure:

 

La vita scorre e anche s’io me ne dolgo

Terminerà presto o tardi il tuo tratto

E non sprecarlo per le vil creature!

Dopo la pioggia il sonno. Soffia la pioggia alla finestra.

Odo il calore del termosifone,

seduta inerte al banco vuoto,

ad assaggiare the alla menta;

mentre brulicano voci stordite,

un tuono balza nella testa.

 

È il mercato delle banalità,

dove i diritti pagano i bisogni,

e in tv volano alti gli insulti,

scordandosi le fughe dei cervelli,

da campi poveri di grano,

mentre la fame vive in città.

 

Sotto ancora lo stesso cielo,

il giorno segue il passo umano.

Dorme sulla sedia il padre per noia.

È tutto così squallido e lontano

È tutto così squallido e lontano:
la gente, il paesaggio e questo istante
che vela di un riverbero innocente
l’atroce vanità del gesto umano.
L’uomo che muore ha palpebre di vetro
e si spegne in un pianto di bambino
e travalica l’attimo vicino
e crea con il suo verso un nuovo metro.
L’uomo che muore non ha più sostanza
nessuna briglia stringe la sua mano
labile ha solo un’eco di esistenza.
Assaporando l’attimo di assenzio
evapora nell’orizzonte vano
del lungo giorno memore in silenzio.

El posto / Il posto

For sto posto dal turismo de màssa,

sta rarità che sempre rovinerà.

Schei non se porterà in qualche càssa

almen el sarà belo, è preservà.

 

Parchè interessi, moda tuto scàssa,

quanti bei posti ormai ié sta guastà,

resta sol cemento, sgaiule e ariàssa,

ci ama la belessa, ciò ben el le sà.

 

La natura gran meraveie la creado,

ma la bestia, che ga la conoscensa,

l’omo tuto in peso la cambiado.

 

Capemola sta antica sacensa,

“El mondo dai nostri fioi ne prestado”,

quindi rendemoghelo con cosciensa.


Fuori questo posto dal turismo di massa,

questa rarità che sempre rovinerà.

Soldi non si porteranno in qualche cassa,

ma almeno resterà bello, è preservato.

 

Perché interessi, moda tutto scassano,

quanti bei posti ormai sono stati guastati,

resta solo cemento, immondizia e ariaccia,

chi ama la bellezza, ciò bene lo sa.

 

La natura gran meraviglie ha creato,

ma la bestia, che ha la conoscenza,

l’uomo, tutto in peggio ha cambiato.

 

Capiamo questa antica sapienza,

“Il mondo dai nostri figli c’è stato prestato”

quindi rendiamoglielo con coscienza.

Esistere

Il gabbiano sorvola la battigia
e lascia scivolare la sua ombra
dove ricami di dorata sabbia
esaltano passi un tempo esitanti.

L’incombente autunno si è dileguato,
nuova speranza giungerà a schiuder
gli alterni ritmi dell’esistere.
Radioso, saetta in volo radente

nel felice gioco con l’onda mite
quand’essa s’abbandona al suo avanzare
prima che un’altra, lenta, la raggiunga.

Veloce s’innalza fiero e spavaldo
fronteggiando il sole nella sua corsa
io rapito, mi libro sulle cime.

Esodi e muri

Preme il dolore d’Africa alla soglia
in cerca di rigogli e di fortuna
nell’ampia chioma viola anche la luna
fomenta desideri nella voglia

eppure la paura vi germoglia
errante eleva un muro d’onda bruna
che varca lo smeraldo d’ogni cruna
per volgere l’ardire in nuda doglia

lacrima allora il mare perturbato
gemmando rose acerbe e scontrose
nel passo chiuse ad ogni altrui cammino

velato in nebbie lise e luttuose
annega il cuore stanco, clandestino
nel fiore disilluso, inappagato.

Espiazione

Mi mastichi, le costole al mortaio,
ai moti insegni folli il giusto, e pieghi
da far la spina al tino dei miei prieghi
le lettere onde vuoto il calamaio.

Rimangio l’astio per le nuove leve:
rimani, menda il vano dal mio scritto,
e anche quand’il cielo si fa fitto
lo spirto rassicurami sia lieve;

Così nel cieco cavo dell’empireo
in giubileo al consesso dei poeti,
cui suggere il divino sempre lice,

Se mai dopo la morte il capo allineo
tra i tanti della vita anacoreti
dal canto l’unico sarò felice.

Esser sia

Sia fuoco l’agire delicato forte

per scoprire il vero chiaro inizio

dentro le stanze delle sacre porte.

In effimero loco trova il vizio

 

estirpalo sempre celeste amore,

luce sii cavaliere maestro saggio

in terre verdi scalda con fervore

l’interiore intrepido paesaggio.

 

Temo e tremo e prego e spero

offrendo all’Altissimo sacrifici

per rinascere tutto, esser vero

 

oro splendere in occhi serafici

questo solo o Re chiedo e voglio,

diventar completo seppur spoglio.

Estate

Sì stringeva di lontananze arroventate

la verde e polverosa parete di collina,

si distendeva tra Fiordalisi e papaveri nella sabbiosa estate di febbri afose.

 

E staccata dagli stampi d’azzurro

L’ombra improvvisa di un confine di fresco,

un soffio di crepe si posava

sullo smalto delle tue pietre,Vetulonia.

Ancora mi riparavo,tra siepi di campagna,

Tracciavo il profilo della dell’asciutta schiena

Tra curve rosse d’immobili arsure

Con tonfi di grano tra fiere di cicale.

 

Tinte di villaggi velati e deserti

tra ragnatele di toppe nell’ago del maestrale

tamburi di fuoco e profumi di fragole,

mi bruciava L’estate in una visione

tra lampi gialli di fiori che ronzavano

sopra collari di caldo nell’aria

nel coro di rame della mietitura,

Cornice di Linee riarse

di un canone immaginario e antico.

Fai traboccare di luce i miei occhi

Fai traboccare di luce i miei occhi

come una goccia in un mare d’incanto,

come una lacrima immersa nel pianto

chiuso nell’anima quando la tocchi.

 

Quando nel vuoto rivedo i tuoi occhi

come due lampi di brusco rimpianto,

scopro che sono i tuoi occhi soltanto

pieni di candidi e muti rintocchi.

 

Ma sulle ceneri della mia vita

brilla una gemma di luce infinita,

fin dove ha voce la gola sospesa

 

sopra l’abisso di un tacito pianto,

e dove l’ovvio si muta in sorpresa,

dove ogni brivido diventa canto

Falsi miti

Modelli irraggiungibili perfetti
miraggi insegui per tutta la vita
-contenitore di pseudo-difetti
indotti, anche se l’altrui ambita

felicità cela sotto i belletti,
a riflettori spenti, la ferita
dei compromessi, cedimenti abietti
in un girone senza via d’uscita.

La solita routine spiega le vele
verso un ben noto orizzonte di tedio,
stabile insoddisfatto logorio.

Un salto nel vuoto senza cautele
delle banalità rompe l’assedio
aprendosi al precario sgretolio

Favoletta di primavera

Anche sul tronco può nascere un fiore,
se primavera la scorza sua  rude
accarezzando gli infonde un tepore
che nuovo un desio di vita gli  schiude.

Avverte il tronco  uno strano languore
sotto la pelle e i grandi occhi socchiude,
ma troppo stanco è  l’antico  suo cuore,
e nulla più lo lusinga e l’illude.

Eppure  dietro alla dura  corteccia
sente  bussare  un germoglio. – E’ la vita! –
sospira il tronco ed  abbozza un sorriso:

– Esci, – sussurra – qui c’è un paradiso! –
Preme  la gemma , dischiude una  breccia,
si sporge e al bacio del sole è  fiorita!

E gioisce  il tronco  timido e schivo:
“Ora son certo che sono ancor vivo.”

 

Feisbucche

“Andiamo al cine?” “E perchè mai?

C’è il social! Gratis e divertente.

Su feisbucche tante stranezze, sai?

Un mare di soggetti casualmente

assortiti: grandi e piccolini,

malevoli, onesti, dissoluti,

poeti rabberciati, pivellini

filosofanti, semplici cornuti….

Tanti grulli, per mostrarsi assai

sapienti, postano assiduamente

bischerate colossali. Oh, dai!

Burliamoci di certi diavolini:

si spacciano per dotti e arguti

ma son solo poveri cervellini !”

Flow di pensieri

I palazzi ombreggiano l’asfalto
Nei meriggi assolati dell’estate
Le paure impaurano di meno
Raccontate col cuore in tangenziale.
Sparecchiato in cucina i neoplatonici
Si ubriacano e Marzullo sottovoce
Intervista la gente dello show
Mentre il tempo trascorre tra le righe.
Dei rumori di passi riconosco
Che mi portano fuori dalla tana
Come musica: amo tra milioni
E milioni di stelle il mio bocciolo
Mio perché ne conosco il viso, il nome
E guardarlo mi rende un po’ più quieta.

Foglie

E poi su tutto giunge l’ autunno.

Foglie gialle, rosse, qualcuna ancora un poco verde,

Cadono a terra,

Ma senza farsi male.

 

Mi piace mirarle,

Ora che non sono più giovane,

Ho tempo.

Attendo una folata di vento, e mi diverto a guardarle.

 

Si alzano, vorticano, danzano in tondo simili a streghe.

E mi spiace, quando il vento si queta,

Vedere che si adagiano un’ altra volta a terra.

 

Poi vengono calpestate,

Come le mie opinioni.

E mi sento anch’io una foglia gialla, secca, polverosa

Fuorché un uomo

Bramo essere

animale,

per non essere

giudicato.

 

Un pesce,

per essere

muto

e non poter

trafiggere

con la parola.

 

Un’aquila,

per essere

superiore

senza

schernire

alcuno.

 

Tutto,

fuorché

un uomo

insensibile.

Futura

Parole ingabbiate

in un corpo rigido,

di un sentimento espresso

dall’assenza reso

 

Scalda il gelo del cuore

il pensiero di te che non sei

ma sarai.

Quali capelli accarezzeranno le mie mani?

Silenzio.

Le scarpe infilate dai pigri piedi

verso un possibile incontro

incedono

Sul piano obliquo del tempo

che corre verso il nuovo anno

spinge il desiderio di un moto che scuota.

Gatti in musica

Libere e mitiche creature,

nelle nostre vite onnipresenti

con allegria e senza lamenti,

donatrici d’ore, leggiadre e pure.

 

Creatrici di suoni d’argento,

olistiche angosce assenti

con loro giochi e divertimenti,

musiche soavi spargono al vento.

 

Sui tetti, di stelle, infinitogramma

simili a note, danzanti e splendenti

accendono nei cuori calda fiamma.

 

D’agili sinfonie compositori

con mantelli morbidi e lucenti

dolci felini, di luna cantori.

Giobbe 2016

Dammi la forza vita che mi lasci
quel tanto di speranza per alzare
domande che circondino l’altare
in cui sei già deposto quando nasci.

Senti negli occhi le urla farsi fasci
scariche tremebonde da affrontare
legati come corpi da insultare
belati di un agnello che non pasci.

Tu sei dovunque cresce l’attenzione
per le zolle di umano derelitte
eppure la tua assenza ci sgomenta

quando sei muto ad ogni invocazione
di cuori che sussultano con fitte
preghiere dove l’anima si allenta.

Giochi rossi d’oblio

Ho visto dei timidi fiori rossi

nascere all’ombra di boschi folti

E voli di corvi dal vento smossi;

Pianti di vespe dal cielo accolti.

 

Ho visto dei piccoli fiori scossi

dalla polvere di campi incolti.

Lo strazio di steli verdi rimossi.

Di petali sparsi mai più raccolti.

 

Ho visto un canto rosso di pena

torreggiare come l’arcobaleno

tra le voci color sangue di vena.

 

Ho visto un fiore che si dimena:

Un Papavero rosso tra il fieno.

E l’autunno che lo coglie di schiena.

Gioia desueta

Afose giornate estive
Tanti pensieri si affollano
Sottratti dalle onde trasversali

Distesa di sabbia
Modella le tue fantasie
Soffice ti accarezza il viso

Musica soave
Continua a suonare
Accompagna le tristi giornate

Sole splendente
Brucia le sofferenze
Illumina il sorriso dei passanti

Poi arriva la notte
La nostalgica luna
Soffia l’ilarità

Deprimente alba fatata
Colora il cielo
Con le candide ali

Torrida stagione
Cela un enorme mistero
Negato dalla natura sprezzante

Guardami ancora

Mi ricordo quando ancora bambino

ci si riuniva tutte le sere

con la famiglia accanto il camino

o tutt’intorno al calor del braciere.

 

Ed ognuno di se si raccontava,

e mia nonna ogni dì una storiella,

mia madre allor mi coccolava

all’antico profumo di un’umile frittella.

 

Si dice che il progresso è or giunto

con whatsapp e like nei veloci via vai.

Non verdi tralci ma diventiam rami secchi.

 

Era scomodo il braciere defunto

ma tanto mi manca il “ciao come stai?”

stringendoti la mano mirando i tuoi occhi

Ho scorto nel tuo viso forme sempre più straniere

«Ho scorto nel tuo viso forme sempre più straniere,
sentieri oscuri dai quali fuggire.
Sul mio, invece, sono marcati i segni delle bianche bandiere
e li ho coperti di attese fino ad impazzire

Quanto ancora mi è cara la tua vita, non è una paura
ed è perché ci è sempre caro ciò che viene dall’animo.
Vedo il sole riposarsi sempre di più nel cielo e mi rammenta il fuoco della Congiura,
tanto quanto la Gravità tenta di ammassarci in qualche luogo intimo

Come un albero di pesco si spoglia in dicembre
così appassiscono i nostri sguardi caotici
ma vorrei poter dare rinnovata tonalità alle nostre ombre

e riprendermi ogni, singola, fallibile sfaccettatura della scommessa
proprio come quei crucci metafisici
per i quali un vero filosofo manterrebbe la promessa»

 

Ho visto il vento soffiare

Ho visto il vento soffiare lontano
ai principi della vicina primavera,
gelide onde nel cuore distinguo
tra policrome menzogne; ardono
le finestre delle follie di nudi spiriti.

Dai quieti occhi vestiti d’argento
m’incammino tra angoli remoti
compatendo il tramonto; d’ansia
si colmano le ciglia dei fiori,
e reclama il fiume ottusi silenzi.

Alla lubrica foschia della vertigine
l’anima mia ora si abbandona;
come fuliggine d’autunno appese
sono le reminiscenze che placide
e invisibili mani hanno tessuto.

Ho visto il vento soffiare tra rombi
di campane, silenzi d’esequie.
Si va già affievolendo la fredda
lanterna sul far del di tramonto,
e lieve mi è il tornar umano.

Hotel Rigopiano

Tace il meriggio, poi un boato e l’onda
che rotola e cancella la vallata
la terra trema, le ginocchia tremano
la vita scivola in un inferno bianco

Ho visto alberi venirci incontro
tra le pareti accartocciate e gelide,
chiudersi la tua mano nella polvere
tacere il grido e affievolirsi il pianto

Svanisce il male e resta la bellezza
degli occhi, del tuo viso madreperla
nel riverbero chiaro dei ghiaccioli

S’allungano le braccia nei cunicoli
ombre s’insinuano là dove è vita
Luci per noi, blu intenso, batter d’ali

I gatti e le note

Un gatto triste come una nota
persa, caduta da uno spartito,
riparato in una cesta vuota
lì, dietro un geranio appassito.

Un micio come una nuova nota
colta durante un gaio invito
a pranzo, nel piatto una carota,
da lontano il suo verso smarrito.

Gerry, la solita nota al piano
risuonata con un tocco distratto,
il suo fron-fron comodo sul divano.

Felini che compaiono a scatto
scorrono dalla mente alla mano
che disegna di note un sol gatto.

I miei pensieri per te

C’è che mi hai aperto un mondo;
c’è che quando la tua voce mi sfiora
il mio cuore batte in modo strano…manca un battito
e all’improvviso sussulta e palpita;
c’è che quando sorridi, smetto di pensare a qualunque cosa…
perché in quel sorriso ci trovo esattamente il posto nel quale rinchiudere
i miei timori, le mie incertezze
che di colpo tramuterebbero in sicurezza…
perché è questo che avverto quando sono con te;
c’è che il leggero movimento della testa che fai
quando timido sorridi
inarcando gli occhi – che brillano –
mi fa tremare;
c’è che il tuo dolce sguardo,
quando per caso o no incrocia il mio,
mi fa credere che se vale la pena di rischiare l’Amore per te lo farei…
perché un fiore così bello sarebbe un dono custodirlo nel mio cuore…
per sempre…un dono forse troppo grande che immeritatamente riceverei,
cercando di proteggerlo in ogni mio istante.
A volte mi chiedo perché ci ho messo così tanto a scoprirti,
tu che dal primo momento hai suscitato in me un’emozione strana.
Mi sei entrato dentro piano
ed ogni giorno sperimento la bellezza di questo incontro,
che lascia un seme
anche solo incrociandoti per pochi attimi.
Non so dirti perché,
non so dirti come né quando
hai iniziato a far vibrare il mio cuore,
il mio essere,
ma di una cosa sono certa: ciò che mi scuote non è del mondo,
è un sentimento puro che mi arriva dritto all’anima e
mi accarezza dolcemente.
Non so dirti il perché
ma so per certo che
nelle tue braccia,
nelle tue mani,
nelle tue parole,
nelle tue risate, in quel sorriso…
nel tuo sorriso…
nel tuo volto,
nel tuo passo lento timido e deciso al contempo…io mi rifuggerei…
per sempre!
Tu sei un fiore prezioso che l’eternità avrà cura di custodire…
e se fosse donato proprio a me,
lo preserverei con tutto l’ardore di cui sarei capace,
amandolo totalmente.

Il congedo del padre

A ogni tuo passo ha inizio un altro mondo,
uno stato diverso delle cose;
basta un nonnulla, il tempo male inteso,
un’imprevista apertura di spazio,
che tutto, proprio tutto, venga meno.
Ti guardo, parlo, che altro posso fare,
il tuo presente non è il mio, e passato
e futuro non sono di nessuno.
Io rimango, tu devi andare avanti,
un congedo è contrario ad ogni bene,
pertanto lascia perdere saluti,
baci e abbracci, cancella anche i ricordi,
a te non servono, hai già l’espressione,
alcuni gesti, il mio modo di dire.

Il giorno più bello

Brilla una stella nel cielo silente

antica storia di luce e mistero

sempre emoziona ogni cuore sincero

letizia dona del mondo alla gente

 

Dolce sorriso di bimbo innocente

piega il ginocchio dell’uomo più altero

dice fratello sia al bianco che al nero

allevia angoscia a chi ancora è perdente

 

Di notte soave ben chiara è l’impronta

sia presto un amico di ieri il rivale

con mano tesa a far pace già pronta

 

Di gioia gran canto in animo sale

il giorno più bello prodigio appronta:

si può di nuovo brindare al Natale!

Il mestiere del poeta

Scrivere poesie non significa

sedere sul Parnaso o sul bugliolo

oziando oltre il tempo dell’oriolo

per scovar l’arte immaginifica.

 

Per trarre il vero in versi verifica

il bisogno d’amore o di duolo:

l’alma eccitata dal vin Barolo

basta a trovar la musa munifica.

 

Suvvia Poeta, non ti crucciare

se nella vita Fama non si mostra

né la Fortuna la fa da padrona

 

perché nient’altro è più accattona

e innocua della poesia nostra:

è questa la sua virtù nobiliare.

Il mio canto notturno

Nel silenzio della notte, la paura

e i sogni si risvegliano dal lungo

letargo e la quiete spegne il dolce

suono di un’oboe d’amore.

 

Crudeli menzogne che ammaliano

il piacere del mio canto notturno,

in questa disadorna e tragica

agonia dei sensi della mia storia,

nel viaggio della zattera scomparsa.

 

Quando le stelle nel buio

della notte risplenderanno

in cielo, nel rutilante cammino

tra le tenebre, aprirò il mio

cuore per raggiungerti.

 

Vorrei regalarti la mia anima,

tra la luce soffusa delle acque

vetuste delle ninfee, e gli impervi

scogli dei desolati inverni.

Il mio pianto muto

Sento cantare sovra il pesco il cuore,
canto mite che mi colse nel vento
nella stagione che ridesta il fiore,
e di verde tinge il prato munto d’accento.

Bela il vello e la nota già risale
nel meriggio di girasoli e ginestre,
pioppi sfiorati dalla luce astrale
che, brucando fra le fitte zolle meridiane, appare.

Migra il sospiro silenzioso del canto
per i ruscelli tintinnanti d’acqua
ove il ricordo si posa di piuma.

Va scrosciando, ramingo e vasto, il mio pianto
muto, che il ciglio unto e terso or risciacqua:
come bagnasciuga che ridonda schiuma.

 

Il mio vecchio cuore e il mondo

D’oro e diamante vorrei rivestirmi il cuore

e di luce calda e alta ispirazione,

come un eterno tributo d’onore

ché dei peccati sia monito o espiazione.

 

Ma non si può fregiar il mio vecchio cuore

che incede barcollante dentro la città in costruzione,

il mio antico coraggio che ha perduto vigore,

la mia forza primeva, senza più costituzione.

 

Siamo fiamme che si estinguono in fretta,

lacrime divine, ma sporche di terra,

immagini d’Assoluto, ma in una via troppo stretta:

 

e che per salvarle può bastare una guerra?

Non fu abbastanza la virtù più schietta

che Cristo portò, dai ciel, sulla Terra.

Il mistero delle parole

Da un soffio di voce prendono vita

e dalla punta impaurita di un dito

si librano nello spazio infinito

leggiadre farfalle o roccia scolpita

 

si posano dentro e lasciano scie

luminose in occhi pieni d’incanto

umide in guance arrossate di pianto

segni dolenti o dolci fantasie.

 

Ci raggiungono semi di parole

cadono come gocce invisibili

plasmandoci come il silenzio vuole.

 

Sono ali nuove per arditi voli

balsamo buono per vecchie ferite

compagnia per non sentirci soli.

Il Palio immaginato dell’Assunta

Ecco l’ora fatale è giunta

vedo sfilar mazzieri e figuranti

nel palio della festa dell’Assunta

assieme ai fedeli rappresentanti

 

della città di Siena che, raggiunta

la zona mossa in veste di garanti,

rimuovono i sigilli al che uno appunta

la posizione   dei partecipanti

 

ai canapi chiamati e, la rincorsa ,

la decima contrada sorteggiata

del bruco con la spennacchiera addosso

 

decide la partenza della corsa .

Con una magnifica volata

è prima e vince col cavallo scosso.

 

Di lacrime commosso

il popolo festeggia per la strada

col cencio la vittoria di contrada.

Il peso di una condizione

Che dire della noia dei tuoi giorni senza storia

oggi   un fulgido sorriso compare

guardi di nuovo quel risucchio del mare

che un tempo contemplavi   con smisurata gioia

 

E’ vita nuova questa   non fuoco di paglia

giorni sempre mai più uguali corrono ora senza indugiare

tu sicuro d’esser nato solo per odiare

con audacia hai frantumato quella tenace bestia

 

Impalpabile ora voli oltre l’orizzonte sospeso

su quel filo intrigante tra il giorno e la notte

lì ove si captano i giudizi terreni affini a vecchie litanie

 

Sfrenato e sereno procedi per le ignote vie

che il tuo cuore dispensi solo amore tralasciando le ipocrite rotte

sii te stesso e non crucciarti d’aver gettato via quel peso.

Il prato

Siedo beato

Su questo inconfondibile prato,

siedo tra mille pensieri

mi adagio leggermente

su questo manto verde

lo spazio circostante si e’ dilatato

mi sento a tre passi dalla luna

soltanto Venere puo’ starmi vicino.

A volte mi sembra di camminare sulle stelle

Dimentico le mie ansie tra i fili d’erba

Al di la’ del prato ci sei solo tu,

oh musa terrestre!

La natura per te d’amor si veste

Aspetto il sole settembrino

Si nasconde dietro alle spalle del mare

Una luce intensa di la’ si diffonde

Trasportata dalle onde mi travolge,

questo e’ futuro

non lascio solo il mio prato imperituro.

Il rumore del vento

Soffia un refolo di vento nel bosco
solitario, tra due ali giganti di polvere
e tra i pioppi incolonnati nella lunga
strada del deserto degli abissi.

Scorgere nel rio scosceso la flebile
caduta delle foglie dell’albero
sempieterno, la tua visione in quella
strada desolata, mi riconduce a te,
in un sogno notturno d’estate.

Con i tuoi slanci arditi, ho cercato il mio
sentiero nel  mezzo del cammino, ho visto
la profondità delle acque impetuose del mare,
e vidi e vissi con te i bagliori di una fulgida
stella nella limpidezza dell’azzurro cielo.

Ho danzato tra le onde del mare,
in cerca di uno scoglio, nel buio
della notte, fui guerriero solitario
nella prateria dei lunghi inverni.

Nel sogno ho incontrato nel mio
percorso, le dolci litanie dei tuoi baci
improvvisi, ma le lunghe attese
inquietanti del rumore del vento
hanno scosso l’indole e l’armonia
del mio amore verso di te.

Vorrei incontrarti lassù tra mondi
sconosciuti, tra la bellezza dell’amore,
e poi seguire i tuoi passi, per respingere
la furiosa forza dell’acqua, che si scaglia
contro il faro spento dai fulmini,
tra il dirupo della tempesta, e il dolce
naufragar del fiume di nebbia bianca.

 

Il suono dell’anima

Ha l’odore della  pioggia quel canto
che le primavere mi hanno insegnato,
nel silenzio diventa goccia di pianto
quel tempo perso in un filo di fiato.

Soffia il vento contro la finestra
disegna silenzi l’ombra del pino
si accende di rosso un’ora di festa,
ma l’anima sente un dolore vicino.

C’è un suono, una parola che canta,
si libera in volo, chiaro, un pensiero
attende la pace, una voce santa;

vibra come l’erba alto nel cielo
respiro di vento, linfa della pianta,
bianco, come colomba nel cielo nero.

Il tempo Medioandante ovvero l’età di mezzo

Quel del Medioandante  che tempo strambério
due occhi lui possiede in  baruffa  assai ferlecca
opalio quel detragno , di memoria si sberlecca
azzurigno quel atragno , curioso e lungimério .

Mirandra sperandio il sol che bricca rugio  ,
s’incruccia poco o sgnacca di quello smorzelloso .
Celerzio sfrinzia e ronda nel tempo budrioso
di orari ansilanti e di malsonno rovellugio .

A volte lentagiandro petala e tra se solfeggia
si stoppa in stimparlini le nuvole contando ,
tra sguardi privitempo d’amore si sdraleggia ,

s’attarda su un solpiede le ciarle memoriando
tra polke e valzerlenti ludioso lui sbeccheggia ,
e del tempo sfrunghio e lungio si sbarluffa ridanciando .

Il traguardo del pianto del mare

Almeno una volta nella vita è capitato a tutti di lacrimare,
ma non all’immenso ed incantevole mare.
Sognava onda dopo onda,
di raggiungere la lontana sponda.
Ma ognuna di queste non era mai abbastanza slanciata,
fino a che un giorno una sua lacrima fu versata.
E poi ancora e ancora ..fino ad arrivare a mille,
fino a che non gli si prosciugarono le pupille.
allora il maestoso mare si espanse,
e un cavallone enorme apparse.
Così finalmente l’acqua sullo scoglio sbatteva,
mentre il mare ancora piangeva.
Dopo l’ennesimo tentativo,
aveva raggiunto il desiderato obiettivo.
Arrivó a quella terra da lui tanto amata,
faticosamente lacrimata.
nonostante i rimasugli di rabbia,
fu felice di battezzare la sua meta “sabbia”.
la rese fastidiosa con il vento,
per ricordare il momento in cui gli provocò tormento.
E piacevole senza un clima ventilato,
gioendo nel veder tutto bagnato.
Fu da quella vittoria che anche l’uomo iniziò ad azzardare,
e a piangere dopo aver visto il traguardo del pianto del mare

Il tramonto rapito

Lo sapevamo tutti,
ma, nessuno di noi,
avrebbe guastato

quell’attimo effimero
di felicità fuggente.
“Ci rivedremo…”. Dissi.

“Forse lassù…
Un giorno!”.
Rispose.

E fu
subito
notte.

Il Vampiro

Profonda entrasti senza chieder venia
E calda linfa teco risucchiasti,
Come il Vampiro fa nella sua nenia;
T’accolsi, cieco, e Morte mi donasti.

Son preda, adesso, solo e taciturno
Di fredde membra e guardi vuoti e spenti;
Son preda di chi fugge dal dïurno,
E all’ombra mia strisciando van serpenti.

Il bacio oscuro sibila e il sospiro
Inerme l’alma al ciel mi fa spirar;
Canini aguzzi e un liquido ritiro

Io sento dentro al collo tramutar
Il corpo morto in quello d’un Vampiro:
È dolce questo bacio, ed il sognar.

Importante è credere

Sto seminando nei campi della vita
i chicchi di frumento più pregiato,
per far sì che un giorno
io venga ricordato.

E corro senza sosta
rinnegando la paura,
in cerca di terreno fertile
per la stagione futura.

Lottando con coraggio
contro insidie ed  inganni,
vedo fuggire il tempo
tiranno dei miei anni.

Così mi ritrovo solo,
vecchio e affannato
a guardare le ferite
che la vita mi ha lasciato.

Non so di ciò che ho fatto
quale sarà il frutto,
ma l’esistenza è un dono
che non va certo distrutto.

Importante è credere,
guardare nel futuro,
aprirsi al mondo
ed abbattere ogni muro.

In sogno torna ancora il tuo sorriso

In sogno torna ancora il tuo sorriso

a ricordarmi quanto t’ho voluto

e sale sempre quel dolore muto

quando l’alba dissolve il tuo bel viso.

 

La lontananza e gli anni c’han diviso

storie diverse e amori abbiamo avuto

ci siamo consumati oltre il dovuto

per conquistarci un posto in Paradiso.

 

Ma adesso per il tempo che ci resta

dovremmo stare insieme finalmente

che siamo nati per appartenerci.

 

Non t’ho mai detto “Addio”, ma “Arrivederci”

torna nella mia vita dolcemente

che il cuore già t’aspetta per far festa.

Inconsistenze

Sorgeva dal fondo la processione

decorata di croce e gonfalone.

Svaniva nel nulla passato il santo.

Finiva anche della festa il rimpianto.

Sospeso rovente l’anticiclone

sulle vie quiescenti all’invasione

di sorci i cui squittii eran canto

che Tifone spense con uno schianto.

Gli invitati eleganti e il tuo vestito

bianco. E i corvi davanti al funerale

di tua madre, dietro: scuri parenti.

Volar di cicogne a Calendimaggio.

Dissolvenze, fugacità d’essenti

qual volante inconsistente piumaggio

Incontro

Ho guardato nello specchio.
Il riflesso di una giovane donna,
già qualche ruga,
occhiaie e un paio di capelli bianchi.

Ho guardato nei suoi occhi.
C’era il verde dell’erba,
c’era  un orizzonte lontano,
c’era tanta tristezza.

Ho letto il suo corpo.
Le forme da donna dentro una ballerina,
la curva della schiena dolorante,
la pancia al centro di tutto.

Ho guardato dentro al suo cuore.
Ci ho trovato uno scrigno chiuso a chiave,
dentro una bambina impaurita,
un fiore che teme di sbocciare.

Ho accarezzato la bambina,
l’ho presa per mano,
le ho detto “andrà tutto bene”,
mi ha sorriso.

Ho abbracciato la donna,
le ho mostrato la sua bellezza,
ho accolto le sue ombre,
le ho insegnato ad amarsi.

La donna è la bambina,
la bambina è la donna,
ma avevano bisogno di incontrarsi,
guardarsi, riconoscersi.

Adesso di tengono per mano,
danzano insieme,
l’una dentro l’altra.
E io le amo entrambe.

Inno a Venere

Discendi gli astri invocata

ombra dei remoti mari,
onda dei notturni martiri,
sei tu crudele sirena o dolce fata ?

Nel vergine oceano nascesti
e al viaggiatore alato apparisti,
ai navigli cullati, tuoi astri apparisti,
Sei tu che nei sogni in eterno giacesti ?

L’astro più caro, l’astro più chiaro,
la vela, la ciurma e il marinaio
sognava il tuo cuore sacro.

Invece tu, recavi danno
alcun raggio, alcun faro
il tuo rantolo, il mar si fece calmo.

 

Intanto fuori piove

Dal cielo grigio come spesso suole

gocce cadenzate quasi in armonia

vanno dritte come spine al cuore

ricordi tornano con buia nostalgia

 

Nero, senza nuvole, senza stelle

le rondini nascoste nella loggia

l’anima smarrita scura e ribelle

se l’arcobaleno colori non sfoggia!

 

Scruta la cappa plumbea di cemento

da cui non trapela forma, come muro

tetti, case e il fumo del camino scuro

non vede nulla, ode fischiare il vento!

 

Vede, li disegna, li tocca, li assapora,

la fantasia mette tutto al suo posto

e la forte speme, anelata, riaffiora,

il sole conforta tutti ad ogni costo!

 

Rivede anche quelli che non ci sono più

li ritrova accanto a se, come mai saliti su!

 

Io

Mamma mia quanto feriscono le parole. Tajano come lame e vanno a lede l’organi vitali, più in profondità de n’cortello affilato. Capita! Capita spesso de parlà n’preda alla rabbia, d’istinto, de parlà a sproposito e pentisse n’secondo dopo. N’particolare c’ho n’ricordo de tant’anni fa.
E ancora me ne pento. Ancora me brucia quer pentimento immediato ma comunque tardivo.
Ho offeso, ho ferito. Llo faccio ancora quarche vorta. So “brava” co lle parole, veloce nelle reazioni, dura nelle risposte. Poi me pento!Me pento e m’ arabbio co me stessa, ma difficirmente lo riconosco.Quindi, er proposito mio da oggi e pe sempre: sarò meno istintiva, più riflessiva ner risponne alle provocazioni,più attenta, più ragionevole, più paziente e tollerante.Voi, però, voi che me conoscete e me amate nonostante tutto, stateme vicini, nun obbligateme a fa ricorso ar
caratteraccio mio, a sta linguaccia che va ortre, prima de confrontasse cor cervello.Io vedo nero, ce lo sapete. Però posso migliorà. Sarò prudente ner dà giudizi e dorce ner contestà. Cambierò pe amore e pe dimostrà a me stessa che nun semo mai troppo grandi per cresce. E migliorà.
E, pe comincià, chiedo scusa all’ amore mio pe quella brutta, bruttissima reazione de quarche tempo fa. E pe tutte quelle che so venute dopo. Perdoname….. nun pensavo a quello che ho detto! E voi che sete più riflessivi de me spiegateme come se fa!

 

Io non dirò che è tramontato il sole

Io non dirò che è tramontato il sole

se il passero non pigola sul tetto,

se l’acqua s’inabissa nelle gole,

se una madre non stringe un bimbo in petto;

 

ma ti dirò che è tramontato il sole

quando la bocca sarà inaridita,

la mente inseguirà soltanto fole

e avrò perduto il gusto per la vita

 

Allora volerò senza paura,

mentre cala la sera sulla terra

e discende dall’alto l’ombra scura.

 

Forse verrà una luce nella serra

dell’orto mio, se più bella e pura

avrò la mente vera che non erra

Isola amena

Bacio di vento, gemma d’amore

Animo cogli in zagara chiara.

Vezzo di mare, porto d’albore

Scibile fulgi: agata in tiara.

 

Ciglio di sole e specchio del cuore

Arso Vulcano dà frutti di giara.

Bimba ridente con aura di fiore

Figli tu piangi in greti di sciara.

 

Plasma di casa e tempio liliale

Vene gremisci in ritmo pugnace.

Lustro di Donna e canto sensuale

 

Tua la beltà eterna e fugace

Terra di popoli, gloria badiale

Vita ci doni in riso vivace.

L’elemento determinante

Il cuore, pur se con amore rima
non sempre però batte per piacere.
La rabbia invece è grande certe sere.
Prima che la tachicardia ci opprima:

conviene ritrovarci a discussione,
chiarire con pazienza, certe cose
che incrinano di brutto questa unione.
A ripararla né orchidee né rose

nemmeno luna, né stelle, né mare
né altre smancerie inutilmente.
occorre qualche cosa di speciale.

Forse esiste, sostanza non banale
che dalle parti, usata similmente,
riesca la bilancia a livellare:

in equilibrio con poco difetto,
semplice a dirsi, ma complicato a fare.
Un elemento che ha nome:rispetto.

L’uno suggente

Un’Africa che tende all’Asia assente,
interi continenti scompigliati,
vivi color, da clima incandescente,
l’Antartide coi suoi ghiacciai malati!

L’intera umanità non è presente
e secoli di Storia già annullati!
L’Antropocene  è l’epoca vincente
e gli atti umani ormai dimenticati!

Solo quell’Uno, in atto di annoiato,
succhi sugge vitali, senza gioia!
Quella cannuccia, ad angolo piegata,

tra la Namibia e il Ciad cerca il suo iato.
Pianeta Terra, il Nulla già ti ingoia:
e all’Uomo resta, amara …… un’aranciata!

L’uomo

Sta cadendo
si sta buttando
per non morire
bruciato
crolla dentro di  sé
come il grattacielo
di fuoco
botte di cristallo
di giovani vite vissute
finite troppo presto
in gioventù
orribile visione
di un uomo che cerca
vita morte
uomo sofferto

L’alba che verrà

L’incerta speme che la notte ha tanto

mortificato, s’è svegliata or ora

e la volta celeste la rincora

con vaghe stelle nel prezioso manto.

 

Vibra nell’aria un solitario canto

d’usignolo che anticipa l’aurora

e al cuore oppresso annuncia la buon’ora

con luce ialina che promette incanto.

 

Quel gorgheggio notturno che allontana

le tenebre e poi tace nel mattino,

s’insinua nella mente e ne dipana

 

il filo scuro che si fa turchino,

porgendo al cuore una radiosa e sana

energia per riprendere il cammino.

L’anno 1 5 2 4 del Signor…

La voce s’era sparsa senza turno:

“L’esercito ribelle di Saturno

razzia i Pesci nel regno delle stelle,

re Giove Pluvio mai il trono abdicherà!”

 

Lo Stoffler, di solito taciturno,

del Sole vede solo il suo notturno:

“La pioggia invade già la terra imbelle,

in fondo al mar ogni amor annegherà!”

 

Giglio puro di ortiche in un giardino,

un edotto pensatore, sentite,

con un indice l’astrolabio stornò:

 

e il Nifo donò a Giove assai gradite

e a Saturno le rose del mattino

e giù nel mondo la luce ritornò.

 

… fu assai triste, ma la luna splende ancor.

La buonanotte

Le onde sono come coperte bianche
che il mare rimbocca piano di notte.
Arrivano crespe e ciascuna inghiotte
il sonno del mondo e le sabbie stanche.

5 E si stendono addosso, che neanche
il silenzio fa così piano. A frotte
ci provano, ma solo una stanotte
stenderà la spuma, fra le altre manche;

coprirà i colori e l’imbrunire,
10 spegnendo la spiaggia e tutto il lungomare.
E dal bagliore di tutte le stelle,

a una a una, ne toglierà tante, quelle
più vicine, quasi per invitare
il mondo intero ad andare a dormire.

La danzatrice

Scivolano le ombre al buio  truce
tra  soffi di vento mite volano,
a fendere l’aria si adoperano,
si fondono in un bacile  di luce.

S’intrecciano braccia e dorate trecce,
ali di seta su varchi fluttuano,
per le  diagonali del ciel lasciano
della  grazia della danza le tracce.

Soave di  vesti il fruscio ascoltare,
guardare il suo candore che riluce.
S’innalza il passo a disegnare incroci

come  poesia di gesti senza voci,
sì sparge la radiosa la sua luce
di limpida magia ad inondare.

La fabbrica

Fuori dalla porta antincendio della fabbrica si vede il mare,
mi scotta il sole se scendo le scale di sicurezza,
apro l’estintore e esce schiuma d’oro,
un re Mida pompiere,
le fiamme diventano un tesoro,
come le parole che ti sussurro nell’orecchio quando dormi,
le gomme bollenti sono geyser risplendenti,
chi dice che e’ stanco di andare avanti,
ma io leggo ancora un’ po e trasformo le panchine di ferro in letti di seta
e le macchinette in cirri e pezzi di cometa,
senza fretta giro un’altra pagina,
solo così so che il tempo non mi fara’ male,
più’ leggero se lo leggerò.

La memoria di un sogno

Il ricordo di sottili parole
velate dal buio della notte
dalla ragione non furon corrotte,
ma tramandate come Morfeo suole.

Le senili sapienze in gran mole,
insieme ai desideri, sulle flotte,
navigano per le menti, condotte
dalle immagini come bussole.

Il vivo colore di una pianta
ricorda il dolore della morte
che della sua eternità si vanta.

Nei sogni si rivelano le porte
e si fa strada la luce rimpianta
subito assorbita dalla sorte.

La profetica visione

Insonne per la calura estiva,
andai a leggere nello studiolo.
Dallo scaffale afferrai a volo
la Commedia dantesca creativa

di ogni visione ricca d’inventiva.
Se funesto sogno come unghiolo
straziò nella torre il Conte solo
davanti all’inedia distruttiva,

anche per me onirica visione
cagione fu di forte scoramento:
sognai un mondo senza educazione,

il turpiloquio usato in parlamento,
i più ignoranti a far lezione
sui social media e in televisione.

Ma dov’è la ragione?
Dante m’apparve dietro il velame
e indicò la Cultura nello strame!

La Rocca

A piccoli passi nell’ora più calda
strada di casa che porta lassù
Si alzava la polvere che ci seguiva
Viso arrossato e braccia all’ingiù
Lì tra le dita tutto quello che c’era
Il giorno era Giorno la notte era Notte
I giochi sereni e la vita affacciata
sul mondo Infinito tutto per noi
Le sere d’inverno con qualche tremore
nel buio squarciato dagli effetti speciali
La macchia di fronte a guardare le scene
Vivemmo privi ma godemmo i Profumi
Rubammo i Colori e tutta la Gioia
che in cambio di niente la Rocca ci offrì

La sfida

E così con devozione ci si armi
a questa guerra come una partita:
dir più vero il sogno o la cruda vita,
dar più peso alle cose o forse ai carmi?

Si sa, il tempo è tristo e il pan ci manca,
ma se una rosa è rosa, chi mai la osa?
Quassù il connotativo non ci stanca,
il retrogusto, l’arte della chiosa.

Kitsch, vintage, chef santoni ci fan pena
poiché Sereni Giudici vantiamo
e nuovi Omeri raglian senza posa.

Noi vinceremo senza farci in vena
coi versi e con le rime che spariamo.
Un fior sarà ben altro che una rosa!

 

La sfida

E così con devozione ci si armi
a questa guerra come una partita:
dir più vero il sogno o la cruda vita,
dar più peso alle cose o forse ai carmi?

Si sa, il tempo è tristo e il pan ci manca,
ma se una rosa è rosa, chi mai la osa?
Quassù il connotativo non ci stanca,
il retrogusto, l’arte della chiosa.

Kitsch, vintage, chef santoni ci fan pena
poiché Sereni Giudici vantiamo
e nuovi Omeri raglian senza posa.

Noi vinceremo senza farci in vena
coi versi e con le rime che spariamo.
Un fior sarà ben altro che una rosa!

La stagione dell’amore

Senti nell’aria quel vivo tepore

che profuma di miele? E il lieto canto

al cielo terso dei mandorli in fiore?

E il mormorio del ruscello, che intanto

 

fra i campi di smeraldo con ardore

già scorre? Guarda, vestita di un manto

di festa, esulta la terra, ed il cuore

sorride, tutto immerso nell’incanto.

 

Danza, fanciulla, al suono della lira,

ridestati dal sonno dell’inverno,

Proserpina ha riacceso la stagione

 

degli amori. Non è dolce illusione

Primavera, ma idillio che in eterno

si rinnova, e passione ora ci ispira.

La stella del mattino

La stella luminosa del mattino
s’apparta con la notte appisolata.
Illumina la guancia d’un bambino
che sogna la sua mamma indaffarata.

E l’infinito brilla dentro al tutto,
intona un canto magico ed eterno.
La dolce luna attende il suo debutto
nell’universo tenero e paterno.

Io credo che a qualcuno sia piaciuto
donarmi questo pezzo d’infinito
che adesso stringo forte nel pensiero.

Mi son convinto che gli sia dovuto
saper che in cuore tanto l’ho gradito,
sapendomi nel mondo passeggero.

La stella della sera

Splende una stella, nel letto del sole,

ti supplico, piccolo astro dorato,

proteggi il fratellino addormentato,

la casa nascosta tra picchi e gole,

 

fabbrico scarpe, rimpiango parole,

sibila il vento nell’antro gelato,

sogno la mamma, quel volto fatato,

la voce dolce, l’aroma di viole…

 

“Sei il più grande,” sussurrava la mamma,

“devi aiutarmi, ci serve il denaro…”

Ed eccomi qua, con gli altri bambini!

 

La frusta inclina la debole fiamma,

l’anima fugge, non trova riparo,

il sangue rovinerà i mocassini.

 

La trascendenza dell’Amore.

Odevo nel vento il suon del tuo nome,

risuonare tra le sponde dei campi,

nell’aria rosea e tinta d’Amore,

propagarsi con alacri rimbalzi;

 

parea or di fiutare il tuo odore,

parea or mi figurassi innanzi,

col tuo radioso novello bagliore,

così rara, prodigiosa, t’innalzi;

 

e un fiore germoglia ovunque ti posi,

con fertile tocco crei nova vita,

tra sterili lande e campi erbosi.

 

O Benedetta tu sei come Anita,

eroina di due mondi in simbiosi,

folta di spine, ma rosa fiorita.

La tua risposta

Solo quando avrai letto

le parole che non ti ho mai detto,

capirai quanto mi costa

dover attendere la tua risposta.

 

Non c’è legame più forte

Che unisca fino alla morte

Due anime che si sono incontrate

E perdutamente innamorate.

 

Per questo ho scritto cento

e poi mille lettere d’amore

per arrivare al tuo cuore.

 

Non nascondermi il tuo sentimento:

sarà per me ogni tuo messaggio

come del sole un raggio

La violetta assai bella e profumata

La violetta assai  bella e profumata

pur nella timidezza si beava

per quelle doti…C’era una…fecata

che arrogantemente l’additava:

 

“Ti credi d’esser l’unica graziata

dalla natura…” E estrosa decantava

la sua fragranza tanto ricercata

da mosche, vermi, insetti…che la bava

 

facean sopra di  lei, e in mezzo, e sotto…

“Ma – vedi – io sono fior…più d’ogni fiore…”

“Tu hai le tue ragioni…Io non ti sfotto.

 

Ma questi bimbi che un amore infiamma,

di te non vogliono nemmen l’odore:

coglieran me!…pe’ un dono alla lor mamma”.

La Zanzara

Già la zanzara morde fastidiosa
la caviglia e l’afa strozza il verbo:
ch’esso mi narri storia prima ancora,
resta fiume di rabbia nella gola;

poi tu continui caldo a strapazzarmi,
dicendo come vivermi la gravida
ingiustizia del nostro stare al mondo
e come sopravvivere, aggiustarmi,

farmi adulta: guarda, lasciami stare,
non è cosa, non è casa questa stanza
serrata di cucina a luce bassa.

Taci, non dir parola, sbrana avanzi
della cena, (tu dolce amore mio)
buon appetito: io esco di scena.

Lamia, illusione d’amore

All’impetuoso e gelido vento di tramontana
l’etèra Lamia
ha consegnato pensieri, palpiti
ed emozioni.
Dimmi Lamia, le tue labbra quanti baci
hanno dovuto regalare?
A quale anelito, a quale struggente desiderio di libertà e
di felicità ti sei abbandonata?
Catturata,  resa schiava, tu Lamia
giovane e bella, usata
e poi… gettata
come  foglio di carta sgualcito e raggrinzito.
Il tuo corpo, trastullo,
al cinico, annoiato e libertino re Demetrio
hai offerto e per una illusione d’amore,
le tue bellezze  e i tuoi ardenti abbracci ed emozioni
hai donato tra flauti e arpe.

Ahimè ! tu sai,  non hanno prosieguo
le storie senza futuro.
Ma… al gelido vento di tramontana
i tuoi indomiti e fieri pensieri hai raccontato
e alla sinuosa Afrodite hai donato
accartocciato e intriso di pianto,
il tuo cuore rapito e colmo di desiderio.

Latitudine notturna

Irrimediabile e scostante un’altra notte
si avvinghia sulle mie stanche spalle.
Da compagnia il batter dell’orologio
mi affascina come una dolce scoperta.

 

E il timore del contatto umano colgo,
di finire tra i saluti convenevoli
di scorgere un lampo d’amore
che pure mai vidi passar di sfuggita.

 

Tremante sono a scendere le scale
senza motivo, come manovrato
da un’orchestra di mani invisibili
e fredde che segretamente deridono.

 

Senza dir nulla, senza proteste nutro
con passione questo sfacelo interno
ogni volta diverso e inconsueto
come l’infrangersi delle onde marine.

 

E mi prendo cura degli orti che a caso
incontro, costruendo e disfacendo
dei perimetri dove mi pongo
in contrasto dall’ambito quieto vivere.

Le cose di ieri

Avevi il volto dei chiari cristalli

fulgida luce che si dona ancora

mio fiero amore tu sai qual è l’ora

dei falchi ai picchi e le corse alle calli.

 

Era quel tempo maroso ai coralli

che ai piedi stanno così come allora

dalle acque fonde quel bianco colora

le tue radici, le fronde, le valli.

 

Là dove foglie incontrarono rocce

regna Dolomia, dei mari regina

tua sola grazia, lietezza di gocce

 

di me che in fondo rimango bambina

e colgo fiori nascosti in saccocce

e spine rosse trattengo e si china

la mia chioma corvina

 

a te , mio monte, alle cose di ieri:

forse ero io, forse no, solo pensieri…

Le nuvole

Un’intera notte

resterei

sotto questo soffitto di stelle,

anziché

fissare

il bianco soffitto della camera.

 

Nell’aspettar

Che l’alba s’illumini

M’inchino dinanzi alle nuvole,

viaggiatori

senza ali.

Le onde e il non ritorno

L’una accostata all’altra quelle case

calcinate finestre di alveare

in affaccio, dalle scale in cimase

a scivolare minime nel mare.

 

Da un buco la stregonia alita ai muri

pura e impudica di ritorni attesi,

regge la chiave snodo degli scuri

un tintinnare in viottoli scoscesi

 

all’ombra ladra, e noi moltiplicati

per ogni volto ricomparso, assente,

siamo la riva che non vede il porto

 

in tumuli d’amore mai risorto.

Simile a cima pencola la mente

rotte le onde in secoli di fiati

Liquidità digitale

E sono finito dentro un’onda
che trasporta bit al posto del sale,
fa diventare tutto digitale
e in questo liquido tutto affonda.
Sarà forse una vita feconda?
Un giorno su instagram sei virale
ma su internet cosa c’è di reale?
Alla fine la terra è sempre più tonda.
Siamo tutti dagli schermi rapiti,
operai, suore, soldati e dottori:
ci iniettano i bit dritti nelle vene.
E chi produce lo sa molto bene:
per essere bravi consumatori
è meglio essere rincitrulliti.

Lo scoglio e la fine

Lo scoglio sperduto e solitario

alla furia degli spruzzi resiste

soverchiato da convulso sudario

ripartito in mille ametiste.

 

Atterrite, le alate creature

verso la rupe inseguono scampo

ed al bagliore d’un vivido lampo

profilo scorgono d’ignote paure.

 

Sorge d’abisso bestiale ruggito,

sembra ghermire l’intero universo

come un miraggio, tutto svanito!

 

Remoto d’isola lembo emerso

strenua difesa oppone sfinito

fin quando cede al fato perverso.

Lo smartphonne

‘Un mi ci raccapezzo, è un mondo strano
che sian seduti o che siano in cammino
uomini e donne l’hanno sempre in mano
e mai lo lascian, quel telefonino!

“Non lo chiamar così, nonno, è da anziano!
Si dice smartphone” fa il mi’ nipotino
“Con quello il web hai a portata di mano,
praticamente gli è un computerino!”

Mah, sarò vecchio e di cervello duro
ma se camminan e guardan quell’affare
non è che vanno a battere ni’ muro?

Ti sembra il modo di comunicare?
E’ una bella invenzione di sicuro
ma ‘un sarebbe più semplice parlare?

Lo stornello

Quand’i tempo mette a i’ bello
io vi hanto uno stornello
chè da noi qui in Toscana
la unn’è una hosa strana.

Era in uso su per giù
quando un c’era la tivvù
in sull’aia o per la via
serve a stare in compagnia

Se nasceva un bel bambino
ecco i’ grillo hanterino
sposalizi o compleanni
che metteva in piazza i panni

Per la gente hanzonata
esplodeva una risata
succedeva è sorprendente
tutto un po’ bonariamente

Anche quando un marito
dalla sposa era tradito
gorgheggiando un bell’ahuto
si pigliava di hornuto

Per colei non proprio bella
candidata a star zitella
una rima un po’ bizzarra
strimpellata alla ‘hitarra

I’ dottore e anch’i prete
ci hadean nella rete
degli scherzi hanterini
s’eran stati birihini

Oggi i tempi son cambiati
gli stornelli abbandonati
siamo ganzi pe’ cianare
bischerate a i’ cellulare

Io lo diho e lo ripeto
che vorrei tornare indietro
quando i’ nonno poerino
e trombava…. si … ma i’ vino

Luglio. Di luce colmi gli occhi, e canti

Luglio. Di luce colmi gli occhi, e canti,

e tra i ‘ristucci’* biondi balle d’oro

immote giacciono al sole sonoro.

Innamorate faville danzanti

 

brillano a sera con guizzi eleganti

e dopo muoiono, malgrado loro

non chiedano perché. Cerca ristoro

quello stormo di passeri, incuranti

 

dei rischi incorsi. Sottraggono grani,

e paglia sì da edificarsi un nido.

E il vento che vien dal mare non tace

 

di sofferenze e soprusi lontani

ma la sua voce dice, come un grido,

‘tutto sfiorisce nel tempo fugace’.

 

 

* ristucci sta per stoppie ed è un termine preso in prestito da vari dialetti del Sud Italia.

LUNA

Nell’infinito della notte

una sottile luna sghemba

distende l’esile arto

incurante della tempesta
che ruggisce il buio

L’ombra malinconica

di alberi scossi dal vento

striscia sul dorso lattiginoso.

Abbraccio d’amore

che profuma di terra

cieco all’enigma della vita

M’È DOLCE SOLO QUEL RESPIRO INFANTE

M’è dolce solo quel respiro infante
che tenero s’infrange sul mio volto,
scorgo la vita in esso e in quell’istante
m’avvolge col suo far più disinvolto.

È lì ch’affiora limpido e costante
un sentimento delicato e colto,
è lì che provo, dal mio cuor tremante,
l’amor più immenso, da restar sepolto.

M’è dolce ancor la lepida sua voce
ch’ascolto così vera e raffinata
uscir da quelle labbra vellutate.

Seppur l’ingenuo naviga veloce
tra le sue fitte trame, par celata
la voglia in lui di mete inaspettate!

Ma chi pensò veder mai tutti insieme

Ma chi pensò veder mai tutti insieme
Abe, Trudeau, e Merkel -sempre lei-,
i novizi Macron, Trump e la May,
con Paolo anfitrione che ha gran speme

di gettare a Taormina un fausto seme
che il terrore e la piena migratoria
neutralizzi – lo attesterà la storia-,
e accordarsi su soluzioni estreme.

Volo sull’Etna (dorme Tifeo stanco),
per le first ladies shopping pro Amatrice,
Giardini Naxos, selfie e arancini.

A Catania anche trenta elefantini
attendono i potenti assieme a Bianco,
proboscide all’insù propiziatrice:

Trinacria vincitrice!
Canta, Battiato, i migranti africani :
falli danzare su intrecci di mani!

Madre

Forza titanica, gracili membra
Del Lar familiare benigno afflato
Fiera e robusta stella alpina sembra,
come mammola è fior delicato.

La sua dolce presenza morte adombra
Latore di vita suo riso amato,
La sua bellezza eterna al cuor rimembra
Quel gran miracolo che ha donato.

Il suo pensiero infonde sicurezza
Perché ella del coraggio è la maestra
Milite ardito, lotta con destrezza.

È scintilla del primordiale amore
Che ci soccorre con una carezza
Soave come petalo di fiore.

 

Malasanità

Ditemi voi se vi pare normale

restar distesi sopra una barella

per giorni e giorni, come in passerella

in un Pronto Soccorso d’ospedale.

 

Tra tanta gente che si sente male

in mezzo a pianti, urla, cacarella

ti negano persin la pennichella,

ed il marasma regna generale.

 

Ma attento che ben bene ti corbella

chi ripete le solite parole:

camere non ce n’è, né posti letto.

 

È che nel Bel Paese, poveretto,

sulla salute lesinar si vuole

e ancora ci propinan la storiella

 

ch’è vuota la scarsella

ma se ci pensi è più importante assai

il ponte sullo stretto dei tuoi guai.

Mani di giovani

Al mondo ci son tante mani

benedette, scure, nervose,

sporche, vigorose o callose

che lavoran oggi, chissà domani.

 

Altre pallide, scarne o rosee mani

di agire e produrre desiderose

di ragazzi e giovinette industriose

per realizzare progetti l’indomani.

 

Voglion tante giovani mani

esser attive, lasciare le fantasie

vendere magari solo zucchine e patate

 

e realizzare sogni di innamorate,

e invece … scrivono solo poesie,

costrette a inseguir miraggi lontani

MANU FACTUS (in A.D. 2017)

Col fiasco vuoto e la pancia piena
inchiodo sulla carta questi versi
nel timore che vadano dispersi
dentro la mente che si barcamena.

Vispi su sassi lisci di golena
saltellano pensieri controversi
anfibi che dal vino son emersi,
una sfilza di rime l’incatena.

Ora che ho sfornato le quartine
devo fondere tutto nel cemento
di parole come un manovale

che per finire in modo puntuale
segue del Petrarca il rudimento
rimando allo specchio le terzine.

 

Mare nostrum

Squallidi scafi stracolmi d’anime
solcan nel buio marosi in tempesta.
Occhi muti, dalle guerre scavati,
scrutano ingenui l’approdo sicuro
loro mirato, con subdolo inganno,
da avidi bruti e disonesti
che hanno lucrato sui loro destini.
E l’ìnfido mare, invidioso dei lidi,
con l’onde schiaffeggia la massa informe,
fiero scompiglia quei miseri corpi
che poi trascina nei flutti golosi.
Mediterraneo, ‘mare nostrum’,
amico sincero quand’offri i tuoi frutti,
nemico spietato quand’orbi la vita.

Maremma

Dietro il forteto infuria il cinghiale;
moreschi arrembaggi, bombarda rimbomba,
tra torri ombrose, e forti sull’onda.
Zufolan fauni, dentro il maestrale.

Chimere immote, frangere biada,
oblunghe corna, rimeggiare sull’aia;
approdo, o fine d’ogni viaggio,
di greggi montane sperduto miraggio.

Spoglie spettrali, obliata speranza:
romiti, butteri e rii malandrini
il morso sentiron degli acquitrini,
videro in faccia la falce che danza.

Scivola il lupo, rista la paranza,
ristagnar specchi, frinir di cicale;
disegni lontani di monti d’opale.

Maremma, mal mare, malia, mala aria,
mal detta, maiala, maliarda sicaria;
amor… che anco amò ‘l perder l’ala.

Ghirigori tenui d ‘onde lontane,
incanto greve, mar di malinconia!
Al canto del chiu, la nostalgia,
si culla in miasmi, ansima con la Pia.

Mattanza per mano d’ordinanza

Poi tutto passò per l’indifferenza

il tuo valore, la tua vita

ancorché in conto non infinita

ma nemmeno a termine per violenza.

Triste ricorre sempre una domanda

specie se la mano è d’ordinanza:
“Se chi veste divisa fa mattanza,

cosa fa la società in veranda?”.

Nulla insieme, tutto inutile ognuno

dove non è la piazza per parlare

guardarsi negli occhi, senza paura

 

di cadenzare versi di cultura,

ricordi al cuore il presente di amare

e alla mente lo scempio del digiuno.

 

Mietitura

Vomero e vanga han scavato il suo viso,
di paglia ha i capelli seccati dal sole;
e limpidi gli occhi, aperti al sorriso,
presto s’incantano senza parole:

tutto avvolge e trasfigura una bruma
gialla, calda, e freme il ciel di luce
fredda, quel che fu prospero ora sfuma
e al rimpianto Natura induce.

Sobbalza un carro col grano falciato
ci ciondola sopra un fanciullo, è felice,
la mela succosa s’è divorato,

“La nostra vita il Ciel la benedice”
al vecchio si illumina il volto
“Gustiamoci la gioia del raccolto!”

Mind the gap

Mi porta questo sole a cercarti fra
le insegne della città, nei volti dei
viandanti della metropolitana
apertura porte a destra, si dice.

Pensando a quando mi dicevi “Ma la
smetti di insognarti, la vita ha le
sue sequele, cosa credi? Ristagni
morsi e scorie non li nega a nessuno”.

Così ho cercato di costruirmi la
mia privata variante di valico
apertura porte a sinistra, chissà.

Addio sole, ricerca fallita
leggendo Roth buonanotte un tot, con un
Sakamoto tango, sì, mi sostengo.

Miracolo della vita

Quale che sia l’innesco della miccia generante
Un’esplosione ovattata libera la sfera
L’accoglie silente una tuba vibrante
Che tace, senza fiato, dal principio di ogni era

Una intrepida corsa, spietata e fluida
La piccola luna di gelatina attende
Con la sua superficie liscia e tumida
Scivola spensierata e non si difende

Si offre in modo del tutto inaspettato
Ad una danza chimica sofisticata
Con l’inatteso conquistatore caudato

E’ un magico incontro, unico e fortuito:
Che sia una maternità inattesa o desiderata
Il miracolo della vita è compiuto.

Muse misteriose

William, ecco ti recitano! di colpo
giungi dai secoli a destare il lettore
in un reading di veri versi d’amore
che ‘non è lo zimbello del tempo’
Sì, ancora ti cercano gli ispiratori
la dama bruna dark lady sensuale
e misteriosa parole nuove adopri
e d’oro per l’amico senza uguale
I temi sono universali, fan pensare…
la novità è la diffusione nella rete
per una viva rilettura del canzoniere
bardo geniale canti questioni aperte

vigili e conosci l’uomo, la ragione
caducità, arte, poesia e passione

Né vuoto né pieno

L’amore non riempie, non svuota,

slega i lacci, apre le chiuse, rimette in moto la ruota.

L’arido terreno si profuma di vita,

l’acqua che scorre fa ridere il cuore, scivolando tra le dita.

 

Prima vuoto, respiri senza speranze, senza pietanze,

poi un successo, una notizia, l’attesa,

riempiono le stanze.

Si, va tutto bene, si può continuare, il senso riprende a marciare.

 

Storie da un bambino infelice, stupido, si direbbe.

No. Uomini che amano poco, o forse poco amati.

Perché l’amore, quando lo senti, per un amico, un figlio, una compagna,

spalanca le finestre alla luce, alla campagna.

Viaggia terra terra,

regola gli uccelli del cucù e la cottura del ragù.

 

Ho telefonato a mia figlia

e una botta d’amore mi ha rimbombato tutto.

Sono andato in giardino e ho colto tante rose,

che, sia chiaro, erano lì da prima.

Rosse, rosa, bianche, alcune profumate.

 

Le ho recise,

in un grande cesto di vetro, trasparente,

le ho depositate.

 

Né vuoto né pieno,

Nel fumo

Sono seduto in punta al divano
Con le dita sulla tastiera del computer
Dietro di me la finestra
Un clacson mi irrita
Scrivo di adesso
Che non so bene che scrivere
Ma picchietto comunque sulle lettere
Qualcosa verrà fuori
Tu stai uscendo
E so che allora mi alzerò
Fumerò una sigaretta in piedi
E verserò un po’ d’acqua nel bicchiere
E mi verranno le parole
Che butterò fuori insieme al fumo
Parole che sapranno di marmellata di ciliegie
Di una nostra antica colazione in veranda

 

Non capiamo

Che ci appassiona più di questa vita
è il desiderio antico di capire
che cosa esista, quando sia finita
quest’avventura che ci fa patire.

Noi sopportiamo insieme la fatica
di scegliere tra il male di morire
e la fortuna d’una sorte amica
di andarsene così,. senza soffrire.

Temiamo che null’altro venga dopo
e il brano d’esistenza che viviamo
appaia come quasi senza scopo,

così che quando infine decidiamo
di abbandonare della vita il gioco,
per una volta ancora non capiamo.

Non ho mai amato tanto….

Non ho mai amato tanto… come adesso,

non so dove possa prendere questa forza

che ti lascia assaporare appetibili ricordi,

li riponi edulcorati nello scrigno della vita.

 

Non azzardo e non proviene dal diniego

il respingere la voglia di trovarsi,

non dipende dal comprendere l’invito,

se sia celere riconoscerne l’importanza.

 

I miei figli sono oro e costante è il lor valore,

non c’è spread che possa agire nell’organico

calmiere che riporta discrepanze sui mercati,

ma ripiega desolato alla Fronda del potere.

 

Poi c’è Lei che non risponde, ma partecipe

del dolor che non fomenta con le parole,

ma declina, ad ogni invito, di soccorrere

al bisogno di vedersi e fugge via ritrosa.

 

Ecco mamma che col sorriso mi rinnova

la presenza in un luogo a me vicino, quasi

fosse una porzione di supplizio condiviso,

ma non sa che quella croce è di sostegno.

 

Non ho mai amato tanto e come prece

mi riparo dall’angoscia nel divin pensiero.

Non mi resta che aspettare ricompensa, gioia e vanto 
… tanto ho amato… ma altrettanto ho pianto.

Non mi aspetto quasi niente

Non mi paga questa volta celeste piena di stelle,

non girano giusti né i carri né i cerchi di Saturno:

vorrei ben altre note da questo cupo notturno

non sento grilli e neppur le lucciole vedo belle.

 

Cosa mi manca in una notte di luna piena?

Passano veloci i pensieri neri ma lasciano traccia,

fanno capolino dagli occhi e sulle pieghe della faccia

spariscono distratti dietro il volo di una falena.

 

Domani passerà senz’amore, come data sul calendario,

se non vedrò nemmeno stasera la tua lucerna accesa,

nulla che conti, che meriti un appunto sul mio diario.

 

Vorrei attendere, come fa questo ragno paziente,

chissà se lui è capace di sperare ancora:

io non ho ragnatele, non mi aspetto quasi niente.

Notte di speranza

Dormirai rannicchiata nel silenzio della notte,
respirando il sapore del buio intorno a te.
Sognerai dolci dimore e terre verdeggianti
pettinate dalla musica del vento notturno.
Sentirai la pioggia sottile dell’aurora
bagnarti occhi, bocca e volto senza raggiungere
il tuo cuore stanco.

E poi, riposerai ancora un pò,
per rinforzare la speranza e uccidere
la paura di un nuovo incognito giorno.

Ecco.
La notte è ormai un ricordo.
I raggi del sole inebriano il prato
ancora umido di rugiada,
riscaldano gli alberi infreddoliti lungo la strada,
portando dolcemente il profumo del gelsomino
nella finestra di casa tua.

Notturno Quinto

Troppi pensieri, senza prestavoce.
Succede, allora, che il sonno non venga,
oppure che il risveglio sia precoce;
aspro e giallastro, come uva luglienga.

Parte la processione dei ricordi:
volti e parole, dalle mille stanze
della memoria, echi monocordi,
sagome che non hanno più sembianze…

Vorrei che non avessimo passato,
che una rivoluzione dei neuroni
scoppiasse, e tutto fosse cancellato.

E il tempo, infine, a furia di ablazioni,
sgretolasse questo filo spinato
che tiene soggiogate le emozioni.

Ombre amanti

Quantunque non avessero speranze
due ombre s’incontravano comunque
il luogo preferito era dovunque
e chiunque ne avvertiva le sembianze.
I corpi in abbracci si fondevano
e l’ombra delle ombre con la luna
mostrava come due fossero una
da cui solo due teste emergevano.
Dicono che restò brina fulgente
sul viale attraverso il bosco oscuro
come fosse passata una cometa;
dicono pure che erano contente
prima del loro impatto contro il muro
come sapendo il cielo loro meta.

 

Paroline svitate

Qualche volta mi perdo le parole,
svitate farfalline se ne vanno al mare e
sugli scogli stanno a parlottare
mentre in libertà prendono il sole.

Col cappellino bianco sulla testa
si spalmano la crema sulla schiena;
che afa, si respira a malapena
e tutti han deciso di far festa.

Manca nell’aria una voce sonora
che rallegrò un dì questa  dimora,
tutto tace, l’anima è mesta,

parole tornate alla mia testa,
tornate dal mare al mio cospetto
vorrei crear con Voi un insolito sonetto!

Partenza

L’ultima notte urla di saette
stonate dal cuscino di granturco,
il lume sul comò diventa un orco
con la figlia del dottore e le civette.

È Tonino che ruzzola le botti,
mi svela a ogni tuono la zia Nina,
si arrabbia perché parti domattina
e mi stringe in un sussurro di biscotti.

Ma sabato ritorni, si vendemmia.
Un lampo accende di viola
la cassapanca nera e la coperta

e la valigia con la bocca aperta
sui mattoni ascolta
la Madonna muta sulla porta.

Passa il vento

Ora passa il vento caldo di giugno

lo spirito del tempo che disseta,

consola la terra, il suo digiuno,

sfiora l’erba, chiarore di seta.

 

Nel vigore dei ritmi della vita

piega lo stelo la spiga di grano;

è segno per l’anima smarrita,

che aspetta il gesto dolce di una mano.

 

Muore piano la pianta alla radice,

poi rinasce; è linfa di ogni cosa;

segreto che lo spirito non dice

 

vento dove l’anima riposa

che piega il ramo di una tamerice,

soffia piano sulla nuvola rosa.

 

Per Figaro

Una pantera d’ebano riempie il giorno
un miagolio soave e leggero ,
dona amore per sempre sincero
con allegria azzurra d’intorno.

Ricordi di vita felina
con occhi come stelle d’oro,
ora, con te, angeli in coro
hai lasciato felicità da sera a mattina.

Sei entrato in me, piccolo e vivace
rasserenavi istanti colorati di nero,
io stanca, baciavo il tuo viso.

Ogni mia lacrima, subito, sorriso
perché ogni gatto è meraviglia davvero,
e la tristezza dal mondo scappa veloce.

Per me il sonetto è…

Cos’è un sonetto? È quel componimento,

fatto di endecasillabi, italiano,

perché a inventarlo è stato un siciliano,

adatto a qualsivoglia sentimento.

 

Nacque a metà, più o meno, del duecento

e poi volando se ne andò lontano,

tant’è che diventò “elisabettiano”,

quando Guglielmo fece un cambiamento.

 

I numeri che “spiegano” il sonetto,

sono: il QUATTRO, i punti cardinali;

il TRE, la Trinità, la perfezione,

 

e il SETTE ch’è un totale benedetto

in quanto pare avere doti tali

da porre Cielo e Terra in comunione!

 

Perciò, in conclusione,

chiunque fa un sonetto dà l’avviso

d’avere almeno un piede in… paradiso.

Per non dimenticare 29 Giugno 2009 Viareggio; sono trascorsi 10 anni.

Un tonfo stridente sveglia le stelle,

nella notte d’estate vacanziera,

ed ha-inizio-una tragica bufera.

Da-un sibilo cupo, che-alto ribolle,

 

si gonfia, espande, avanza folle

una nube bassa, di morte foriera;

va per le case che dormono-a sera

e senza pietà colpisce alle spalle.

 

Con laceranti lingue infuocate

rompe le tenebre-un drago feroce,

tutto distrugge con ampie fiammate.

 

Avanza tetro,deciso-e veloce

tra urla, fughe -e sirene straziate.

La città sgomenta-attonita tace.

 

Trentadue vite,distrutte,spezzate…

dall’incuria, una notte d’estate.

Però con l’ironia tiro a campa’

Impubere già davo grandi prove
del nulla che mi andava divorando.
Montava sulle furie il prode Orlando
e poi montava pure nelle alcove?

Io invece mansueto come un bove
montavo sulla bici e pedalando
sbuffavo senza meta, anche imprecando
perché ti gira storta quando piove.

I sogni si sognavan tra di loro
e non mi macerava il desiderio.
Da grande che avrei fatto? e chi lo sa.

È vero, non ho mai cantato in coro
ma neanche da solista sono serio,
però con l’ironia tiro a campa’.

Piccola sinfonia per sordi

Mi si è incrinato il cuore con l’età
come un gingillo in vetro di Murano
scalfito da un granello del passato
volato via dal piano del sofà

Ho un ninnolo di vetro dentro il petto
Tintinna ad ogni pianto di bambino
Come un acchiappasogni vibra piano,
quasi un sonaglio appeso sopra il letto

Confusi ed anecoici i miei pensieri
diretti dal pallore della luna,
volti di un tempo, poi volti di ieri
compongono le note ad una ad una…

C’è chi è partito e non ritornerà,
chi troppo in fretta cresce e se ne andrà
lasciando dietro sé soltanto un’orma
Scricchiola il vetro, preda dei ricordi

Nel silenzio notturno prende forma
una struggente sinfonia per sordi.

Pliommero (Pliometrico gliommero)

Il Fato voglia, mena ed incatena,

di tutto lui poi spoglia di gran lena,

al pari di gangrena infetta tetro

tagliando come il vetro l’ima preda.

Per quanto non si ceda ognora incombe

recando ne le tombe chicchessia;

non ha per cortesia pietade alcuna,

così la luna spinge a dar mestizia.

Chè essa più si vizia più ne gode,

abbacina il custode col riflesso,

l’agnello fesso rode e lo trafigge

con pena che s’infligge senz’appello.

Il Fato fa l’orpello e non si vede,

se crede lede, mica s’affatica;

la foglia de l’ortica, e sia con calma,

sul viso questi spalma e non lenisce.

Così chi lo capisce è sol chi creda

che lui provveda, faccia ciò ci piaccia;

ma si dispiaccia l’homo s’ei si neghi,

pertanto anneghi vano tra l’erbaccia.

Poeta e poeta

Il grande poeta sfoggia ardue rime,
fa con la metrica una grave danza,
regala versi di rara eleganza,
in molti animi il sigillo imprime.

La poesia è arte sublime,
sembra egli dire con noncuranza
e, nel segreto della propria stanza,
cerca la rima che il suo genio esprime.

Io sono solo un poeta minore,
cerco la rima che ognuno sa
e voglio entrar nel più umile cuore,

col grimaldello della semplicità,
come abilissimo scassinatore,
con il bottino che il verso mi dà.

Potessi io descrivere il colore dei tuoi occhi

Potessi io descrivere il colore dei tuoi occhi;
la verita´ delle tue mani;
il calore dei tuoi abbracci di pane.
Tu sei la bellezza ;
paura che si fa ombra fugace.
Fascine di legna odorosa;
zolle di terra smossa.
Carezze di foglia di vite;
rossore di pomodori maturi.
La purezza delle rose di maggio.
Il profumo della camomilla nell´ orto.
Tu sei la vita.
Un sorriso infinito.

Priva di corsi d’acqua

Priva di corsi d’acqua, in fondo al molo,
l’aria conta al catasto tre minuti;
nemesi e fuoco, maligna sopisce,
provoca sonni purché non si viva.

L’epoca di “Atlante Sopra”: conferma
e aspro imbrunire del Dio musicato;
libretto avariato, senza peccato,
il suo solo scopo è d’esser tarato.

Aspetto sete per non affogare
in acque luride, tra buchi liquidi:
arsura che disseta di mistero.

Chiudo questo bel cerchio e la ricerca:
arrivo al mio punto, dov’è presunto
medesimo metro fino al mio centro.

 

Promessa infranta

Plana gabbiano, in tiepida sera
ghermisce nell’acqua torba del porto;
col sole che cala sulla frontiera
trascino i passi col fiato corto.

Respiro sul confine effimero
oscillando, qui tutto è distorto;
le onde e il loro riverbero
i miei passi, il mare, sconforto.

Dentro di me, ora scanso la gente
tra mare di cervello in fanghiglia
rimugino passato e presente.

Sigaretta brucia amaramente;
promessa sporca diedi a mia figlia,
il tempo passa e tutto riprende

QUARANTUNO

La mia età

e quella di Alfieri

l’aveva ieri

quando scriveva

la vita vera

Quarantuno

e un mondo

fatto di sostanza

tutta quanta

quel bimbo morto

e la vita

che poi

sorride

nella felicità

di una madre

perchè la vita

è questa:

sorprenderti

non capirci

proprio niente

ed amarla

come una mamma

Tutta quanta

Quasi al Dente

Quanto vorrei riuscir ad intonare

un gioco non indegno del Maestro

del Vecchio Dolce Stile e Padre Nostro

da poter un tantino avvicinare

 

certo sarebbe solo un canticchiare

sortito da un mio sogno un po’ maldestro

ma intanto cerco Lui nel mio registro

scrutando vele sul Suo immenso mare

 

come vorrei parlarvi della vita

dell’amore del tempo e del peccato

condensando sapientemente i temi

 

in minuscoli eppur fecondi semi

germoglianti sui campi d’un sol fiato

ma la burla purtroppo è già finita

Questo mio muto dire nel bosco

Questo mio muto dire nel bosco
non ripercorre, no, quel buon sentiero,
celata via il cui nome conosco,
che porti a qualche silvano mistero.

Questo mio sguardo sospeso tra il lusco
e il brusco, spirito mitesevero
né tutto nitido né tutto fosco,
s’aggira d’ansiose mani foriero.

Il piede che s’inselva non ritrova
il dolcetriste che acquieta e ristora,
chiuso asilo remoto dalla storia,

ma supplementari tracce a riprova
di un andare la cui traiettoria
è alle calcagna della buon’ora.

Radici

Canne al vento
la vita
in balìa del maestrale o del ponentino
ma ancorate a radici
l’alfa e l’omega di ogni cosa

linfa vitale per ogni essere

àncora di salvezza

attracco inabissale

Revenant Pinocchio

Bravo Pinocchio! Crebbe e sposò Alice,
giunse a lor l’uzzolo d’acquistar casa,
quale lido è miglior per dirla evasa;
‘l tarlo divagò in men che non si dice:

giù, canta la prefica ammaliatrice,
anche su, ‘l fango l’appalta e l’invasa,
nel mezzo, d’ogni dolo vien pervasa;
svanì così ‘l lare e l’aura felice.

Macché scrittori, poeti e naviganti,
disser: qui vol’altro che quattr’occhi,
questo, signori, è un pese di briganti,

vorremmo che qualcun si penta e arrocchi.
Le fiabe son rimaste dominanti,
meglio tornar nel paese de’ balocchi.

Riflessione (in un sonetto capovolto)

E ti levi su paesaggi perduti
intimità che specchia stagioni,
e ritorni inquietando ragioni
al rosario dei giorni compiuti.
I rimpianti negli anni più acuti
comprendi al timore dei tuoni,
come bimbo i propositi buoni
giurati nascosto in angoli muti.
Sei campo che devasta tempesta,
se lo scroscio concede una sosta
disperi quale raccolto ti resta!
Così al dubbio che si manifesta
illude il vuoto la sola risposta
nel domani che lento s’appresta.

Scuoti i pensieri, anima mesta,
soffri la pena come una crosta
quando sul viso tenace funesta!
Già senti che speranza s’arresta,
quasi avessi giocato ogni posta
avvilisci in tratti d’ombra molesta.
Più non ritrovi però l’hai avuti
giorni ben forti di convinzioni,
sfumati al pari delle canzoni
accenno di accordi incompiuti.
Fa che il passo dei passi vissuti
ancora emozioni di sue emozioni;
una voce dia voce a quei toni
dove il tempo pare tempo rifiuti.

Riparo in greto d’ombra

Ci basteremo un altro giorno franti
dal nugolo di affanni e l’io solcato
s’incenserà in riflessi, e pur distanti
l’una saprà dell’altra voce il fiato.

Estranei all’oro cupo che snatura
la levità del tempo, sospirato
refrain di volo mosso da un’altura
su mute crepe tese lato a lato.

Mosaico agli occhi le ho fermate, chiare
molecole in carezze, cartilagini
sostrato a pose tra parole e cielo

lievi alla pietra, e ancor sottile un velo
di sete e acqua -una prassia d’immagini –
scivola in greto d’ombra ed è già mare.

 

Rosei pensieri

Rosei pensieri turbinano lievi,

carezze di petali di velluto

che coccolano l’anima lieti

di un ricordo appena goduto.

 

Scompaiono grigie nuvole grevi,

in cielo sta un divino canuto,

nido di panna per angeli quieti,

Zefiro intona un dolce saluto.

 

Abbandono pesanti armature

e lascio il mio triste sconforto

nella cupa soffocante polvere.

 

Non più dolenti e nere paure,

vela farò in accogliente porto

a ricevermi rosee bandiere

Saluto

T’avviasti titubante la cadenza

Sottratta a tenerezze degl’abbracci

Doglie terrene nunzie di partenza

Si sciolse tenue l’anima da’ lacci.

 

Di passi infermi la fiacca andatura

Nubi di stenti sugl’occhi blu cielo

Ruga d’ambasce e strangugli matura

Mestizia ombrava il pallore d’un velo.

 

Per meta oscura ti sei dipartita

D’enigma incerta che morte sottende

Senza evidenze al destino d’umano.

La vita è spreco dimentico e vano

Corsa a momenti che il tempo non rende

Conati a tessere trama smarrita.

Sbarchi

Le magiche scie di un rametto, il tuo,

sono, figlia, come quelle del jet. Linea

del sogno di volo: una fantasia serena,

quasi, d’infanzia; l’inganno e il vuoto

 

in ogni paragone. So che primavera

ha pure la terra atroce della guerra,

altri voli che tagliano un incanto vero

di stelle nei nostri occhi oltre la sera.

 

Ieri il mare ritrovava, quasi, i riflessi

di momenti luminosi; oggi dimentica

quella superficie di finta pace dopo

 

sommerse radici e bagni per me, doppio

tra un’isola e l’altra. Teletrasmessi nessi

tra barche, rifiuti, sogni. Acqua sfinita

Sclerato ragazzo

Forza sbandieri sull’animo chiuso

giovane acerbo d’onore fasullo,

e percuoti e rubi e ad altro ancor sei aduso

scatti d’istinto, da focoso bullo,

quando coperto ti senti, da ottuso

spasso d’infami amici. Tal è il rullo

che crescer retto ti pare da escluso

sfrontato essere d’intelletto brullo,

sputi calunnia su altrui sofferenza

e non hai vergogna del basso crinale

che a percorrer vai per l’alta violenza:

debordi facile da via ideale

e menando per naso l’umana essenza

presto divieni miasma letale.

Se fiammeggia Notre Dame

Se fiammeggia frattanto Notre Dame
dai teleschermi, e le guglie infuocate
si stagliano tra nubi anodizzate,
sul punto ormai di crollare in un amen,
attende ammutolita e larmoyant
la gente tutt’attorno a man levate
crolli di filigrane consumate
(di stile fatalmente flamboyant)
dalla fiamma che divora impietosa
– oh, mon dieu! – di France la doulce l’icona
secolare, persino troppo iconica…
Non par Parigi sola che risuoni
di quei crolli, ma d’Europa ogni cosa
come travolta da un’onda estuosa.

Se fosse possibile

Se domani tu potessi amarmi

come il cielo ama l’estate

sarebbe l’inizio delle ballate

di un animo che vuole salvarmi;

 

potresti forse anche ascoltarmi

cercando nelle parole celate

quel nuovo lampo di gioie mancate

mentre la luna vorrebbe baciarmi.

 

Credo il sole possa rinascere

nel buio della mia anima stanca

che riflette la paura della morte;

 

ascolto il silenzio del carcere

e penso a cio’ che forse mi manca:

l’amor proprio e lo grido forte

Se tanto bello e inesistente pare

Se tanto bello e inesistente pare
quest’uomo in carne sua che non arriva,
uguale vedo il mio signor da riva
nelle carezze del gelo e del mare.

A ogni donna commuove il suo apparire,
ch’egli è lo Sole, anni luce lontano,
e giammai nacque al mondo come umano.
Ogni notte io l’attendo il suo sortire.

Per te non esiste tempo, non c’è freno
nè esiste sangue o conosci postura.
Vorrei che – amore mio – tu fossi nato

tenerti stretto in un sol corpo al seno.
Quando verrà il mio giorno e avrò paura
salda starei in dolce morte al tuo lato.

Senza raggi

Amor mio che non ti slacci

da questa sì bruciata vita

che pria veste era di seta

e or mostra pezze e stracci

e sgarri lunghi sanguinanti

che pari hanno solo in guerra

oh che pianto a questa terra

ohi che pena essere amanti

E sia ieri che domani

stringe il cuore la paura,

oh mio amore nato morto

oggi il sole non è sorto

senza raggi è la pianura

brulla delle mie mani.

Sera

Un altro giorno invola tra le foglie
degli ulivi ondeggianti sul crinale,
e sulla cima dei cipressi scioglie
la cantilena afosa di cicale

rumorose all’ombra delle soglie.
Si disperdono i suoni nel fatale
scorrere di trame spente e spoglie
di ritorno, una mano un frugale

lento abbraccio allarga dai balconi
verso il cielo screziato di turchino,
stringe l’anima il sogno di visioni

nuove sulle orme note del destino,
mentre ai cortili l’oro dei limoni
largisce al buio note di divino.

Sguardo finito

Guardano nel vuoto, cercando invano

i momenti belli di una vita

d’amore, e seduti su un divano,

taciturni, le mete con le dita

 

accarezzate osservano, provando

per esse un desiderio infinito

mai appagato che vive, ansimando,

in esile corpo e sguardo finito.

 

La bella natura amano e, attenti,

aspettano segni di tenerezza

dai figli per fuggevoli momenti,

 

e, mentre donano loro saggezza

e ricordi, attendono silenti,

con un sorriso, l’estrema carezza.

Siena pensaci … (Sonetto in memoria del cavallo Messi)

Su Piazza del Campo il sole batte forte
non c’è la gente ma l’odore della morte

è sparso sopra tutte le contrade

che Messi più non mangerà le biade.

 

Non mangerà più biade né correrà sui prati

egli morì per svago dei casati

della città di Siena e di qualche viaggiatore

che rimase sconcertato a tale orrore.

 

Or Vi darò un consiglio senesi belli

fate cantuccini e ricciarelli

che a nessuno mai han fatto male

 

il Palio ormai è uso medioevale.

Senza coscienza e senza giudizio;

val più una vita oppure il vostro sfizio?

 

Non voglio creare screzio.

Siam cortesi fratelli di regione

la mia è soltanto un’opinione

Silenzio

Smarriti in questo mondo tecnologico,
usiamo ogni attimo per trovare dentro di noi
il vuoto, attimi che in verità non sono mai esistiti,
confondendoci la realtà,
facendoci riflettere e ascoltare
in tristezza e in solitudine il silenzio.
Pensieri e idee bussano
alle porte chiuse dei nostri occhi,
mentre le orecchie rimangono appena distese
per ascoltare il nulla che circonda.

Solidarietà

Il vascello che solo fa partenza

errando su di un mare alla tensione

di ignote onde, volge via il timone

a veleggiare salvo in provvidenza.

 

Lo spettro che tu scruti è l’esistenza

che nella nebbia “ adombra ” l’illusione,

tanto uno specchio infranto a convinzione

d’aver campato solo a dar sentenza.

 

Tra nubi sbrindellate di incostanza

la pioggia tra le mani è il tuo veleno,

ma aleggia or ora un’aria di speranza,

 

brama il tuo bene dentro un ciel sereno;

in mezzo al vuoto di malinconia

tendi la mano… troverai la mia.

 

Sonetto al crepuscolo

Nuvole tinte impongono la sera,

costeggiando lente i bordi del cielo,

fregiano sfondi alle gemme del melo,

lembi di sole sfioran la brughiera.

Mi perdo ancora nei tuoi occhi chiari

che penetrano i miei pensieri tristi

rivelando di universi mai visti,

ricolmi di sogni sempre più rari.

Corron gli anni come lepri sui campi,

pressan le mete del nostro gioire,

svaniscono nel cielo come lampi,

eppure il tuo sguardo nel suo fluire

stilla luce che rianima la sera

d’un dì qualunque che sta per morire.

Sonetto d’amore

Tra sentimenti contrastanti

ci siamo incrociati lungo sentieri

impervi e sconosciuti sino a ieri,

bramando di divenire amanti.

 

Inconsci desideri abbaglianti

e i più folli pensieri,

in cielo volavano fieri

come silenziosi alianti.

 

Del nostro futuro siamo gli arcieri

che scoccano dardi brillanti

inseguiti da prepotenti guerrieri.

 

I nostri occhi luccicano scintillanti,

i nostri cuori sono come bracieri,

in nome di amori dai destini orbitanti.

Sonetto della nuvola alla fonte

Vidi una fonte d’acqua cristallina
Sgorgare dalle pietre levigate
Sul fondo d’una carsica dolina
Nel sole caldo della verde estate.

Sulla polla incombeva la rovina
Delle brune pareti abbarbicate
Per miracolo al cielo, ove sconfina
Lo sguardo sopra le fronde agitate.

Ma arde il desiderio che discioglie
La paura del vuoto come cera
In quell’urna di specchio trasparente.

Ne bevvi un lungo sorso avidamente
Mentre in alto una nuvola leggera
correva insieme al vento fra le foglie.

Sonetto elisabettiano ggiovane

Bella lì, raga’, ke scrivo ‘sta poesia
so’ messo sciallo, senza andare in sbatti,
ke mi prende una cifra ‘sta kosa, zia!
Scrivo sul cellu, poi whatsappo ai contatti.

Mo’ dove inizio? Tranqi, batto a nastro,
ke racconti ne ho scritti già un bordello,
ma un sonetto, ke storia! È un disastro.
Sono sclerato e sta kosa è un macello.

No, è da insuff! Shifto sul divano,
vado a spararmi Fedez con l’iPhone,
aveva ragione la prof di italiano
ke mi diceva, trenta anni or son:

“A scriver bene non riuscirai mai”.
E se mi sgama mia figlia sono guai.

Sonetto livornese

La tamerice è a du’ passi dar mare,
il libeccio la vòle troncare, lei tutta piegata in avanti.
Il libeccio da sempre la scòte e la ‘mpregna di sale
lei fa da cornice a’ pensieri di pochi passanti.
Sur muro di ‘asa ‘na foto ‘ngiallita
mi dice der vecchio lavoro di nonno
È sur muro attaccata da più d’una vita.
Sur Pontino ‘na voce sguaiata riecheggia nell’aria:
“Boia de’!” M’hanno rovinato, loro!”
Mi pare, sapete, lo sfogo sguaiato d’un ‘omo che dice quarcosa di vago
di vando c’era in giro un po’ di lavoro.
E te, Livorno, ti ri’ordi ir mi’ nonno ‘n bottega a vende’ stoffe e bottoni?
Ti rammenti le donne ar mercato, i cestai e le trottole da’ mille colori?
Stasera sur porto sentivo ‘anzoni stonate di tre pescatori.
Ubriachi di vino eran lì a consolassi d’un amaro bottino.
La mi’ bella città barcolla e svarvola di testa,
lo vedrebbe anche un bimbo piccino.
Ma la Livorno più bella ner cuore è rimasta
con la voce di quer disgraziato a ragiona’ sur Pontino

Sonetto per Macerata

Ricordo mar che non deluse mai
le onde mi par di vedere lontano
l’eco di “cocco”, calore umano,
ma c’era tanto amore e l’amai.

Oggi di allora è il domani
Firenze di Macerata periferia
la vita è infinita nostalgia
di tempi, spazi, di volti e mani.

Dal nido sui rami della memoria
spicca il ricordo che mai mente
solca il papiro della mia storia,

soffia lo zefiro di giusta gente;
ed ecco il graffito per la sua gloria:
Cristo è risorto, non più latente.

Sopra ogni dolore

Pongo uno sguardo sopra ogni dolore

di tenerezza, perché so che un giorno

dolce sarà curarlo, antico fiore

lucente sulla strada del ritorno.

La gola è tutta sazia del sapore

di quei ritratti che accendono intorno

l’aria di un mondo andato col calore

dei ramoscelli secchi dentro il forno.

Lenta la sera increspa già di agrezza

le ombre sinuose e i voli senza scampo

e illanguidisce piano ogni chiarezza.

Ma il grano cresce sempre dentro il campo,

alto e robusto, insieme alla pienezza

dei sogni che maturano a ogni lampo.

Struggimento

Madre mia, or che compiuto è ogni affetto
e dal tuo vermiglio nettare, profondo
alimento più non traggo, gemebondo,
con salse stille il tuo sepolcro netto.

Dacché ti avrò solo in sogno al mio petto,
più nulla bramo dall’amaro mondo
e mentre col senno nel ricordo affondo,
l’alba del nuovo giorno malaccetto.

Nel cuore stagna l’afflitto tormento,
vivo pensando a quel palpito estremo
che al sonno eterno ti ha ïeri trasposta;

la tua mitezza, or, l’appello al Supremo
a elevar mi esorta: e io so che non v’è sosta
per l’infinito, enorme struggimento.

Tante tentazioni tentate di vivere

Tante tentazioni tentate di vivere

Tinte di tanti abbandoni

Tante sagome d’uomini sparsi

Spersi tra dirupi a sporsi

 

21 aprile 2017

Tempi

Tempi dove il vuoto ed il nulla ho combattuto
dove indifferenti colavano loro meschine parole e risa
e dove l’inferno li aspettava dolce come l’oro.
Quei tempi dove l’azzurro invece soleggiava dal sole
che spostato dalle onde del mare
colava di celesti diamanti caduti dalle stelle;
un rosso velo su comete di tuoi baci e comete
e le tue labbra così di caldo amore
sussurravano dolci amplessi del mare.
Amor mio quanta strada ci sta accogliendo
tra spine di rose e dolori
ma tra cobalto di un rosso mondo felice
nato da germogli infervorati
di rudi e nudi occhi intrisi di sole.
Mio amore le fulve e celesti ore insorgenti
e trepidanti sorrisi dove culle ed ampolle
piene di Muse ed ancelle e dove lì Amore
dalle piume color del mondo ed amore
così bianche ed accecanti vibrano al sogno
un sogno felice di color del caldo amaranto.
Mia bella amor e ti amo
e tra gioia e gioia per mano
ti bacio dalle rosse mie labbra
cavalcando montagne di acqua e piena dei ruscelli
brilla nel sogno di rudi farfalle.
La gioia ora è compiuta sotto aranceti
ed alberi di castagno dalle tue dolci parole
che hanno tuo viso pieno di vino
e di rozze perle nate da vita
e di nascita nascitura nascente.

Tenebra

Colorerai di tenebra il mantello,

cenere si deporrà sui tuoi pensieri,

poi volgerai le spalle al mio castello

e quello che sarò, quel ch’ero ieri,

 

invano cercherai tra quei sentieri

solari come il canto menestrello;

vivemmo insieme un tempo così bello,

sempre, dov’ero io, anche tu c’eri.

 

Crudel destino mi rubò la vita,

a te, mio cavalier, la dolce sposa;

sfuggì la gioia fra le bianche dita

 

ed or la bionda chioma qui riposa,

la profumata stagione è già finita,

come fragile petalo di rosa.

Terra lasciata, terra trovata.

Terra abbandonata con amarezza.
Dopo tanto mare che è abbastanza
il grido “Terra!” s’alza di speranza.
E finalmente arriva la salvezza.

Terra agognata per la sicurezza.
E che dispensa cibo e fratellanza
a chi approda, e non per vacanza,
che umilmente ringrazia ed apprezza.

Quella mia terra, che senz’acqua è fango;
dove c’era acqua c’è solo sabbia;
io che ho lasciato, ora rimpiango.

Anche senza sbarre era una gabbia;
da lì son fuggito, ed ora rimango
in questa nuova terra, ma con rabbia.

Terra puttana (24/8/2016)

Mò che fai, te metti a fa’ la stronza?
Sta’ bona, fermate, nun fa’ la casta,
de gioca’ ar rialzo n’ho abbastanza,
ho pagato, ce devi sta’, e basta!

Co’ du’ salti nun sciogli la questione,
l’abito lo rifaccio, stanne certa,
più provocante, come se conviene
a te,‘na puttana tanto esperta.

Caro ometto mio, e datte ‘na calmata!
È proprio ora che la fai finita;
nun me piace de esse’ ricattata.

La colpa nun è mia se m’hai tradita,
tu te fai ricco, io so’ maltrattata.
So’ nata nuda io, mica vestita!

Te brucia la ferita?
Impara a nun fa sempre er fesso,
da domani chiedime er permesso.

Ti prego non andare via

Ti prego non andare via
ti ho ripetuto tante, troppe volte.
E tu  hai solo fatto finta di esser mia
finché le nevi non si sono sciolte.

Ti hanno comprata davvero con poco:
quattro parole e una fotografia.
Non hai capito che era solo un gioco.
Hai preso le tue cose e sei andata via.

Ho ripensato a lungo a quella storia,
al nostro amore acerbo ed indifeso
e solo adesso trovo un po’ di pace.

Adesso che è finita quella boria
al punto che mi sono arreso,
ho accettato tutto e ritrovato luce.

Torna il ricordo

Ritorna sovente in me il prodigioso

fanciullo che sognava sentieri di quiete,

prati di ciel tinti, mare sì oblioso

che rema mille creste d’ariete.

Il colorato fiore ora si specchia

dentro il ruscello fluente che sfiora

l’acqua dispersa come dentro la secchia.

Torna il casolare che ricama

di filati quei dì dentro la casa

antica che il cuore a sé richiama:

come dir la nonna quand’ella rincasa.

Giunge dal vento un canto di filanda

che tesse le primavere, ormai, disperse.

Vanno nel cortile le mille foglie perse.

tre e mezza

luna bianca di nero
un pensiero sorge
vicino al mio petto
quante lune nascoste
da giorni distratti
e opere sfiancanti
lontano da te
penso di tornare al giardino
di notte con te
sdraiati separati dagli altri
penso di tornare più giovane
durante la notte bianca di luna
a parlare con te
ti direi le cose che col tempo ho saputo
ti bacerei la fronte e le mani
in segno del mio rispetto
cadrei nei tuoi occhi
pervaso di –
– e mi prendi
ogni volta più forte
e non mi lasci
ogni notte di più
nella stagione del silenzio
un pensiero che dura per sempre
mentre fuori il giorno muore

Trepidazione

Passate le sere estive
oscuri penosi pensieri,
come neri destrieri,
fuggono le note rive.

Caldo e afa tardive
si affinano  fieri
nel memento di ieri,
le anime ritornano vive.

Risorgo, fenice,
nella brezza sottile
che la pelle carezza.

Esulto, felice,
dell’autunno gentile
che indora bellezza.
(19/07/17)

Un pensiero dipinto sul tuo volto.

Un Pensiero dipinto sul tuo volto

l’apatia di uno sguardo stanco

languido sole che sa di tramonto

e la tua assenza al mio fianco.

 

Meriggio di un autunno assorto

è onda l’orgasmo veemente

mentre la bruma chiede al Risorto

perdono per il poeta gaudente

 

Cercavo baci in ogni silenzio

dalle tue labbra a sfiorare cielo

e il tuo imene come assenzio.

 

Di pianto sa il calice amaro

di un amore divenuto sordo

non so più chi tu sia ….o forse baro!

 

Una carrucola in angolo d’orto

Una carrucola in angolo d’orto

cigola d’ombra. La ruggine sembra

memoria postuma di sole, membra

battute al tendere d’un tempo torto.

 

Conserva il pozzo d’acqua sorta intatte

stille che s’alimentano di luna

e l’odore di muschio che t’aduna

la notte avanza dal muro di latte.

 

La lingua di basilico e di menta

dura s’è fatta dolce, lastricato

lo sterro, il ferro dell’aratro stenta

 

dietro l’asfalto, ottone lucidato

che brilla senza fuoco e ti rammenta

nostalgiche scintille di passato

Una sera alla finestra

Un brivido sopra le rosse tegole
nel tristo crepuscolo in lontananza
spinge un lieve venticello di fragole
tra lamenti umani e folle paranza.

Le bionde luci delle stanze accese,
le risate, il meritato riposo,
le grevi fatiche ai balconi appese,
il rude manovale al sole roso

dalla finestrella nascosta veggo
mentre uggiosa l’oscurità avanza
e un lieve moto nell’animo leggo;

dirimpetto una bambina che danza
certo ignara dell’angoscia che tengo
come un fosco furfante in latitanza.

 

Uno sfaglio….

Il vento, col suo fluttuar rombante,

l’animo ancor mi sferza e ancor

n’accora! Sfaglio di neve luccicante

ed un cavallo. Lontano, già il dottor!

 

In mano, come vecchio mendicante,

poca ricchezza ed infimo dolor!

La porto come lectio altisonante

l’umiliazione sol, dentro al mio cor!

Lontana è la paterna sua figura,

cui solo vento e gelo fan contorno!

Ma, quelle pesti non sul suolo sono:

 

nel paesaggio tristo ch’ho dintorno

recan sue stigmate, fola imperitura

d’una mattina e di quel padre buono!

Uomo

Scuotiti dall’ebbrezza, ritorna in te
volgi respiro ivi mitezza d’animo dimora
atto di redenzione divino la conoscenza di sé
uomo intorpidito se non sei dritto , drizzati , ora.

Libera te stesso da te stesso , seduce
l’illusione d’esser onda quando si è oceano,
ignaro intralci la tua ombra volta a mostrarti la luce:
le virtù non glorificano lo spirito , lo creano.

Il mondo è trasformazione, la vita opinione,
ogni cosa ha la durata di un giorno
sia chi ricorda , sia chi è ricordato.

Il barlume divino sopito in te fa eccezione
alla fine di tutto alla fonte farà ritorno
perché non è di tuo dominio ma ti è stato donato.

Urbe Amada

Da tute mi son tanto atirado,
qualcuna de bela la gho trovada,
de tante son’ncora afascinado,
ma sol ela del me cor s’ha apropiada.

Certe iè stàde una gran ciavada,
con qualcuna gho solo ben zugado,
qualcun’altra l’ho sol desiderada,
ma sol de ela mi son inamorado.

Beghina, con tanta religiosità,
stizinosa, ma de cor tanto bona,
laboriosa, con gran generosità.

Me, vetustà signora e parona,
non ne separerà la mortalità,
amada urbe nativa, Verona.

 

 

Vecchiaia

Mi tappo tutto ‘r “tetto” cor berretto

per via de’ “riscontri” della vita…

e cor pallétio ‘he ciò per elle dita

er bello, è quande vad’ar gabinetto!

 

Faccio du’ passi ‘n casa gliè ‘na gita,

er fiore proebito è ‘r piscialletto,

e ‘r cachi nun lo mangio per rispetto!

Poi ‘un posso più assaggià la ribollita

 

sennò mi dò dell’arie giorno e notte!

A desinà ‘n brodino sopr’ar pollo,

a ccena caffellatte o mele ‘otte.

 

Se bado a ‘un inciampà mi tronco ‘r collo…

Ma io ‘un traballo, ballo da me solo,

sono ‘na foglia secca, aspetto ‘r volo.

Ventun marzo

A mia nonna Elide

Vien voglia di sorridere e cantare

sognando un nuovo amore in primavera,

pregare per chi c’era (e chi non c’era)

posando fiori freschi sull’altare;

vien voglia di allungare l’orizzonte fino al mare

per fare della brezza una bandiera

che sventoli tra i banchi della fiera

portando odor di miele e spezie rare;

vien voglia di far tutto in primavera,

dipingere una scena sulle nuvole del cielo

fingendo che sia vita,

dimenticare il lutto,

ma dietro ad ogni zelo

è aperta la ferita.

Vestita di nero

Sei figlia estiva della natura,

il frutto puro di una terra ardente.

Vestita di nero, tenue creatura,

colma di sensualità evidente.

 

Al tempo chiedi d’essere matura.

Mani ansiose t’abbracciano, perdente

sottratta alla vita, resti figura

di morbida bellezza mai cadente.

 

Infatuato dalla tua essenza,

ti porto a casa mia per affondare

la lama del coltello con urgenza.

 

Il gusto amaro devo eliminare,

cucinata muti la tua presenza.

Melanzana sei pronta da mangiare.

Via Marconi

Rosse alle traverse, la domenica
nel momento di massimo splendore,
uno di noi, fascino d’attore,
ci insegnava l’arte della mimica.

Oggi svanita, ma non dimentica
di notti, volti, sere e qualche errore;
sui vent’anni dominò il colore
impresso in quella via profetica.

Il destino, quindi, era nel nome
tracciato in una forma di contatto
sensibile ad immagini pulsanti

di quanti, in guisa di sgomenti amanti,
rimpiangono momenti senza scatto,
bellissimi, come le stinte chiome.

Viaggiatore solitario

Sfilano
all’orizzonte
imponenti nubi
ancora gonfie
di burrasca
appena sparsa.
Per l’aere
calma oramai
ancor l’odore
mentre tutto s’abbruna
su le acque e tra le fronde
il vento s’arrende.
Mira
dall’esule rifugio
viatore solitario
e intanto il pensiero vola
alle dolci chiome
di un lontano amore.
Abbozza
sull’avvizzita bocca
un fievole sorriso.
Dal socchiuso ciglio
germoglia
fuggevole lacrima.