Archivio Sonetti
‘A Pace
‘A PACE è chella cosa ca nc’è fa sta bbuono cu nuje stesse e cu tutt’o munno sano.
Pecchè l’avimma rompere stu sentimente ca tene dinte tanta musica e incanto?
Gridamme “PACE, PACE PACE”…e vedimme ca ‘e guerre parene sulo vibrazione ‘e mitra e bombe ca nun accidene cchiù a nisciuno…e, pure si se more
‘o ricordo restarrà llà vivo e vegeto e se sape ca,
chi è intelligente è sulo chillo ca và truvanne
‘e veri sentimente!
Traduzione
LA PACE
La PACE è quella cosa che ci fa stare bene con
noi stessi e col mondo intero.
Perchè rompere questo bel sentimento pieno
di musica e incanto?
Gridiamo a gran voce:”PACE, PACE, PACE”
e vedremo che le guerre sembreranno solo vibrazioni
di mitra e bombe che non uccideranno più nessuno ma
, pure se si morirà il ricordo resterà llà
vivo e vegeto e si sa che chi e intelligente sara colui che, saprà trovare i veri sentimenti!
noi siamo i suoi figli e ne siamo orgogliosi.
‘R pappavero
Ovvero omaggio a De Andrè
“Non è la rosa,non è il tulipano,ma sono mille papaveri rossi.”…
‘Un è ‘n fiore di nobil lignaggio,
‘un è lla rosa,nè ‘r tulipano;
macchia di rosso ‘e ‘ampi der grano
tutta ll’estate-a rifassi da Maggio.
Guardalo bene,ner fosso,sur poggio,
coglilo, tienilo drent’alla mano;
ha ‘r color der sangue,sangue-umano,
è ‘n segno di morte e coraggio,
der sangue versato-in tante battaglie
da giovin sordati a più non posso.
Tempo di giugno1-‘e ri’ordi raccoglie:
mett’ar petto ‘n pappavero rosso,
sentirai grida da facce vermiglie,
che metteranno ‘e brividi addosso.
‘N abbraccio…
Tutti ll’anni per me è ‘n appuntamento,
indà’ dar pioppo giù ‘n fondo alla valle.
Ma oggi… so’ stanco, ‘rivà’ là è un tormento,
un afa!… Ér grano ha già le spighe gialle,
sotto ar sole, ‘un c’è ‘n alito di vento,
c’è rosolacci, danzan’ le farfalle,
c’è ‘na cïala… ma mi paian’ cento
con quér frinì’ da ghietro alle mi’ spalle…
Ér prossim’anno ‘hissà se ce la faccio
a rivedé’ ér mi mondo, la radura…
Ormai lo so, son preso da un malaccio,
ciò pòo da illudemmi, ‘un c’è la ‘ura!…
Guardo ér mi’ pioppo… poi gni do ‘n abbraccio…
ma vorrei abbraccià’ tutta la natura.
(senza) Il mio gatto
Gli alberi spogli alla finestra
nelle serate fredde e ventose
mutano in profumi di ginestra,
gli struscichii in morbide rose.
Fusa e miagolii d’orchestra,
lambiti e lusinghe copiose
e ricordi che la tristezza mostra
di lacrime ancora speranzose.
La morte ruba anche i germogli,
in questa sera di tristi stelle
e di pianti scritti sui fogli.
Ciò che semini sempre raccogli!
Le colpe sono pece sulla pelle,
brucia anche quando la togli.
29.11.1924 – A presto Renato!
Avanti Urania oscura ë feroce!
Sgretola quest’onde mie di tormento:
ferite d’un cuore sempre in fermento,
ime ferite d’un varo veloce.
Avanti Urania oscura ë feroce!
Spiega le mie vele di mortal vento,
svesti il mio angoscioso molle lamento:
salvami da codesto inferno atroce!
Caro – che con me tue rime sonavano –
ti dono le mie ultime parole.
Rimembro il sereno nostro passato.
Rimembro quegl’uccelli che cantavano
tra le fronde al sole sopra le viole.
Ed ora tramonto. A presto Renato!
A Cupido
E’ un oceano d’acqua senza sale
la donna che il mio cuore tiene in mano
è un alito di vento, un uragano,
è sole che risplende, è temporale.
In testa ho come un canto di cicale
che mi tormenta e mi distrugge piano
quello che provo, certo, non è umano
però mi piace e forse mi è vitale.
Sono impazzito? Cosa posso fare?
Vorrei aprire nel suo petto un varco,
rapirla e poi portarla nel mio nido.
Prego ogni giorno te, o Dio Cupido,
perché la rossa freccia del tuo arco
possa colpirla e farla innamorare!
A voi poeti
S’io poesia fossi mi annoierei
nell’essere in eterno quella sponda
che sola attende schiumosa l’onda
il cui suono avessi orecchie udirei
Di vivere su un foglio mi dolerei
se non fosse di pensiero profonda
la parola che vola vagabonda
nel cielo blu che avessi occhi guarderei
Ascoltate ora, o poeti, il lamento
che nasce dal vostro scrivere versi
che muoiono come pianto nel vento
E ridateci tutti i giorni persi
a cercar sulle sillabe l’accento
e donateci infiniti universi
A volo d’uccello
Come fusse ‘na stampa der Fambrini (1)
vorrei dar monte indà’ sulla mi’ Pisa
in volo ‘ome fanno l’uccellini
eppoi giù, giù co’ ‘na rotta precisa
volà’ sopra le vie e su’ ‘ giardini
vedé’ dall’Arno la bandiera lisa
tutta palle e sur ponte e’ celatini
coll’ermo e la ‘orazza per divisa…
Se fusse ‘vella stampa… ma nun gliè:
oggi gliè ‘n ber casino la città
e c’è ‘r Kebab ar posto de’ ‘affè!
Anco se ‘r bailamme nun mi va
la mi’ tristezza me la tengo ‘n me.
Ma ‘n paio d’ali chiedo pé’ scappà’!
– 1) Celebre incisore del settecento, che tanto ha illustrato Pisa.
ABBA’, ALLAH
Ha Jasmine sì tonde orbite nere,
è bella in stelle notte di Isrā e Mi΄raj,
ridon soavi le mani leggere
di Guerrouane, com’io profetai.
Un dì per gioco in chiesa la portai:
“Gesù chiama Abbà Allah!”, piacere
numinoso di pace tra i rosai,
prima che ci schiacciasse il mal potere.
Un dì d’autunno l’empio animal odioso,
le guance impallidì a Jasmine dolce.
O sera o città, chi disse: “Talithà”?
E Tu, chi sei, Tu?, Gesù, Abbà, Allah…
Beva Zemzem o Siloè, Tu focoso
dì “Va’”. “Shemà”, che l’anima ci molce.
Abito sulla gruccia
È come se fossero ancora caldi
eppure sono lì da tanti anni,
alla chiusura dei cancelli, affanni
minarono per sempre i capisaldi.
Ma, di soppiatto, mi sono rivisto
dischiudere la fase di riposo
forzato, dimenticare non oso
quella lettera per cui non esisto.
Abito sulla gruccia, da allora
ignaro di serbare quel tepore
passo per confondere la fisica,
azione espressa dalla mimica
e voce soffocata dal calore
ricorda che c’è ancora un’ora.
Addii
É sempre freddo nelle buie sere,m
non trovan pace i viandanti rari,
si temono, stazionando, i binari
per evitare le parole sincere.
Tra le rotaie non crescono fiori
perchè il sole non ama l’acciaio
e non serve rievocar il rosaio,
nascondendo fra gli inganni i dolori.
Partito il treno s’è ancor più mesti
resta a terra solitario il domani,
un cupo inverno avanza per chi resta.
Ma chi rimane rimpiange la festa,
anela con gioia a stringer le mani,
vagheggiando all’amore che si desti.
Adornami le braccia
Adornami le braccia
dei doni incalcolabili
di un amore eterno e infinito
come l’indissolubile
ciclo vitale
Fammi girare
senza vertigine
intorno al suo universo
come la terra fa
instancabile col sole
Lasciami entrare
nel suo cerchio esclusivo
come per un semplice
tuffo
da uno scoglio
Permettimi di scoprire
l’incanto e l’incantesimo
per cui tutto appare possibile
e l’impotenza e il silenzio
diventano forza e musica
E così le fragilità le mancanze
le povertà umane
si frantumano e dissolvono
si perdono e scompaiono
ignare e dimenticate
Oltre le scintille divine
dell’amore eterno e infinito.
Aiutami
Nel mio corpo è sbocciato il fior del male,
infocato, funesto, prepotente.
Non rispetta né amore né morale;
invadere mi vuole fibre e mente.
Mi ghigna innanzi, orrendo carnevale
che in me vuole ridurre tutto in niente.
Ma non voglio aspettare il mio finale
ché a morte sta colpendo un innocente.
La mia paura ora a fuggir m’induce
cercando scampo a quel fiorir funesto.
Ma il fiore mi persegue sordo e truce.
Armanda mia, al fianco tuo m’arresto.
la tua mano al sicuro mi conduce?
S’oscura il fiore e tu sei la mia luce.
Al Lago di Montepulciano
Il sole indora questa verde sponda.
La barca giace con la prua sull’erba.
Tutto tace ed io odo, su quest’erta,
solo il frusciar dolcissimo dell’onda.
E mentre vedo lo splendor stupendo
ad occidente venir sempre meno,
guardo il tremar dell’acqua e il ciel sereno,
e vado col pensier lontan nel tempo.
In quella notte di peccato, Margherita,
da quest’acqua ch’or sfiora la mia mano,
fu Lui, Gesù, che ti salvò la vita.
Il tuo corpo ora giace a Cortona,
ma qui ti sento, e di fronte a questa barca
parmi veder tuttor la tua persona.
Alessandro
Così ti trovo perduto al punto che potresti esser solo nell’estasi d’un’altra prima idea venuta senza progetto e senza intento. Hai accolto il genio in sosta, si è riposato nella tua testa, ora percorre una nuova strada verso il polso, le dita, la carta. Col respiro contratto ti osservo mentre la tua anima si fa atto e mi chiedo a che ti servo se non sono dell’etere che muove dentro te l’istinto più elevato né il grossolano amore.
Allo specchio
Amo la rima
eppur mi lascio andare
al ritmo che decidon le parole,
la mia unica prole.
Bambine irriverenti
che rompono lo specchio in cui mi vedo
stravolgono i ritratti del mio credo.
Mi chiedo:
davvero sono io quella creatura
che scambia il coraggio per paura?
Colei che mette in ordine la stiva
per ritornare a galla un po’ più viva?
Si affaccia un sorriso alla mia bocca
lo sbatter delle ciglia che rintocca,
perché se una parola è stata scritta
la strada che era storta segue dritta.
È come se nel buio che ti offende
ci fosse una luce che si accende.
Mi dice la parola appena nata
con aria indulgente e innamorata:
il pensiero che sul foglio vola
se tu lo scrivi non sarai più sola.
Alterigia
L’eroe che interpreti
partorisce la tua angoscia,
tutte le tue belle sculture di una sera,
cosa ti lasciano?
Appassisce in fretta il viale alberato
della tua gestualità,
il tuo odio efebico
come il tuo imbarazzato amore.
Amore d’adolescente
Della tua lode canta luci il cielo
di pesca, nella tersa sera acquosa:
in lacrime la sua tristezza rosa
gravida sembra del notturno velo.
Tale tu sei nel chiaro petto anelo,
di che il candore aulente reca ascosa
un’ansia buia inquieta che non posa
di spander sogni in fiore sul tuo stelo
Dentro i tuoi occhi c’è un mare d’estate
ed un’arcana febbre ed un dolore
che invoca un dolce oscuro Dio smarrito
E se ti penso veggio la pietate,
e tenerezza, e sconfinato ardore
nei cieli sparto: e vidi l’infinito.