Il sonetto più votato dalla giuria popolare della X edizione del Premio Renato Fucini

LA CICALA E LA FORMICA

Cicala, che sugli alberi hai dimora,
cantavi al sole vivo un sogno eterno,
senza curarti mai del triste inverno:
eri ricca e non lo sapevi ancora!

La formica, d’economia signora,
temendo della vita il fato alterno,
conservò per salvarsi dall’inferno
e, sazia, la vendetta sua assapora.

Il canto tuo fa or la fame fioco
e, tronfia, ride la formica avara,
sotto terra strisciando nella tana

In te brucia dell’arte il sacro fuoco:
delle comuni occupazioni ignara,
per sempre libera muori e sovrana!

di Melania Giardino

 1.006 Voti

Sonetti edizione 2021/2022

‘A Pace

‘A PACE è chella cosa ca nc’è fa sta bbuono cu nuje stesse e cu tutt’o munno sano.
Pecchè l’avimma rompere stu sentimente ca tene dinte tanta musica e incanto?
Gridamme “PACE, PACE  PACE”…e vedimme ca ‘e guerre parene sulo vibrazione ‘e mitra e bombe ca nun accidene cchiù a nisciuno…e, pure si se more
‘o ricordo restarrà llà vivo e vegeto e se sape ca,
chi è intelligente è sulo chillo ca và truvanne
‘e veri sentimente!

Traduzione
LA PACE
La PACE è quella cosa che ci fa stare bene con
noi stessi e col mondo intero.
Perchè rompere questo bel sentimento pieno
di musica e incanto?
Gridiamo a gran voce:”PACE, PACE, PACE”
e vedremo che le guerre sembreranno solo vibrazioni
di mitra e bombe che non uccideranno più nessuno ma
, pure se si morirà il ricordo resterà llà
vivo e vegeto e si sa che chi e intelligente sara colui che, saprà trovare i veri sentimenti!
noi siamo i suoi figli e ne siamo orgogliosi.

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29.11.1924 – A presto Renato!

Avanti Urania oscura ë feroce!
Sgretola quest’onde mie di tormento:
ferite d’un cuore sempre in fermento,
ime ferite d’un varo veloce.

Avanti Urania oscura ë feroce!
Spiega le mie vele di mortal vento,
svesti il mio angoscioso molle lamento:
salvami da codesto inferno atroce!

Caro – che con me tue rime sonavano –
ti dono le mie ultime parole.
Rimembro il sereno nostro passato.

Rimembro quegl’uccelli che cantavano
tra le fronde al sole sopra le viole.
Ed ora tramonto. A presto Renato!

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Abito sulla gruccia

È come se fossero ancora caldi
eppure sono lì da tanti anni,
alla chiusura dei cancelli, affanni
minarono per sempre i capisaldi.

Ma, di soppiatto, mi sono rivisto
dischiudere la fase di riposo
forzato, dimenticare non oso
quella lettera per cui non esisto.

Abito sulla gruccia, da allora
ignaro di serbare quel tepore
passo per confondere la fisica,

azione espressa dalla mimica
e voce soffocata dal calore
ricorda che c’è ancora un’ora.

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Al Lago di Montepulciano

Il sole indora questa verde sponda.
La barca giace con la prua sull’erba.
Tutto tace ed io odo, su quest’erta,
solo il frusciar dolcissimo dell’onda.

E mentre vedo lo splendor stupendo
ad occidente venir sempre meno,
guardo il tremar dell’acqua e il ciel sereno,
e vado col  pensier lontan nel tempo.

In quella notte di peccato, Margherita,
da quest’acqua ch’or sfiora la mia mano,
fu Lui, Gesù, che ti salvò la vita.

Il tuo corpo ora giace a Cortona,
ma qui ti sento, e di fronte a questa barca
parmi veder tuttor la tua persona.

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Amore d’adolescente

Della tua lode canta luci il cielo
di pesca, nella tersa sera acquosa:
in lacrime la sua tristezza rosa
gravida sembra del notturno velo.

Tale tu sei nel chiaro petto anelo,
di che il candore aulente reca ascosa
un’ansia buia inquieta che non posa
di spander sogni in fiore sul tuo stelo

Dentro i tuoi occhi c’è un mare d’estate
ed un’arcana febbre ed un dolore
che invoca un dolce oscuro Dio smarrito

E se ti penso veggio la pietate,
e tenerezza, e sconfinato ardore
nei cieli sparto: e vidi l’infinito.

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Amore tra le siepi

Due giovincelli in cerca di effusioni
si danno, tra le siepi, appuntamento.
Lontani dalle luci dei lampioni,
I loro cuori sono già in fermento!

Nel mentre fanno il pieno di emozioni
si ferma un contadino in quel momento,
un uomo rude e grosso coi baffoni
che dice: cari amici son contento

che stiate qui a godervi l’avventura
però vi prego: attenti ai palloncini,
le mie bestiole vanno a pascolare!

I polli miei si possono strozzare
è già successo a causa di cretini
che della terra mia non hanno cura!

Ma tra le vostre mura
potreste star tranquilli e più al sicuro,
a scanso di incontrar qualche figuro!

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Assenza

A tratti dal biancore, qui, del nord,
fin oltre le montagne sembra salir la luna
e solo per un attimo brevissimo
forse congiunge me, te ed altri come noi

o forse i fili miei, tuoi o altrui recide.
Nel paese che ha il cuore nella notte
e che il Natale degli abeti fa brillare
complici campanili, cime, gabbie

di passaggi a livello illuminate,
sei un peso più lieve sui rami delle dita.
Come neve, come acqua e infine aria

tu non sei più se non essenza
e provo assenza non di te,
ma del tuo amore.

Dicembre 1985

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Attese

Morirò solo così come sono nato,
come un verso non compreso,
come un racconto sospeso.

Si morirò solo,
avvolto dall’inquietudine dell’assenza.
Sepolto
come un avverbio pruriginoso,
tra parole inconcludenti.

Dozzinali affanni, attese,
a volte dolori, arcuati come silenziose campane
verranno via con me,
come filo sottile di mosche intrecciate tra loro.

Non ci sarà la tua mano materna
a sorreggermi nella disperazione muta,
ne la tua ostinata e caparbia comprensione,
non più!

E di questo in quel tempo lontano, ingrigito tra pareti
solitarie tu ne eri già conscia,
come del resto io.

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Axel

Scrivo per Axel,
la torta del tuo matrimonio,
le due figurine in cima
che cantano, che urlano
e intorno tutto brucia.

Oh Dio, mio Dio!
Che fetore intorno
che nozze sbagliate,
il sole è caduto
e i vetri sono andati in frantumi.

Ricordi Sara
che nozze sono state le nostre?
Il mare era quieto
e la nave scivolava veloce,
poi la notte
ci ha colti ubriachi
su quella spiaggia deserta,
ma non ci siamo mai mossi di qui, in fondo,
non è vero?

Sempre qui a cucinare
cibi surgelati,
ad arredare le pareti
a rispondere al telefono.

Dalle finestre chiuse
entra ancora il vento,
bisogna aggiustare le fessure,
chiudere i buchi, le feritoie,
ingessare stuccare coprire
affinché l’aria che si respira
sia sempre più buona,
più buona
come la torta che ci ha sposati,
a strati sempre più piccoli, ricordi?

Era proprio buona quella torta
dolce e amara
come si conviene
allo spirito di questi tempi.

Star chiusi qua è un’armonia,
e se qualcuno dovesse vederci
useremo la maschera migliore
quella che ride,
è più conveniente,
sembrerà che tutto vada bene,
noi due, lì ,
sotto un’abat-jour qualsiasi
a sorridere
come annunciassimo nuove nozze
o esortassimo all’idillio
all’unione eterna.

Ora ti lascio
ho troppe cose da fare,
c’è la tappezzeria da ricucire,
il tavolino che scricchiola,
le lampadine da cambiare,
la finestra da aggiustare,
tutte cose che voglio fare io:
ci vuole accortezza, presenza,
un senso acuto del necessario
altrimenti
tutto rimane storto, usato,
drammatico;
invece bisogna pulire, aver cura di tutto
e allora avrai intorno
una grazia quasi comica.

Dovrebbe essere ancora giorno,
lo sento intorno il giorno,
è una morsa di lavoro
che ti prende, il giorno,
il sole penetra sicuro dalle fessure
e tutto sembra utile,
anche la tua ombra,
anche le dita che coprono la mano.

Il lavoro sulla cultura
è da ultimare,
ho ancora migliaia di libri
da consultare
e poi potrei anche stancarmi
e decidere di morire prima,
prima d’aver saputo tutto,
tutto il necessario
per essere immortale.

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Azzardi di felicità

Le rotaie assetate di volti
hanno il suono del lavoro di vite spese,
il sapore di anni non colti,
di primavere arrese alle attese.

Spumano di luci i camini,
sono miraggi dagli occhi aguzzi
di ridenti e ignari bambini
lontani dall’inverno dai malinconici schizzi.

E nel momento in cui di bianco
si copre la vista
di un distratto pianto stanco

in ogni tentato arranco
s’insinua una bellezza imprevista
che ha le sembianze di un cuore franco.

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Bacio il sole d’un tedioso inverno

Bacio il sole d’un tedioso inverno
e il gran desìo di sostar in cielo
con la luna e il suo candido velo
tra le nubi sul limitar dell’eterno!

Mirar nell’orto sul fremente melo
volar un pettirosso senza scherno
e accarezzar d’un mattin fraterno
un sorriso fresco di vangelo!

e assaporar il gusto dell’istante
del pane sbriciolato ai cardellini
e tutto quello che resta del dolore

e di febbraio i giorni dell’amore
e il candore dei cuori ancor piccini
che splende rosso come sol calante!

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Brilla la luna e cantan le stelle

Avea lo sguardo languido, intanto
che lo rivolgeva al cielo nero.
Nulla, attendeva, nella sua danza,
d’esser, capiva, del mare, un’onda.

Di spuma candida, la lunga veste,
dolce libellula, figlia del mare.
Cresce la notte, alita il vento,
s’è addormentato or il silenzio.

Brilla la luna e cantan le stelle,
nell’orizzonte, verosimil finto.
S’eleva, nell’incanto d’arabesque.

Le voci s’appropinquan, di sirene,
d’Angeli, s’ode, superba, l’orchestra.
Vivi plausi, dalla sfera celeste.

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Brucia il mondo

Colto in cielo in un tempo ormai remoto
Dell’uomo il fuoco ha bruciato e brucia ancora.
Ed or ch’è giunta la fatale ultima ora
Per questo mondo, brucerà soltanto il vuoto.

E noi mortali, volgendoci all’indietro,
Lacrimeremo su quello ch’è già stato,
Ché da granelli di sabbia sopra un prato
Sarem, nel nulla, solo pezzi di vetro.

E tu Prometeo, tu Istinto, tu Ragione,
Che qui mi porti, fin a cantar di te:
Perché non ardi e cedi a quell’inferno

Dell’alta fiamma del tuo nobile Ingegno.
Se tutto bruci, allor dimmi perché
Bruci tutto… fuorché la tua prigione.

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Canto dell’amore lontano (Antonio Machado a Pilar)

Scorrono nelle vene vele e vento,
del tuo sangue l’arioso movimento,
nel tuo sguardo si slargano  orizzonti:
mari lontani ed azzurri monti.

Come rifulge il tuo corpo ondoso,
è una limpida acqua dolce e fresca,
un soave frutto, una tenera pesca
da cui stilla un succo melodioso.

Esigui,  il venerdì, gli appuntamenti
a Madrid nel cantuccio del Caffè.
E poi a Segovia i ritorni dolenti,

immaginando che tu sia con me
in notti di Castiglia sorprendenti
di silenzi e di stelle rilucenti.

 

 

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Che bello è

Che bello è sognare,vedi persone che non ci sono più ma che nel tuo cuore rimangono con amore.
Vedi luoghi che hai conosciuto ma trasfigurati nel modo che avresti voluto.
Voli sui mari e in mezzo alle nuvole ti riscopri umile.
Nuoti senza annegare, perché è solo la paura che ti fa annaspare.
Riscopri sentimenti veri che la vita ti aveva mostrato solo come desideri.
Parli con chi non c e più e ti sembra che il passato ti parli ancora di più.
Vorrei dormire e rendere i miei sogni una parte del mio divenire.

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Chimica

C’è puzza chimica nella stanza illuminata male
da una lampada al cherosene.
Oltre a noi.
Un materasso senza lenzuola
e la finestra chiusa.
L’aria entra lo stesso dai battenti che hanno perso i cardini, come me, il senso del tempo.
Scopiamo senza farci domande,
per scaldarci, più che altro.
Un tempo scopavamo perché c’era chimica.
Zampillava dai pori.
Io la vedevo, tu la sentivi.
Saltiamo lezione di chimica, mi hai detto la prima volta. Siamo stati a fumare e baciarci un’ora.
Reazione chimica, tra di noi, in un cesso, quello delle ragazze. Ho trovato chimica pisce, ho pensato quella mattina.
Non trovo il drum,
l’hai preso te?
mi chiedi,
adesso che io ho finto
e tu hai finito.

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Ci stiam giocando tutto

Il mondo è assai cambiato in questi ultimi anni,
ne son passati due, ma sembra siano mille,
un virus ha cominciato, ma l’uomo ha fatto danni,
gli uni contro gli altri, frizioni e gran scintille.

È un modo come un altro per non esporsi troppo,
in questi pazzi tempi di gran contestazione,
fingersi ciechi e sordi, tenendo tutto in groppo,
evitando fermamente qualsiasi affermazione.

Senza sentir più scuse e nemmeno spiegazioni,
di tutta l’erba un fascio alfine ormai si fa
lasciandosi alle spalle soltanto gran frizioni,

tra politici e regnanti, che danzano e fan festa,
ridendo dei tapini che non comprendon bene
che tutto sto bailamme solo a lor conviene.

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Come bestiame alla mercè dei pazzi

Come bestiame alla mercè dei pazzi
contiamo like e buchi di puntura,
ormai alla fame stringiamo la cintura
twittando cene ed ignorando i razzi.

Forse qualcosa sfugge al nostro ingegno,
sordi alle bombe e ciechi al crollo d’arte
fumiam tumori guardando a Marte,
eppur non siam di latta e né di legno.

Urge un risveglio di massa ed immediato,
siam tutti casa di bene e male,
ingredienti di quel menù ch’è il mondo;

scuotiamone le sorti profondo,
non sia il passaggio nostro un Carnevale,
piantiamo Amor dove non è mai nato.

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Come candela

Guardo lo specchio: un volto sconosciuto,
occhi di nebbia e rughe come fiumi
confermano con rabbia che ho vissuto
la breve giovinezza, ormai in frantumi.

Resta solo il ricordo, e il cuore muto
cerca invano del sole i suoi barlumi,
nell’ombra il mio destino si è compiuto
sei tu l’incendio e qui tutto consumi.

Come candela che di sera accesa
per fuggire la notte e il buio e il gelo
ad improvviso vento si sia arresa,

così del fiore il delicato stelo
Atropo taglia e l’anima indifesa
piange e rimpiange il suo perduto cielo.

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Come le foglie, pian piano

Su folate d’autunno si staccano piano, sciami di foglie colorate
e si posano lente su prati stanchi, disegnando nuove campiture;
qualcuna supera il muro d’orto e si posa leggera sulle verdure,
altre galleggiano su pozzanghere, come zattere dimenticate.

Il ramarro è già in letargo, la lucertola gira intorno
e cerca un ultimo tepore sulle pietre a mezzogiorno
illudendosi che il pallido sole duri sui muri ancora
ma l’ombra lunga arriva presto e tutt’intorno scolora.

E presto arriva la sera che s’affretta ad accendere luci:
il contadino ha raccolto, tra le spine, l’ultimo melograno
e aperta la porta di casa, dei bimbi festosi si spandono voci.

L’autunno raccoglie i pensieri di un tempo che sembra lontano:
nella cesta dei ricordi le promesse sfiorite della primavera,
e lenti dai camini escono i fumi, come le foglie, pian piano

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Cominciò così…

Correva l’anno sessantaquattro del Novecento, quando avevo tutti gli ormoni in fermento.
Erano l’anni che sono passati alla storia,
di belle canzoni, feste e baldoria…

Si cercava l’amore nei paesi vicini,
con tanta voglia ma senza quattrini.
Strade sterrate, motorini smarmittati…
ormai cinquant’anni son passati.

Quella sera d’agosto, per farla breve,
a Libbiano si festeggiava la “Madonna della Neve”. A quell’ora la piazzetta era piena,
chi stava al fresco e chi aspettava cena.

L’orchestra aveva cominciato a suonare
e qualche coppia cominciava a ballare…
quelle belle canzoni di “ieri”,
che si riascoltano volentieri.

Le mamme a sede’ intorno alla pista,
attente alle figliole, senza perderle di vista.

C’era anche Luana quella sera,
compagna di lavoro e amica vera,
quarantasette chili d’allegria
mischiati a giovinezza e simpatia.

La salutai e si fece un ballo insieme…
“inciampicai” dicendo “ti voglio bene”.
Ci si strinse forte forte, si diventò “tutt’uno”, mentre suonavano “Come te non c’è nessuno”.

Si ballò anche il ballo seguente.
In mezzo alla pista, fra la gente…
abbracciati, guancia a guancia,
la sentivo tutta… allora non avevo la pancia.

Quella notte dormii poco, so’ sincero…
m’ero innamorato per davvero!
E da lì cominciò la nostra storia.
Ormai vecchia, si sa a memoria.

Una storia normale, come tante…
però, per noi, bella e importante.

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Cuore

Mani grandi, il pane è nel forno
cime mollate, sole a banchina
onde del mare, vado e ritorno
Nel grigio, fiato, di questa mattina.

Amore per te, son io il rifugio,
i bambini nel prato senza paura
osservo la vita dal mio pertugio,
il mondo è per ogni creatura.

Il tempo, per nulla e solo per noi
In strada la donna cammina, sola.
E tempo d’essere quello che vuoi.

Le mani gonfie, lavoro più forte
il bimbo corre, sente il suo cuore
Lo tiene, piccole mani, più corte.

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Custode

Zio Giovanni più amava quel noce
alto nei campi lontano da casa
sparire là nella nebbia invasa
sempre in silenzio senza dare voce

di mostrare quanto fosse veloce,
la nostra famiglia ne era persuasa,
ritrovare tra foglie a terra rasa
noci cadute a notte sottovoce.

Poi per giorni rimuovere il sacco
steso davanti casa quando il sole
appariva pur pallido e fiacco

porre quelle sonanti figliole
in una stanza e diventare un bracco
custode occhi chiari come viole.

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Da sempre

Avevi scorto l’intento segreto
chiuso e protetto da gran sortilegio
da menti colte ricolme di spregio
riposto bene e nascosto in roveto.

L’uno diceva da tempo obsoleto:
oltre il respiro otterrai un gran pregio,
l’altro narrava che il suo privilegio
supremo nume aveva secreto.

Ma nati nudi e di tanti colori
piangiamo simili stille, neonati,
chiedendo latte e più calde carezze.

Dando poi retta ad armi e rancori
dimentichiamo l’ignoto e, beati,
gli occhi chiudiamo ma senza certezze.

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Del mio amore

Stelle vedo fremere alla pia luna
stelle che i tuoi occhi hanno consumato,
carezze ho sepolto ad una ad una,
fragili ombre d’un giogo disperato.

Visione che notte e fuoco raduna
nel buio cielo febbrile ed usurato
brivido di ricordo che ora abbruna,
balsamo lieve sul corpo spossato.

Nel tedio è nato l’aspro mio dolore,
di fantasie ho lenito la sera
lambita da dissecato languore.

Che cosa è mai stato del nostro amore
spinoso di crucci di cruda terra?
Dissipato… tra spasimo e tremore.

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Dialogo con la vita

Ho una discussione aperta,
Che mi lacera.
Mentre guardo la finestra
Sento che mi macera.

La sua dialettica è così persuasiva,
I sui propositi così genuini,
Lei così allusiva,
Con i suoi progetti così divini.

Ma io resto diffidente.
Ho paura che sia una farsa,
Che mi dia un colpo dolente,
Che mi renda, sulla scena, una comparsa.

Cerco di comprenderla,
Ma forse sarà già finita.
Imparerò mai a godermela?
Questo è il mio dialogo con la vita.

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Dio degli atei

Abbiamo un castigo assoluto
Dio incompiuto degli atei,
tensione di un destino finito,
vizio e virtu’sulle nostre coscienze
senza il riscatto della provvidenza.

Angeli sconfitti senza speranza
tra confessioni fatte a pezzi di terra
poveri caini sleali e visionari,
il male e la profezia in un dito,
nessun messia sopra il cielo
sudario della nostra miseria
serraglio impetuoso del divenire.

Ma in ogni disperazione umana
c’e’sempre bisogno di un Dio
che dia senso al possibile,
c’e’un grido che scuote la croce
che vibra improvviso da dentro
e s’affonda in silenzio nel dubbio.

Dio degli atei,immagine tesa
consola anche noi, lontani
dallo scampo eterno del sacro
e salva anche noi, colpevoli
di non avere alcuna fede.

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Dove sei?

Stanotte all’improvviso mi sei apparsa,
muta e solinga, mentre insieme con noi,
forse tua madre d’essenza cosparsa,
mi s’avventava contro a mo’ d’avvoltoi.

Di colpo dalla vista sei scomparsa
e innanzi si son parati con vassoi
venditori di strada, ch’avean sparsa
la loro merce per stretti corridoi.

Or ecco una sola strada, riarsa
di sterpaia secca e bizzarri serbatoi
che conduceva forse a te, m’è apparsa.

Da cipressi alti e verdi cosparsa,
sembrava senza fine, mentre dei buoi,
lungi, brucavan l’erba arida e scarsa.

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E chissà se accanto è come adesso

E chissà se accanto è come adesso,
che ti scrivo i sorrisi che mi accendi.
O magari al vederci avremmo smesso;
tu lasciami sperare che comprendi.

Sei tante cose e io mi sento poco:
non lasci che lo dica ad alta voce.
Mi chiedo se non sia soltanto un gioco
ed è rischioso, ho il battito veloce.

Non dovesse piacermi il tuo profumo,
ti prometto che no non scapperò:
come con te non rido con nessuno.

Non chiedermi di più, non lo farò;
ma tienimi finché non mi consumo,
perché lo sai, se m’ami t’amerò.

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E questi giorni

E questi giorni – ammutinati al Cielo
dal grigio srotolato fino al suolo,
e queste notti – dal continuo basso
senza la melodia strappata al mondo.

E tu – che gli occhi tieni crocifissi,
dopo che han visto di Cassandra il lume,
e io – che provo, senza più risorse,
a raccontarci favole d’amore.

Urla l’infame bestia all’orizzonte,
si sente l’eco della carne aperta,
mentre dell’odio ci raggiunge il fiato.

Le incerte viole fuggono dai fossi,
le rose hanno i boccioli già marciti,
noi: aspettiamo il prossimo bagliore.

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Elizabeth Siddal

Separati Ofelia dai fiorami
in profluvio dalla tua vestaglia,
affìdali all’onda di trapunta
pesante per il sonno che t’intride,
ti cala a fondo nel letto fluviale,
verso il largo sospinge la sveglia
finché durano le ore ignare
finché ti avrà scordata il sole.
Abbandona l’istinto della veglia
quando arriva come un laudano
di ogni giorno l’11 Febbraio
per le labbra che affiorano schiuse
mentre stai affrescando al soffitto in un’effigie tutto il vissuto.

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Ennio Pino e Diego

Tre magnifici tre, uniti ora dalla misma suerte
tanto alla musica, han dato e al grande calcio
presto hanno avuto accanto la sorella muerte
traditi da quel cuore che ha creato sì intralcio!

El pibe de oro di cui fiero il popolo argentino
ha realizzato il sogno dei poveri del mondo,
spesso la sua vita è stata un ripido aventino
ma sul prato verde ha creato un finimondo!

Di nome Pino,  il grande Daniele le sue paure
con le note, meglio ancor che coi pennelli
dipinse Napulè, i suoi rioni e le sue creature
un quadro pieno di magia con colori assai belli!

Chi, se non Ennio a dirigere lassù  il mesto coro
archi, violini e arpe per suonare il triste adagio
per solcare il viale del tramonto insieme a loro
come piccolo stormo di uccelli uniti in viaggio!

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Er Più

Noo sconosciuto pe rione, me viè incontro, je dico: “Che volete?”,
“Devo fa na consegna a er più, che a solo lui compete”,
“Pe quanto ne so io, mò nun ce stà, ma tra ‘n par d’ore haddà venì a magnà.”
“N’antre du’ ore? Vengo mò dar municipio,
sortanto a dì d’er più, se ne sò annati, dannome er ber servito.”
“Nun vangustiate, qui nun se move foja, neppure ‘n ramoscello,
se se cuceno la bocca, è solo pe paura che viè a sapello.”

Ecchetelo che t’ariva tutto acchitato,
co’ ancora ‘n bocca er sighero mezzo smorzato, mezzo ciancicato,
tutti che lo saluteno levannose er cappello,
facennoje l’inchino, come se fusse er padreterno!
Je stà annà ‘ncontro, je dico “Indovai? Te devi mette ‘n fila se voi parlà co’ lui!
Me raccommanno, cerca da stà attento, se sbaji na parola, te manna ar camposanto.”

Ariva er turno suo e se lo trova avanti, scrutannolo da capo a piedi, come alli delinguenti,
metteva na paura solo a vedello, cor cinturone, l’orologio a cipolla e na catena d’oro inturcinata ar collo.
Je dice “Dimme chi sei e chi te manna e cerca da fà presto co sta consegna.
Te dico prima de mò, se nun me stà bene,
ciò qui er cortello pronto, pe’ entratte nelle vene!”
Je dice: “Scusate tanto se vò disturbato, sto qui pe davve ‘n plico,
è la padrona mia che m’ha mannato.”
Apre sto plico, vedo l’occhi che je sfavelleno,
s’arza de scatto, se porta appresso er plico, dicenno “Mo aritorno.”

T’aritorna tutto ‘mprofumato, sembrava ‘n painetto tutto smielato,
strilla come n’ossesso ”Preparate er calesse che ciò da fà!”,
lo porta assieme a lui senza fiatà.
Na vorta arivati, la padrona ie và ‘ncontro, tutta immerlettata pronta pe fa lo scontro.
Sò solo che passate ‘n paro d’ore, quanno chè uscito fora, je dava der dottore.

Sembrava mezzo tonto, tutto sderenato,
d’er più nun ciaveva gnente, sembrava ‘n disgraziato.
Se vede che la padrona j’ha fatto ‘n ber servizio,
pe trasformallo come n’omo senza giudizio.
Parleno tanto de lui, che nun se piega mai,
che nun esiste gnente, a paragone a lui!
Lui è er più forte, er più astuto, er più de tutto,
ma è bastata na mutanna, pe rennelo n’ometto.

Cè solo na cosa ar monno che commanna,
ponno casca li ponti, rimane sempre a galla,
nun ce sò re che tengheno, ne principi ne imperatori,
je basta facce ‘n fischio e diventamio tutti lumaconi.

Morale della storia: pe chi nun l’ha capito,
quanno te chiama na lei, nun ce so più che tengheno,
se tratta de matanne, puro se è sotto forma de invito…

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Eterna armonia

Rilucente del tuo paradiso
grida  a te il cielo dell’anima mia,
folgorato dall’ardente sorriso,
che gli occhi scioglie in soave balia.

A te offro questo mio improvviso,
ricamato in soffice melodia;
a te il delicato fiore reciso
dal mio deserto di fantasia.

A te dono questa gioia ch’io sento
pei dolci baci che da te ho colto,
per le carezze in cui mi sono perso,

per essere ognor del tuo universo
canzone di stelle sul tuo volto,
vibrante su corde d’arpa d’argento.

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Fabbricarono una storia delle origini

Fabbricarono una storia delle origini
Inserendo una periodicità catastrofica
Per ovviare alle questioni irrisolte.
Dopo un urlo lancinante nel bel mezzo
Della notte della Storia, soffocato sul nascere
Dalla ragione, dal piacere, dal timore divino,
Ci fu più niente.

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Fosse anche

Fosse anche l’ultimo dono, io ringrazierei.
Per la pioggia di questi giorni che impregna il suolo,
per il freddo che riconduce a ragione insetti e sorgenti,
io ringrazierei.
Per il dono dell’alba fedele, fosse anche l’ultima,
io ringrazierei.
Fosse anche l’ultima speranza, io partirei.
Prenderei per mano i bambini,
e con le poche cose necessarie al bisogno dentro un passeggino, con le cose strette in un fagotto e avvolte nella plastica, affinché l’acqua salata non le guasti,
io partirei, fosse anche l’ultima speranza,
in lunga fila con gli altri ad attraversare confini,
dentro improbabile fasciame ad attraversare il mare,
io partirei.
Fosse anche l’ultimo torto da subire, io griderei.
Griderei “io sono l’ultimo compagni!”,
oppure “no bastardi no!”,
ma io griderei.
Mi garantissero che questo, proprio questo qui, adesso,
è l’ultimo torto che subiremo,
e poi pace per sempre e per sempre gioia e per sempre famiglia, io comunque griderei
e con la gola gonfia e troppe lacrime a scendere
stringerei, fosse l’ultima volta, al petto
coloro che amo.
Ché nessuno abbia a dire domani,
fossi io stesso di me stesso,
che non ho ringraziato,
che non sono partito,
che non ho gridato.

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Gelosia

Alquanto permaloso lo sposino,
poiché geloso forse più d’Otello,
se la moglie parlava col vicino,
minacciava di compiere un macello.

Geloso era di tutti: d’un cugino,
d’un amico, persino del fratello,
che fece alla cognata l’occhiolino
e poi fu minacciato col coltello.

Il nonno consigliò sapientemente:
“Se vuoi che sia fedele la tua sposa
vigila, tuttavia discretamente;

amala sempre più d’ogni altra cosa,
all’occorrenza porgile un presente,
e bagna tutti i giorni la sua rosa”.

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Idillio

Comprimo la durata
di una stagione
d’idillio
nelle quattro stagioni
della mia gioventù.

Risate di leccalecca,
posti di baci
inediti sul mio quaderno

Adesso pianto rose di ciclamino
con la speranza
di semi diamantini
per inanellare la coscienza
di un amore perduto.

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Il contrappasso precario

Sorrisi agonizzante ai miei aguzzini
mentre con un enorme tuffo sprofondavo in una vischiosa melma nera.
Dopo un altro fallimento mi guardavo recitare lo stesso copione:
un profluvio di saluti, inchini, baciamamo e ringraziamenti.

Avevo i capelli lordati di antropici liquami
e sentivo i miasmi della disoccupazione che mi aspettava
ma nessuno sembrava vedere quel mosto o percepirne il fetore.
Cercai di risalire dalla sordida pozza ma ne ero inquinata fin dentro alle ossa.

Potevo sentire il fragore della Solitudine che mi richiamava a sé,
la sua tragica eco che mi afferrava con unghie ripugnanti, facendomi rabbrividire.
Avevo nelle narici l’afrore della Tenebra che già mi aspettava
senza scampo alcuno, in una prospettiva gattopardesca.

Sempre esiliata e incapace di fare breccia
mi trovavo fuori da quel mondo elitario, da quelle mura,
con la terra che mi si sgretolava sotto i piedi
in un cerchio di dimenticanza che ruotava all’infinito.

Dannata come Sisifo a ritentare per sempre
rividi nella mia mente il giorno
in cui i colleghi mi lasciarono andare,
ignari di regalarmi nuovamente l’oblio:

rividi urla, pantere, cagne, lottatori,
fiere strette ad asse che si faceva cerchio e arena
asserragliati per difendere un posto e un luogo
in un duello tra miserabili.

Io da poco padrona della mia vita
ero come la regina di un regno malato ed imperfetto:
vani abnegazione, sacrificio, adulazione e panegirici d’ogni sorta:
tornavo docile equilibrista alla fine degli applausi

Sarebbe bastato rinunciare al futuro per porre fine a questo teatrino difettoso,
mi ostinavo invece a ritentare in eterno
stoicamente sollevandomi dal lerciume della mia condizione
sorridendo alle altre marionette con stolida speranza.

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Il faro

Piangi, se piangere ti alleggerisce
il peso dell’assenza, ma ricorda
che l’amore col tempo non finisce
e questo sorriso dura per sempre.

Torna la primavera che gioisce
di luce e di fiori dopo la pioggia.
Tornerà anche l’autunno che ingiallisce
le foglie e spoglia i rami per l’inverno.

Ma l’aria resta. Più umida o secca,
resta dovunque ti trovi, dovunque
ti rechi, dovunque cerchi un riparo.

Nel buio della notte sarò il faro
che allunga la sua luce su chiunque
e canta una nenia muta e non stanca.

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Il lombrico

Sono un tuo grande fan, lombrico, prodigio di natura,
che dell’asparago cantato da Manet e da Proust
sei il fratello animale, che come sulla banchisa
la foca iridescente e tozza avanzi balzelloni,

che del fondale del giardino sei la mite oloturia,
che senz’altro aspiri il terriccio fragrante con il gusto
con cui noi aspiriamo l’alito di Dixan delle case,
che passeggi in un tuo verziere rovescio di fittoni.

Non conosci la distinzione tra la bestia da traino
e la bestia da latte, né tra lo sforzo del pascere
e quello dell’arare — tutto per te ha pari valore;

tubo che ha la terra per mezzo e contenuto, sai
che ciò che ingurgiti è lo stesso dell’impronta che lasci,
e ciò che ti circonda forma la tua vita interiore.

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Il marinaio del Talani

Con i piedi scalzi in questa tinozza
vòlto sotto il ginocchio il pantalone
gli stralli scossi e la sartia si strozza
Libeccio inquieto fruscia il gonfalone.

Capelli crespi che il vento rintuzza
salmastro adusto frena un’espressione
col fiero guardo che l’occhio strizza
sfida risacca e l’aspro cavallone

Tramontana spuma secco fendente
con braccia conserte in superba posa
giocosa idea e pensiero splendente

Dal riccio capello e spiaggia schiumosa
il marò surroga male cocente
a Giampaolo memoria virtuosa

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Il monte

Adoro il blauburgunder atesino
mi vedo su una china come un lupo
a cogliere lamponi da un cespuglio
accolgo il raggio e dico grazie, sole

che mi scaldi, mi accogli e mi consoli
in quel bicchiere si proietta il monte
che scalo fin da quando sono nato
la vetta è un cimitero fra i cipressi

ma intanto nel mio corpo si riflette
l’ardore che è pistone della vita
le stelle, il mondo, la gravitazione

il buio ed il chiarore e quella fiamma
che brucia fra le onde e nei rimbalzi
dice: tranquillo, non è mai finita!

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Il ritorno di Pinocchio

Bravo Pinocchio! Crebbe e sposò Alice,
giunse a lor l’uzzolo d’acquistar casa,
quale lido è miglior per dirla evasa,
‘l tarlo divagò in men che non si dice.

Giù, canta la prefica ammaliatrice,
anche su, ‘l fango l’appalta e l’invasa,
nel mezzo d’ogni dolo vien pervasa,
svanì così ‘l lare e l’aura felice.

Macché scrittori, poeti e naviganti,
disse: ci vol altro che quattr’occhi,
questo signori, è un pese di briganti,

vorremmo che qualcun si penta e arrocchi.
Le fiabe son rimaste dominanti,
meglio tornar nel paese de’ balocchi.

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Il rumore di una foglia

ci sta
che del silenzio
si ami il cuore
quando a parlare
è il crepitio dell’acqua
d’un ruscelletto
che tra i suoi sassi scorre
e balza come volo di farfalla
senza sapere in fondo
chi rincorre
così posso dipinger di parole
quel corpo snello
disteso sulla sponda
che appena sfiora
ma non travolge
l’onda

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Il sale del Ciaschi

CIASCHI – Ditemi, non è da matti entra’ ‘n codesti fummacchi puzzolenti?
UOMO – No. C’è un bel carduccio… giusto per passa’ l’inverno. E quando costà, è un freddo cane, qui si ride ben contenti.
CIASCHI – Contenti sì, caro signore, ma coll’anima appesa sull’Inferno.
CIASCHI – Non è ’l carduccio, costà c’è roba ben nascosta.
UOMO – E cosa vorreste ave’ da questo ameno posto dove vivo.
CIASCHI – È quella biocca bianca che vorrei, quella che s’incrosta.
UOMO – Sarebbe a di’?
CIASCHI – Il sale sedativo!
UOMO – Che diavoleria sarebbe? Son paroloni!
CIASCHI – È quella roba bianca.
UOMO – A me par gialla
CIASCHI – No… è quella lì che bolle nei lagoni.
UOMO – E ditemi… come fareste per piglialla?
CIASCHI – Basta manda’ l’acqua dentro ‘na cardaia e accende’ ‘l foco.
UOMO – O fatemi vede’ come fareste di persona.
CIASCHI – Io vengo, m’avvicino, ma… ve l’ho già detto, e mi fido poco.
CIASCHI – Attraversa’ così, senz’ave’ sotto a’ piedi terra bona.
UOMO – Non ve ne curate, di lì, sulla biancana… è un gioco.
CIASCHI – Aiuto sprofondo! Voi siete un Diavolo!
UOMO – In persona.
Alla memoria di Gian Antonio Ciaschi

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Il sole e le altre stelle

Mi piacerebbe scrivere un sonetto
sul grande amor che fa muovere il sole
ma pur sollecitando l’intelletto
metafore non trovo né parole

e mentre me ne sto distesa a letto
e attendo il sonno che venir non vuole
sviscero ed analizzo ogni concetto
ma tutto si confonde e me ne duole

poi col passare lento delle ore
ricordo che c’è già stato qualcuno
che speso s’è a parlar di quest’ amore

né come lui mai parlerà nessuno.
Allora mi si alleggerisce il cuore
e finalmente altri sogni aduno.

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In balia dei venti

Nere tempeste gonfiano le vele
e ci troviamo naufraghi a cercare
riparo e nuova vita in terre aliene,
migranti dalla nascita del mondo.

Sogniamo terre azzurre come cieli,
per navigare al largo bianche nubi;
liberi da confini e da barriere,
per mettere radici e dare frutti.

A sera come sempre il sole scende,
ci ricorda che siamo ombre fugaci
nel ricco nord o in terre desolate;

ma dignità e diritti son di tutti,
pur se nasciamo dove non c’è pace:
pretenderemo ascolto o morte e pace

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Inchiavardato, il genio…

Inchiavardato, il genio si schiavarda
con improvvisi rèfoli, si azzuffa
coi propri astrusi visceri, rabbuffa
ogni sofismo all’umo di bernarda

e per quale disdegno untato o truffa
scomunica il suo credo e si bombarda
s’umilia si strabuzza s’infingarda
mentre crescon d’attorno funghi e muffa?

Frequenti più dell’erba d’ogni prato
smazzàti e decimàti, i cupi fiori
di zizzania aggrovigliano il dettato

e non c’è inciso bastevole a dirimere
il quo dal quia, l’assito dall’ussita,
il non senso dal senso che è la vita.

Genova, 21/1/2004-25/5/2008

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Inconsueta ballata

E’ per te questa inconsueta ballata
una manciata di versi scritti a mano
per dirti quanto rilevante sia stata
la tua presenza nel mio quotidiano

Sono per te queste poche parole
semplici, immediate, dettate dal cuore
e il cielo ora cambia il suo colore
ma senza indugio ti spalanca le porte

E il tuo posto non potrebbe essere altrove
se non tra le stelle tremolanti e assorte
nel buio della sera che si fa corposo e piove

lacrime ticchettanti e silenziose
versate a lungo, fluide ma contorte
come lievi cascate di petali di rose.

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Incontri in non luoghi

Il dio arriva dove è sempre stato
parte da dove non è mai arrivato
l’infinito si fa finito per incontrare
noi dove non siamo e dove saremo.

Non smetteremo mai di ri/andare
per dove poi giammai arriveremo
e in questo viaggio fermi resteremo
perché il Tutto vogliamo incontrare.

Ci scambiamo parole a vista inermi
per trovare quel niente metamorfosi
dove abitiamo con le convenzioni.

Non ha aneliti di trasformazione
dell’amato quel dïo nell’osmosi
ma immutabile aiuto all’infermo.

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Infanti…cuore

Patendo de lo sdrucio
con Ciseri pittore,
indugi nel tambucio,
stagnandoti nel cuore.

Dei miseri più trucio
sarai verseggiatore,
sdegnato da Tanfucio,
miglior sonettatore.

Avrai perciò divieto
di veglie da lo sfondo,
dai metri non sinceri

Soltanto l’erto Neri
potrà montar rotondo,
rimando su Grosseto.

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Istante

Mi manchi;
sono qui,
mi manchi lo stesso.
Ti sto abbracciando;
non mi basta.
Dai, ti stringo più forte,
sì; ma non mi sazia.
E se ti bacio?
Uno, da solo, non fa amore.
Allora, cos’altro vuoi?
Ogni istante di te.

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L’onesto furioso

A stento il favellar si fece muto
tra orde di ostinati imprenditori
forieri di guadagni e malumori
di gruppo per fortuna assai sparuto.

Incauto sono stato al lor richiamo
nell’intascar la gonfia bustarella
che per timore d’abitar la buia cella
scappai quando vidi il pesce all’amo.

Lontano dall’esser disonesto
mi rivolsi alla casa dei gendarmi
e raccontar la forma di quel gesto.

Fiero d’aver fatto cosa giusta…
mi ritrovai su strisce con la multa
senza medaglia in petto e senza busta.

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L’ovvietà della morte

Come posso vegliare sulla morte
annusare il suo odore nella notte
viaggiare per cercare le sue rotte
e lasciarla fuori da tutte le porte?

Vivrò nel deserto in solitudine
sarò eremita di Dio e di me stesso
è un grande sacrificio lo confesso
non varcherà la mia rettitudine

La solitudine non è un guerriero
è sorella della Nera Signora
non è la fuga un perfetto sentiero

In fondo la vita è un notturno fiore
un Kadupul di rara fioritura
mentre la morte ha un banale afrore

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L’Amour per te

Forse è un pensiero disobbediente
che non smette mai di scriversi,
è una dolce imminenza di passione
che goccia dopo goccia ti disegna in me.

L’Amour per te,
alle volte è veleno
nell’avvolgere la mente d’assenza,
mai come oggi abita il mio corpo
e si sovrappone ad ogni concetto,
esso dice di te nello scenario inaudito
di mille contraddizioni.

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L’Attesa del Bello è più Bella del Bello

Leopardi, poeta da me tanto amato,
sì colto e profondo ma un pò sfortunato,
dei versi perfetti con talento innato
versava in poesie ricolme d’afflato.

Al Sabato dava il compito grato,
di esprimer la gioia di tutto il creato
in quel lieto giorno, preludio alla festa
in cui tutto ride e gioia desta.

Io che non son degno di farne menzione
di chiamarlo in causa in questa occasione
di mia ispirazione guidato dal cuore,
con i versi esprimo pensieri ed umore.

Rifletto e d’istinto riverso in poesia
i miei sentimenti e quella magia
che si crea nel cuore affrontando la vita,
la storia, gli eventi, la corsa infinita.

Che cosa contrisce di più corpo e cuore
di quella frizzante impazienza e bollore,
nella naturale e serena certezza
che sempre precede un evento o una festa?

È vero, l’attesa del tanto voluto
è sempre più bella del reale vissuto,
perché quel vissuto già volge al declino
e fiero ritorna il normale cammino.

Il tempo e la vita ne danno ragione
in certi momenti e in ogni occasione
che ognuno di bello si trova a provare
e tutto del mondo ci fanno apprezzare.

Spronandoci a gustare appieno il sapore
di ogni delizia che il bene dispone
riuscendo a far nostro quell’attimo bello
e dentro tenercelo come un gioiello.
Così come un bimbo che viene alla vita
dispone alla gioia e a sperare invita portandoci invece la vita che muore
la fine e il rimpianto del tempo migliore.

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L’Incontro

Quando ci incontreremo,
i nostri corpi si disgregheranno,
andranno in pezzi,
e le nostre Anime
verranno fuori come una cascata,
un fascio di luce,
e si uniranno come magneti,
creando un unico bagliore,
da dove nascerà l’Amore.

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L’ora attesa

Dietro il giardino volge cocente  una barca la vela al levante,
verso ponente rami pigramente ondeggiano al vento ansimante.

Meriggia in un modo fatiscente: un movimento di cosa radiante,
l’andarsene  dell’aria e, radente  terra, l’ora in pausa, invariante.
La lingua è persa nel labirinto, fatuo incanto, dei sensi silenti;
la memoria senza traccia tormenta
le frasi fatte, enigma intinto nella mente; contigui  accidenti
s’attardano in logica cruenta.

Il pensiero infante d’afa mima, sconcertato, l’intento
di un serale cercarsi distante.

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La cicala e la formica

Cicala, che sugli alberi hai dimora,
cantavi al sole vivo un sogno eterno,
senza curarti mai del triste inverno:
eri ricca e non lo sapevi ancora!

La formica, d’economia signora,
temendo della vita il fato alterno,
conservò per salvarsi dall’inferno
e, sazia, la vendetta sua assapora.

Il canto tuo fa or la fame fioco
e, tronfia, ride la formica avara,
sotto terra strisciando nella tana

In te brucia dell’arte il sacro fuoco:
delle comuni occupazioni ignara,
per sempre libera muori e sovrana!

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La condizione umana

Esuli tutti siamo sulla terra
Dalla region del vero ormai precluso
La Sorte regge della vita il fuso
E a parer suo l’avvolge e lo disserra

Poi combattuti siam dall’aspra guerra
Dell’incertezza del doman confuso
E se un raggio di Luce un dì ci ha illuso
Subito vien la Morte che ci afferra

La Verità si trova nelle cose
Nascosta nel silenzio e nell’errore
Come volle Colui che tutto pose

Nudi la ricerchiamo e con timore
E fra montagne e notti tempestose
Sol la forza ci guida dell’Amore

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La coppia spaccata

Forse un tempo c’era stato l’amore
tra quegli occhi ormai spenti nel fracasso
di una città affollata di rumore
e di maiali portati all’ingrasso.

Ancora acerbi, ma senza colore,
unità divise per contrappasso,
coppia strappata dall’inquisitore
chi può spiegare il lancio di quel sasso?

C’è ancora tutta una vita davanti,
si racconta ai giovani per placarli
e farli rinascere di speranza,

ma quante crepe invisibili, quanti
tagli di semi! Vorresti fermarli?
E’ sparito lo spazio nella stanza.

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La culla del sapere

Leggo discorsi sciocchi assai sovente
sul muro senza sassi né calcina
s’esprime ogni genere di gente
dell’italiano, una carneficina

il congiuntivo non conta più niente
ricchezza di concetto, Madonnina!
a questa folla sorba e impertinente
gli darei una bella medicina:

“scrivi cinquanta volte quel pensiero
e poi alla fine non ne fa’ di nulla
la penna ti conduce verso il vero!

Cova ogni parola che ti frulla
rinuncia al discorso passeggero:
il sapere s’alleva nella culla”.

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La Danza dei Cuori

Danzano i cuori all’unisono,
Nella sincronica assonanza.
Battono uniti il ritmo
E si danno vicendevolmente “il tempo”.
“Due cuori e una capanna”,
“due cuori ed un battito”.
Le anime gemelle,
Le coppie affiatate,
Danzano sulla musica,
Danzano sulla musica dell’amore!

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La memoria

I piccoli
i grandi eventi,
si capiscono dal finale.
La luna inorridita
è testimone
di una pagina infame
di un libro scritto
con la penna
dal pennino
intinto nel sangue.

C’è chi da giovane
ha visto cose che
“un ragazzo non dovrebbe mai vedere”

Per quanto
ci sarà chi usa l’aspo
esisterà
chi maneggia l’arcolaio.
I numeri si susseguono,
le foto sbiadiscono,
la memoria resta e
non si cammina
sui cocci di vetro
senza ferirsi.
Una ferita si rimargina,
il cuore
continuerà a sanguinare
ogni volta
che la mente ricorda.

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La nascita della vita

(Col pittore Courbet sembrava che avessimo chiuso con la
Creazione.Guardando il suo capolavoro”Le origini del mondo” vedo solo
una magnifica “fica”(sic))

All’inizio c’erano fiche col miele
scrupolosamente d’acacia il più dolce
i bimbi erano pupazzi di zucchero
il mondo era dolce e tranquillo
sulle cime la neve era di panna
in pianura l’acqua era tiepida
pioveva anche col sole
ma erano gocciole d‘argento
la temperatura era quella delle Canarie
non più e non meno di 22.
Poi,fu tutto un accorrere scomposto
poco pochissimo si capì
perchè tra insetti e bestie cresciute
le pareti della terra oscillavano.
I leoni ruggivano doppio o triplo
gli elefanti barrivano al cubo
gli uccelli erano cicale giganti
in mare anche i delfini di solito muti
avevano cominciato a strepitare.
Vennero le api e non fu poco.
Queste inermi creature
(ovvero “ermi” con modesti pungiglioni)
avvertirono il profumo del miele
e corsero.
Le donne che con grazia custodivano
si abbandonarono
i bimbi trovarono nuove strade
per nascere
perchè le api erano una minaccia.
I bimbi scelsero i calici
si confusero con gli stami
che non si prestavano
uguali uguali alle fiche.
I calici erano di miele apparente
nascondevano anche modesti veleni
che automaticamente trasmettevano.
Fu così che non avemmo più
bimbi di zucchero
nè signorine di miele
nè esseri ancipiti(mezzi e mezzi)
perchè le donne non erano arnie
i loro buchi non erano più gialli
la volagarità era in agguato
venendo da dietro le piante
dove se ne stava nascosta
fece scempio.

 

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La quiete

Quiete nei bassifondi di città
quasi d’incanto questa notte regna
carcasse d’auto e ruderi più in là
non ci sarà vita violenta e indegna.

Fiocchi lampioni e bruma di lillà
pacate le osterie accesa è l’insegna
deserte le vie prive d’ansietà
quasi di tenue armonia l’aria è pregna.

Lontana la pianola nenie effonde
e una donna con voce roca canta
al bimbo in seno sotto umide gronde

Questa notte la pace sarà tanta
poiché anche nelle più lontane sponde
consola un Angelo la gente affranta.

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La ragazza emigrante

Verso lontana sconosciuta gente
a dicembre partisti sola sola;
è un anno che da casa tristemente
tu te ne andasti e dalla famigliola.

Vedevi le altre diventare spose,
nessuno a te mandava l’imbasciata;
le mire del tuo cuor tenevi ascose,
dai giovani venivi trascurata.

E come un padre in cerca di lavoro
a Lugano giungesti, o Giovannella,
per guadagnati un piccolo tesoro

che d’amor ti facesse degna e bella.
Or guardo invano verso quel tratturo
dove tu passavi mattina sera;

or guardo invano verso quel torrente
dove tu lavavi sul sasso duro
i panni rattoppati alla corrente.

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La spiegazione

Mamma me ce vedi a camminà come li santi?
Figliolo non c’è bisogno a camminà così
basta che te movi giusto pe’ li tuoi canti
e che non stai sempre a dir de sì.

Ma che vuol dì pe’ li tuoi canti?
E perché non devo dí sempre de sì?
Vo dì che tutti c’avemo già dove far li santi
e che a dir di no ce vò come a dir de sì.

Te vedo un po’ interdetto
mo’ te spiego come se fa da noi in contrada
e così te faccio un po’ d’effetto.

I santi se movono in cielo
noi ce muovià pe’ strada
e qui è tutto no sfacelo.

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La sposa di sabbia

Talvolta ci fascia come una brezza
un lieto ricordo, senza chiamata
s’insinua con pronta dimestichezza
lungo i sentieri dell’impolverata

ragione. Si ergono antiche memorie
di quella marina, del suo profumo
bisbigli e parole contraddittorie
poi il desiderio a farci tutt’uno.

Un lido suonava la tua canzone
che ripetevi con voce armoniosa
mentre annegavo nella suggestione

della tua pelle dorata e flessuosa.
Ora la sabbia imprigiona un barcone
e sulla battigia un velo da sposa.

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La tua assenza

Eppur m’era parso
di scorgere nello sguardo tuo
la mia nuda immagine riflessa
e mentre tutto intorno

il mondo si movea a comandi
io avrei voluto tagliare i fili
per dare alle tue labbra un morso

Ma chi scriveva la trama

aveva in serbo il prossimo passo e il verso
ed io presi il treno che facea ritorno
uscendo dalla scena con una ferita al petto
e nelle tasche le parole che non ti avevo detto

che mai avrei pensato mi avrebbero reso sordo

smanioso, vorace, insaziabile, ingordo

Ed ora che dal silenzio son avvolto
io chiudo gli occhi e ricostruisco il tuo volto
e mentre scorre inesorabile il tempo
mi chiedo quando ancor desidererò il tuo corpo

Mi restano queste ultime righe
che non aggiungeranno altro
se non scarabocchi e false via di fuga
dove ad aspettarmi troverò la tua assenza

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Larva d’esprimer che interni segreti

Larva d’esprimer che interni segreti
possiede la mano a scrivere intenta:
qual verbo mai il reale rasenta?
come afferrarlo con sì lasse reti?

La parola sia legna che leggendola
ignisca, levando un fumo che annebbi;
danzin le fiamme in accesa farandola
fugando ogni senso, s’uno mai n’ebbi.

Godane l’occhio e l’udito, la bocca
si riempia in volute d’aria barocca,
il tatto s’arrenda a un vago stordirsi;
il verbo da sé di senso trabocca
nel suono, muta corda che rintocca
in ogni senso, senza dir, nel dirsi.

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Le guerre

Per raccontare ciò che capitava
fin dai tempi dei Tolomei e la Pia,
riporterò qui sotto un’ottava
del Poeta… che non si sa chi sia.

Negli anni che de’ Guelfi e Ghibellini
repubbliche a que’ tempi costumava,
batteano i Cortonesi e gli Aretini,
specie d’ogni partito guerreggiava:
i Pisani battean coi Fiorentini
Siena con le Maremme contrastava,
e Chiusi combattea contro Volterra…
non vi era posto che un facesse guerra.

Mettiamo adesso in moto la ragione,
dando uno sguardo a tutte le scoperte,
frutto costante dell’evoluzione,
che poi contro di noi si son riverte.

Prima c’erano spade, pur taglienti,
per conquistar province confinanti.
Adesso bombe e razzi intelligenti
tra Stati con ricchezze assai importanti.

Andando avanti, si, con questo andazzo
si faran guerra pure i Continenti.
Poi toccherà ai pianeti, farsi il mazzo,
financo il sole… e tutti sarem spenti.

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Lieve è la mano…

Lieve è la mano che ti sfiora il viso
e ancor più lieve è il tuo dolore
che nascondi al beffardo riso
di chi denigra della pelle il colore

Fratello, non speravi braccia al collo
né ghirlande di fiori oltre la battigia,
forse un sorso d’acqua e non controllo
rigido, sospettoso per troppa alterigia

Mutano i tempi e l’emigrato di ieri
s’è fatto lupo della propria ciotola
e non divide briciole né pensieri

con altri. Fratello,  c’è chi rotola,
ma si rialza e  guarda all’orizzonte
e chi è prigioniero in una botola.

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Madre

Triste lo sguardo e spento era il sorriso,
gli occhi già rivolti ad un altrove,
finito il corpo, ormai di morte intriso,
e la parola che più non commuove.

Sento la sua presenza in ogni dove,
come un eco che ritorna improvviso,
e mi confonde con vecchie e nuove
memorie e un dolore fermo e preciso.

Ora, in quest’ora incerta, antelucana,
dove tutto sempre è sogno e mistero
e anche la speranza un’attesa vana,
per quanto mi sforzi, niente è più vero
se non la certezza, soltanto umana, del suo guardare silenzioso e fiero.

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Malinconia

Non c’è giornata ch’io figliolo amato
non pensi a te che sei così distante,
vorrei vederti almeno un solo istante
a casa qui con me, da noi curato,

coperto da quel nostro amor radiante
che a te sovviene puro e smisurato,
vorrei toccarti figlio mio acclamato,
accarezzarti come a quando, infante,

t’accarezzavo e tu così piccino
tra le mie braccia grandi t’adagiavi
per poi dormirci le serate piene!

Non c’è momento, lungo il mio cammino,
che non ripensi a quando ti svegliavi
e mi dicevi: pà, ti voglio bene!

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Maremma Toscana

Rotondo il Monte su in alto sorride
sotto i raggi del sole del mattino
scorge gli alti picchi dell’Appennino
che due mari dallo sguardo divide.

Colora il vento d’autunno le foglie
sparge i ricci ai piedi del castagno
toglie le vesti il faggio suo compagno
i rami: braccia di soldati spoglie.

Eppure tuona un profumo improvviso
aglio, viola, pervinca, rosmarino
si veste la campagna di colori.

Si muove nella brezza il fiordaliso
danza il campo di grano ballerino
la notte attende il giorno ai primi albori.

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Maremma, tramonto d’ottobre

Sa di pace questa terra adagiata
nel silenzio, una quiete indugia
senza tempo intorno e scioglie
l’abbraccio delle ore al confine
tra la terra e il mare, ove ambrata
luce all’orizzonte si rifugia
nella schiera delle nubi e raccoglie
orli d’ombre di là delle colline.
E ansima di vita questa stagione
ancora nel cuore acceso di fronde
fluttuanti sul fianco della sera,
bisbigliano le foglie la canzone
loro antica che al sonno le confonde
in questo autunno che sa di primavera.

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Matrimonio

Il diciotto mi son sposato con la felicità, Laura è questo in realtà!
Pochi amici, un pranzo e tanto amore.
E dopo otto anni,
Siamo ancora con il batticuore.
Siamo sposi da un attimo
E da un’eternità,
Per questo il matrimonio va!
Il diciotto mi son sposato
con la donna della mia vita,
Che gioia infinita!
Finalmente l’ho trovata, nel cammino
Ed ora siamo mano nella mano,
A percorrere questo viale strano,
Questo quotidiano ti amo,
Che ci conduce dove il sogno si avvera già!

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Mutamento

Nella notte farò a pugni con le stelle
marciando ed invocando la speciale
protezione per divenire più ribelle
a questo stato amorfo che ci assale.

O amore dove sei finito? Protesto
contro il cielo e a quel Dio paterno
chiedo del come dato il contesto
non muti il reale in atroce inferno.

Eppure io mite amor umile mi dono
dall’alba all’ultima goccia della sera
tramutando i pericoli in opportunità.

Guarda lo splendore d’oro del perdono
dolce rosa sul viso di chi si desidera.
Baciato l’amore ecco rifiorir la felicità.

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Nel bosco…

Foglie cadute al suolo,
viali di pini ombrosi,
distesi dentro al bosco,
estesi come il mondo.

Suonano piano,leggeri,
di dolci canti lonteni,
battendo veloci le ali,
profumando di fiori.

Ascolti il silenzio,
ovunque brulica vita,
scorre lieve il ruscello.

Poi giunge giù a valle,
un dolce pensiero,
si rincorre lontano.

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Nel silenzio infinito delle cose

G. Leopardi

Quando salii sulle dune faticose
nel deserto del Sahara infinito,
verso sera al tramonto ho percepito
il silenzio immenso delle cose.

Silenzio delle notti luminose
nel precipitare delle nubi australi
fra le sabbie arse e i fortunali
delle stelle splendenti e misteriose.

Non si poteva andare avanti,
tutto era attonito e sospeso,
solo ombre silenti e assordanti,

era un procedere verso l’eterno,
un perdersi in un gorgo inatteso,
un ritornare nel grembo materno.

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Nell’orto ancor gridano i bambini

In cerca di fortuna andasti via
con il treno della disperazione
e salutasti tutto alla stazione
tornasti un giorno per la nostalgia!

Svanita del partito la sezione
e tua madre morta di malinconia
la piazza ancor malata d’apatia
la speranza indegna negazione!

Nell’orto ancor gridano i bambini
aggiungono foglie ai gelsomini
le strade emaciate sempre amare

ahimè così non doveva andare!
Il turrito orologio batte l’ora
spande rintocchi alle campagne ancora!

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No alla violenza

Nel silenzio che preme il tuo cuore
Oscurato da un tempo che muta,
Aprirò le mie braccia all’amore:
Libertà influente, spesso taciuta.

L’incerto doman rifugge le ore,
Annuncia la gioia ch’ella rifiuta;
Violenza che ottunde il valore,
Illusione d’una vita perduta!

O, lealtà, dona a noi speranza:
Luminosa occasion di salvezza;
Empatia che esclude arroganza,

Necessaria a scacciar l’incertezza.
Zinnie arancio ornano la stanza;
A riprova della viva bellezza.

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Noi donne

Posso appartarmi
nel dolore incompreso,
nell’angolo della vita
in rassegnata attesa

Posso guardare gli anni
della fresca bellezza
e nutrirmi
di ricordi e rimpianti

Posso arricchir le fila
di noialtre spettatrici
di altre vite,
di altri progetti e volti felici

Oppure no,
oppur vivere e rinascere,
sbocciare libera
e imparare ad amarmi

Scoprire la delicata poesia
di nuovi candori
e nella ruga
riscoprire la ricchezza di emozioni

Posso abbracciarmi
e sentir l’ebbrezza
di una nuova
libertà
dove vale ciò che si è,
non ciò che si da.

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Nostalgia

Il vento sibila
fra le colline boscose
e sento note sommesse
di onde lontane.

Le sento arrivare
laggiù oltre il mare
dorato e inquieto
dove si tuffa il sole.

Chiudo gli occhi
e immagino i marosi
che s’infrangono
sui millenari graniti.

I pini e gli ulivi
piegati al volere
del vento impetuoso.

Fioriranno ancora
i gigli nella calura
sulle dune di sabbia.

Forza e bellezza
prendono forma
nell’ascolto della melodia
racchiusa in una conchiglia.

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Nuove mete

Sognar bianche vele tra le salse onde,
navigar lente verso acque profonde,
salpar per selvagge terre rocciose,
lontani mari e isole misteriose,

lenti fiumi, foreste resinose,
limpidi laghi, pianure feconde,
aridi deserti, valli boscose,
odorosi fiori, brillanti fronde.

Spazio e tempo restano da indagare,
il Globo tutto è già esplorato.
Terre ed isole selvagge e lontane

dei pionieri siete ormai utopie vane.
Un nuovo universo è agognato,
un’ambita meta dove viaggiare.

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Nuvole

Nel cielo azzurro candidi, lontani
corrono ciuffi di lucente spuma,
con forma che, mutevole, s’aggruma
fin tanto che la brezza la dipani.

Lì sembra che si tendano due mani,
si stringano, e che tutta quella piuma
la forma d’un ardente abbraccio assuma.
Giurare par si senta: “Noi… domani…”

Però non dura: in breve si trasmuta
la nuvola, diventa biforcuta
e si rabbuia, andando avanti al sole.

Due nembi poi si fa, che il vento aiuta
a perdersi ciascuno dove vuole:
nessun domani, niente più parole.

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Ordine regolare

Due giovani solitari
suscitano qualche perplessità
un gruppo di cinque o sei
è allegro e vocifera
con cento scoppia la rivoluzione
un battaglione per la guerra
un esercito abbandona le armi
e inaugura la pace.
Ci vorrebbero più eserciti
meno battaglioni
meno uomini in coppia solitaria
più donne alle fontane
libertine alle finestre
più porche con le braghe giù
più panni agli asciugatoi
più boccali a tavola
più rane negli stagni
i cinghiali che sono troppi
i cinghiali ahinoi con sommo dispiacere
come cerchi per il bersaglio ai poligoni.

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Parole d’amore

Voglio donarti parole
non colme di sordi rancori,
pesanti di grandine nera
che cade bruciante nei cuori.

Voglio donarti parole
non pregne di odio feroce
che renda taglienti i miei occhi
frementi di rabbia furiosa.

Voglio donarti parole
che suonino fresche nell’aria
e volino lievi nel cielo
azzurre comete di pace.

Voglio donarti parole
che parlino un suono speciale,
voglio donarti
parole d’amore.

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Perdersi a Vulci

Io non mi chiedo mai: «chissà cos’era»
quel rudere sbrecciato, quel frammento…
in fondo cerco solo un’atmosfera,
o forse l’illusione di un momento.

In questo antico posto di frontiera
quanto mi piace, quando s’alza il vento,
fuggire la realtà, la vita vera
il mondo, il tempo, tutto e non mi pento

se camminando lungo il decumano
mi perdo in quel bel vento mentre spingo
lo sguardo al mar che luccica lontano.

Così, tra queste pietre polverose
la mente vola e di afferrare fingo
quel senso che non trovo nelle cose.

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Regredire

Scruta il Lupo, cacciar non può Alci
i denti stringe non cede l’idea,
sbotta non s’acquatta sotto l’altea
perde la speme non ammassa tralci.

Il Capriolo docile non dà calci
solo nel bosco s’accosta, non crea
mazzolin di fiori non rose Tea.
Un contadin fischia non usa falci.

L’infido Lupo l’assale non smonta:
tenero animale gemer non può?
Respira piano non tiene la conta.

Della lotta non il finale dirò.
Cosa è stato, non di loro conta,
perché nessun’ altra rima svelerò.

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Riesci a bloccare gli occhi o la fantasia? Mia

Riesci a bloccare gli occhi o la fantasia? Mia
visione di bellezza e verità son tutto
qua: un poco di gioco, un capriccio di vento,
un rivolvo di mare. Vedi – è il caso di dire –

nulla di che occuparsi e preoccupare. La
creatività ha la stessa natura dell’
orizzonte o di un puro atto che si sottrae,
eloquente di gloria, alla storia che agisce

nello stesso momento. È con essi che esploro,
e tasto, e assaporo il bacio che beve il tuo
alito caldo come un sogno inafferrabile

dalla reminiscenza reale; che non si può
circoscrivere e neanche sfuggire, nell’afflato
dell’immaginativa che s’impoeta di te.

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S. Lorenzo

Abbarbicato a briciole di mondo,
girando in girotondo,
ammiro stalle e limpide fontane
sfiorate da una luce senza quando.
Il sole va calando,
il contadino torna al focolare.

Le mucche che muggiscon ruminando,
vociare sullo sfondo
“la cena è pronta, a tavola a mangiare.”
I frutti della terra, il pan fecondo
– frammenti di secondo –
profumi e sensazioni ormai lontane.

Stasera ognuno avrà lo sguardo pieno
e musica di grilli e di cicale.
Spettacolo ancestrale.
I volti si rivolgono all’insù.

Si cercan desideri di baleno
frugando l’infinita volta astrale,
nel tenue luccicare
…nessuno vuole scivolare giù.

I sogni sono lampi di sereno
rinchiusi dentro al cielo di un cortile.
Passaggi di comete
nell’insondabile soffitto blu.

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Se forse giacendo

Se forse giacendo
nel suo in-alterato
e più sincero nume
ozioso l’appagare
la mendace forma
al suo avido negriero.

Se forse a dir poco
ogni estremo nascere
varrebbe del suo giovarsi
che misera pochezza
a tanto adoperare al giorno
non inarcasse il refluo sodalizio
a repobra conformità

l’incessante venire dell’uomo
all’uomo nel suo grido di vita
non perirebbe assennato
all’inanità della vita

che iniquia perdura l’esistenza
che si adopra come essa vuole.

Dove le radici non sono sentenza
né collusa ostinazione.
Lì dove la vita ostenta
l’accadimento gemma
Orora altra vita.

E non conosce alcun Nome
questo Cuore
pieno di meraviglia.
Luce Spiro Guida.

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Se le quattro virtù abbiamo velato

Se le quattro virtù abbiamo velato,
prudenza, giustizia, temperanza e fortezza,
la Fede che Dio a noi ha donato
ci induce or ora a fare chiarezza.

Le cose del mondo sono di passaggio
ricchezza, potere, la gloria e l’affanno
la natura si inalbera e ci dà un assaggio
quando s’infuria con tempeste e con danno.

E’ giunto il momento della riflessione,
le quattro virtù ci fanno da lume
non si può credere di avere ragione
senza l’amore che cancella il marciume.

Prudenza, giustizia, temperanza e modestia,
la natura richiama e ci richiede ora il conto
l’essere umano non è una bestia,
è tempo di agir con amore profondo.

Siam piccole parti della terra grezza,
con forza e tenacia depuriamo ora il mondo
da scorie inquinanti, da guerre e mondezza
ricreiamo la pace con impegno profondo.

Natura sublime, ci accoglie con cura,
con le sue braccia di rami odorosi
se talora si infuria non abbiamo paura,

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Sebastiana

Dolce è una lacrima,
se dal tuo martirio sorge,
la mia nudità argina,
il pungente dolore che il tuo corpo morse.

Una sola parola scoccata,
sono cento frecce all’animo impotente,
nella grazia dorata,
il costato è un sigillo d’amore veemente.

Colti petali di rosa,
carezza aulente al seno commosso,
effigie cortese allo sguardo soave.

L’aversi nel tempo del donare

l’abbandono alla sacralità del legame promesso,
labbra lambite nel perdono da accarezzare.

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Senso del mistero

Il senso del mistero è il vento
che molto trascina nella polvere
fatta dei ricordi di chi è contento
a dispetto delle lacrime più vere.

I nostri sogni saranno belli,
se faremo speranza del dolore
che carezza le pelli
delle persone d’ogni colore.

Saremo parte della dolcezza
più vasta, sconfinata,
e faremo vita dei respiri.

Saremo la gente nata
per fare di noi la pienezza
d’una vita spensierata.

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Sera d’autunno

Profumo di legno e castagne al fuoco per le deserte strade
leggere scie di fumo s’innalzano lentamente in cielo
una debole pioggia dolcemente cade
avvolgono il paesaggio di fascino e mistero

Le foglie lentamente volteggiano nel vento
danzano con le gocce come vecchi amori
spogliano le fronde degli alberi dal vecchio indumento
si posano e ricoprono la terra bagnata di tenui e caldi colori

Nei cortili oramai deserti si odono voci di anziani
tra il profumo di mosto e botti bagnate
affaticati si riposano nell’attesa del domani

Dolcemente la fitta nebbia sui tetti si posa
dipingendo uno splendido quadro di una sera d’autunno
come fosse il sbocciare di una rosa

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Serrata

Non così, vi avrei voluto lasciare
nelle crepe storte di un tempo oscuro
se una mano a non farvi catturare
ironia che porta fin dentro il muro.

Guardo il sole al tramonto di un domani
e brucia l’orizzonte nell’attesa
aspettando il tocco di quelle mani
se non sarà la firma della resa.

E crederò nelle stesse carezze
a scandire uno spazio ancora chiaro
al riparo da vendute certezze

entrerà luce nelle fenditure
e l’alba si aprirà s’un filo raro
via da quel muro e dalle nostre paure.

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Sformato di gobbi

Gobbi che non siano ladri iuventini.
A levar la costa filamentosa
ci vorrà pazienza, non altra cosa.
Cardi: mezzo chilo, di quelli asprini.

Tagliali, buttali in acqua salata.
Ché non diventin neri sai che fare:
cucchiaio di farina e pedalare.
Cotti croccanti, tutti alla tritata.

Butta poi i cardi nella bacinella:
uova, noce moscata, parmigiano,
non ti scordare sale e besciamella.

Piglia la teglia, non caschi di mano,
imburrala, nel forno un’ora bella.
Attento che scotta: gustalo piano.

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Smarrimento

Fino a ieri,
sorridevo al nuovo giorno,
mi rimboccavo le maniche
ad ogni cambio di calendario,
incurante della stanchezza
e delle notti bianche.

Sorridevo alla vita,
al futuro, a te amico mio,
e a te che non conosco
ma che mi saluti
quando ci incrociamo sulla via.
Già, fino a ieri…

Poi, d’improvviso,
qualcosa si è rotto,
spezzato, frantumato,
qualcosa che non appartiene
al mio microcosmo,
ma che sento provenire
dal marasma del mondo esterno.
Qualcosa ha paralizzato la mia vita.
Niente è più come prima,
lo sento subdolamente dentro,
un aculeo nell’anima.

Nel cuore è calato
un velo di tristezza
che non si lascia togliere.

Nella mente non più pensieri
luminosi, ma il caos.

Il respiro rallenta,
fino a diventare un flebile rantolo.

Smarrimento.

E’ di nuovo giorno,
ma ho paura.
Paura di non ritrovare le mie origini.
Paura di perdere il controllo.
Paura di ascoltare.
Paura di dire.
Paura di non dire.
Paura di fare.
Paura di non fare.
Chi mi ha tolto il sorriso
mentre ancora sognavo
albe rosate e tramonti di fuoco,
mentre ancora sognavo
di abbracciarti per essere felice,
e tutto questo mi bastava?
Chi mi ha rubato la libertà?
Qualcuno ha calato il sipario
senza chiedermi il permesso.
Rivoglio la mia vita.

Giugno 2022

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Sofferenza d’Amore e speranza

All’imbrunire odo alitare il vento
ma la natura selvatica tace
e tutt’intorno poi regna la pace
però spezzata da un sordo lamento,

e nel pianto s’evince il patimento
dell’alma mia che molto si dispiace
delle bugie di un amore fugace
che ha beffato ogni mio sentimento.

Ma ora che sta per giungere l’Aurora
a lenire cotanta sofferenza
allora un dì la speme nel mio core

ritornerà per sanare il dolore
che mi fu procurato dall’assenza
del vero Amore che anelo tuttora

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Solitudine

Tra le pieghe del giorno s’affollano
i ricordi: tornan protese le vie;
dentro i cortili i bimbi giocano,
rincorrono l’aria di sinfonie.

S’ode il fior cantare tra arbusti
dove i raggi del sole si posano.
L’ora tersa del giorno pasce venusti
casali nel mentre si riposano.

Belano le mandrie, vanno nel sentiero
verdeggiante dei prati a primavera,
risuonano i campanacci al pascolo.

Torna il cielo antico: il volto sincero
che non reca inganno ma abbevera
il peregrinar di chi riman solo.

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Sonetto di una goccia

Niente è mio di tutto ciò che esiste
Neanche il mio corpo, lo dovrò ridare
Al re del tutto ma non sono triste.
Mia la capacità di sognare

Mia la voglia di fare e progettare,
mia la poesia che sul foglio insiste
a contemplare il mondo, a reinventare
il nulla. Nulla resiste sussiste

neanche io che poeta immortale
volevo diventare e poi restare.
Impermanente sono. Ma ferale

Non sarà il tempo a non tornare.
Il canto, il verso che resta uguale
Come di goccia che muore nel mare.

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Sonetto stonato

…Scrivo,
provo ad esternare pensieri
puri e sinceri,
eppur sopravvivo
in un mondo iniquo e ingiusto,
Vorrei comporre una stonatura
una nota fuori da questo coro vetusto,
una falla, una forzatura.
Ognor spaventa e impazza,
fa ridere
o schiamazza,
tristi opere
poste in fila indiana
per queste sere
e quelle d’un altra settimana.

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Sul confine

In chiara luce d’intatto mattino
mentre lento è il declino d’estate
ombre quiete ritrovo e persone
care, fors’anche soltanto sognate.

Pare allora leggero il cammino,
in discesa, come ora è l’estate:
anche il cuore si fa una ragione
di perse mete, per sempre mancate.

Cerco luce incantata, che ammali
mentre lenta tramonta la vita,
cerco ombre d’affetti amicali

con le lenti di fragili occhiali.
A quest’alba chiedo quiete infinita:
sul confine ho bisogno di ali.

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Talitha kum*

(sonetto caudato)
Ragazza sveglia, ascolta il mio richiamo:
levati su dal letto e lascia i sogni
alla notte fuggita, fantasmi d’ombra
senza alcun spessore.Il sole chiama

a muovere le membra e scalda i corpi
usciti dal torpore. Munisciti
fanciulla del vigore dei pensieri
che la luce modella. Ammiccano

tra le pareti della mente come brilla
una stella al firmamento e tracciano
rotte per valicar l’angustia dei confini

e liberar le forme prigioniere
nel soffio raggelante, dove muore
l’anima tua  ribelle e rigogliosa.

Presenta al giorno la tua perfezione
e sii per te sorella e dolce madre
nel lasciar sulla strada ogni tormento

* fanciulla alzati, nel vangelo di Marco

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Talvolta nel rimar tento l’ardire

Talvolta nel rimar tento l’ardire
ma immacolato foglio inganna;
vaga il pensiero e poi s’affanna
cercando temi nuovi da scoprire.

Che d’amor, guerra e umane mire
il mio poetar osa oppur si danna;
quell’inedito che pare appanna
che d’altri versi già fu tanto dire.

E il meditare vergine rifugge
argomenti da millenni uguali
e sensi di gioia o di soffrire;

così in questo scrivere che strugge
per poco sopravvivono ideali
disperse d’orgoglio eterne spire.

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Tempesta nel cuore

“ Mi fa un sacco male
saperti fra le braccia
di qualcun altro.

Ogni sera ti ammiro,
scorgo il tuo viso nelle stelle
e anche se piove a catinelle,
il tuo sorriso è da capogiro.

D’un tratto però…
Arriva la tempesta,
senza nessuno avvisare.

Cruda e violenta,
porta con sé lampi, turbini,
saette e fulmini,
tutte cose che in mezzo ad una tormenta
non possono mancare.
E’ così temibile e funesta.

Al suo avvento,
ogni stella
lentamente svanisce,
come la carta fra le mani di un mago
che sparisce.
Possente, scrosciante,

Ma sai qual è la cosa bella ?
E’ la presenza della tua voce
tra le fredde grida del vento.

Tutto sembra finito,
ma ecco che d’un tratto;
c’è un altro arrivo.
E’ un botto.
Tutto è ripartito.

Fa paura;
ma in mezzo a tutto quel nero,
a quel buio così scuro,
che ha bruscamente allontanato ogni cosa,
che ha fatto appassire la rossa rosa,
che ha attaccato con un colpo duro,
che ha preso potere in modo austero
e con molta disinvoltura,
solo il tuo viso non scompare,
e questo rallegra il mio cuor,
che un sonetto va a cantare.

Amore mio bello,
come il dolce canto di un fringuello,
volteggi con assoluta bellezza
e ti unisci dentro me. ”

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Terzo spazio 18.11.21

Né paria né prima
né supra né infra
ma successione in fundo
di superficie specchio.

Terzo che dello spazio
frangi il suono in eco
e come eco
il divenire seco
tieni, meco lo sguardo
d’altrui dispiego.

Nave che a diporto pria
a monte tace
di livella
luce amor soggiace.

Come arco in baleno
dopo  il pianto
ascolto il canto.

Rosea vita accorri
a corpo dare
dell’impavido ardire
in virtù forgiare.

Guarda eppur prova
nell’historia umana
di popoli a virtute
fueron mute,
del verbo il sole
a rifiorir parole
e prole di proselita speme
indora.

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Tragedia nel mondo

Venti tormentati di contesa
gravi, pesanti, imminenti
vendetta, odio, furia inattesa.

Si vuole estirpare con rabbia
il male in ogni forma dal mondo
ai temuti, barbuti, sozzi talebani
si dà la caccia, li si appella cani.

Guerra infinita, globale,
e se il cosiddetto rimedio
fosse peggiore del male?

Ci sarà di che morire e piangere
da atti di guerra non verrà pace
che si usi la forza della ragione

Prudenza e che mai si dismetta
mite accortezza la sola capace
di assicurare l’autentico bene
a ogni piccola o grande nazione.

Basta! A nessuno si permetta
che la terra un deserto diventi
si aprano gli occhi, siamo nuovi, limpidi e con un grande cuore
pace sincera si semini nelle menti.

Su tutti grava un buio tremendo
giorni infelici, folli distruzioni
ferocità, ci si scanna: massacrati.
Guerra e ancora guerra, vili attentati,
ovunque cadono a milioni bombe
rombano, impazzano, scavano tombe.

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Umil creature

Rappresentano delle umili creature in natura i fiori.
Son pieni di stupende rose i giardini,
ritte e snelle sul gambo sottile che porta orgoglioso
quel fiore dalla forma tanto perfetta,
di tulipani con lucenti petali dai vivaci e chiassosi colori.
Son pieni di graziose pianticelle i prati:
le margherite con la bianca corolla leggermente dorata,
le viole dal delicato profumo, le gialle primule,
i fiordalisi azzurri riempiono della loro bellezza i fili d’erba.

La perfezione è osservarli da vicino i fiori,
studiarne attentamente i petali, i pistilli, le delicate foglioline.

Somigliano a dei piccoli calici, a dei rovesciati ombrelli,
a delle piccole campane i fiori.

Son perfetti gioielli che la natura offre i fiori.
E i colori?
Ora rossi, ora gialli, ora azzurri come il cielo,
ora turchini ora sfumati
con tinte che non si possono definire,
che colmano gli occhi di stupore.

Lo spettacolo dei fiori di gioia riempie i cuori e ricorda quanto è bella e meravigliosa la Terra.

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Vapore

Bevo tanto caffé
troppo
lo so
lo ammetto
ma ce ne è uno in tutta la giornata
uno soltanto
ha un sapore unico
un profumo
irripetibile
come un fiore
poi si perde
svanisce per un giorno intero
come un gatto indipendente
ma ritorna
ogni mattina
nella cucina
il sole filtra appena dalla persiana accendo
il neon piccolo sul lavandino
tu entri
arrivi dalla parete celeste
ti sono sempre piaciute quelle piastrelle è bello rivederti
ma non parliamo
non ci serve
tutto già mi conosce dentro questa stanza e conosce te
la luce fragile del mattino presto attorno a noi due come un cerchio
gli occhi
socchiusi ancora
la stanchezza
ancora sulle palpebre
ce la teniamo stretta
un’ultima briciola
discioglie lenta sotto la lingua.
Solo questo esiste
io non più.
Tu arrivi
il vapore bagna l’aria.
Non guardare.
Usa i pori della pelle.
Eccomi.

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Vento di parole

Spargere, simile a sterili semi
al vento, le parole silenziose.
Parole mute, le parole erose.
Smarrir come irraggiungibili spemi:

apparenti orizzonti di fonemi.
Incomunicabilità di ascose
gente; nelle sillabe misteriose.
Tumide labbra simili ad emblemi.

Geme veemente a volte la brezza.
Altre, la bonaccia carezza il mare.
Sibila silente con amarezza

la tramontana , cercando d’amare
di gente il cuor; cercando una carezza.
Di lontano lo odo , sento vociare!

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VII

Fammi scrivere ancora, se a volte tuttavia
odio la penna che fila sul foglio le trame
che ignoro. Sui tetti ti dico battono lame
ardenti, nel cielo una retta disegna la scia

Di un volo che porta i pensieri in un presto
svanire nel fumo. Delle case un silenzio rimane
tradotto, passato il mezzodì, dalle persiane
la famigliare intimità separando dal resto

Del mondo. Ora il tempo sembra fermo
sui suoi passi ma io non l’assecondo: sulla carta
un abbrivio mi spinge a salpare e i luoghi vedo

Che mai occhi hanno violato, più veri. Credo
sia la vita dell’anima nella lingua che ne accerta
l’esistenza, il rango, essendone a volte schermo

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Viola

La bellezza di certe conoscenze
sta nella casualità
o in quelli che diciamo incontri fortuiti
pioggerelle inaspettate
che mitigano le asprezze atmosferiche.
Io non so delle tue storie
tu delle mie altrettanto
eppoi bugie finzioni sospetti dubbi
tutti inventati da noi
manie di grandezze giovanili.
E’ bello sbalordire e restare sbalorditi
solo di chi ne ha passate
o si appresta a passarne
finiremo per interessarci.
Chi nulla ha alle spalle è appena morto
o si appresta ad andarsene.
La tua provenienza semibuia
fascinosa per nuvole e sereni alle spalle
dorme nelle mie mani.
La tua forza è negli occhi immensi
che mi piegono dove vogliono
già suddiviso in un quarto di foglio
aspetto le tue rivelazioni minute
e i frenetici giri di penna.
Sentendomi una specie di bucato
ti ho detto “Stendimi sulla spina.
Esponimi alla corrente.Quando sarò asciutto
mi potrai usare e frizionare”.
Così abbiamo preso a stare
senza una casa e senza una pietra davanti
senza una pergola e un fiore
neppure due gradini
che di solito immettono sul pianerottolo.
Ho visto gente appollaiata sopra
buttata verso camini monumentali
per il piacere d’essere vicina al cielo
gente che condivideva con le cicogne
che dove arrivano piazzano nidi sproporzionati
gente che scopava e la faceva in alto
che spruzzava enormi quantità.
Dall’alto anche noi spregiudicati
carezzandoci ci potremo raccontare.
Io,per esempio, ho vicende lunghe
non mi è bastato ammorbidirle e stirarle
perchè rimbalzano.
Le mie vicende e le tue
segnate da lunghe stagioni
in cui non pioveva e non lampeggiava
neppure per scherzo scendeva una goccia
e tutto era arido come alle porte del Sinai.
Eppure,nei tuoi luoghi lontani
qualcosa doveva succedere
la speranza si situa dove non è vista
dove non s’immagina.
La tua fortuna contro il mio quotidiano
che nulla ha dei soggiorni itineranti.
Adesso il dito proteso
verso le tue terre
o verso quelli che sono i tuoi vissuti
è uguale a un colpo di genio
per un miracolo mi coinvolge.
Che bello la tua vicinanza per i miei spostamenti
la tua carne per i miei bollori
il buco per l’affondo
i capelli da spettinare
il collo da allungare
le braccia per nascondersi
il cuore per condividere il battito
l’attrito al bagno
dove magari non si è facilitati
la testa da prendere con le mani
e farsi un guanciale.

 

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Voglia di volare oltre i confini

Quali i confini dei miei occhi
Dietro quella luna violentata?
Forse l’illusione di stelle
Inchiodate come sogni innamorati?

Il buio scende e bacia il mio caffè
Solo poche gocce mentre la collina
Impudica mostra nudità
Sassi nudi, radi arbusti
A contemplare l’eternità

Si riempie il silenzio con le ombre della sera
Annaspo nel ricordo dei tuoi occhi
Ne seguo il percorso coi miei sogni
Smarrisco la coscienza del momento
Chissà son forse li, oltre quei monti?

Dove anelano i miei occhi la pace?
Dietro le bombe, dietro i bimbi morti
Dietro il tuo silenzio statuario?
Il desiderio si scioglie come brace

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