Axel

Scrivo per Axel,
la torta del tuo matrimonio,
le due figurine in cima
che cantano, che urlano
e intorno tutto brucia.

Oh Dio, mio Dio!
Che fetore intorno
che nozze sbagliate,
il sole è caduto
e i vetri sono andati in frantumi.

Ricordi Sara
che nozze sono state le nostre?
Il mare era quieto
e la nave scivolava veloce,
poi la notte
ci ha colti ubriachi
su quella spiaggia deserta,
ma non ci siamo mai mossi di qui, in fondo,
non è vero?

Sempre qui a cucinare
cibi surgelati,
ad arredare le pareti
a rispondere al telefono.

Dalle finestre chiuse
entra ancora il vento,
bisogna aggiustare le fessure,
chiudere i buchi, le feritoie,
ingessare stuccare coprire
affinché l’aria che si respira
sia sempre più buona,
più buona
come la torta che ci ha sposati,
a strati sempre più piccoli, ricordi?

Era proprio buona quella torta
dolce e amara
come si conviene
allo spirito di questi tempi.

Star chiusi qua è un’armonia,
e se qualcuno dovesse vederci
useremo la maschera migliore
quella che ride,
è più conveniente,
sembrerà che tutto vada bene,
noi due, lì ,
sotto un’abat-jour qualsiasi
a sorridere
come annunciassimo nuove nozze
o esortassimo all’idillio
all’unione eterna.

Ora ti lascio
ho troppe cose da fare,
c’è la tappezzeria da ricucire,
il tavolino che scricchiola,
le lampadine da cambiare,
la finestra da aggiustare,
tutte cose che voglio fare io:
ci vuole accortezza, presenza,
un senso acuto del necessario
altrimenti
tutto rimane storto, usato,
drammatico;
invece bisogna pulire, aver cura di tutto
e allora avrai intorno
una grazia quasi comica.

Dovrebbe essere ancora giorno,
lo sento intorno il giorno,
è una morsa di lavoro
che ti prende, il giorno,
il sole penetra sicuro dalle fessure
e tutto sembra utile,
anche la tua ombra,
anche le dita che coprono la mano.

Il lavoro sulla cultura
è da ultimare,
ho ancora migliaia di libri
da consultare
e poi potrei anche stancarmi
e decidere di morire prima,
prima d’aver saputo tutto,
tutto il necessario
per essere immortale.