L’ attonito Ottavio. Per tacer di quello e di quell’altro

“L’attonito Ottavio” è una silloge elegiaca di riflessioni, fatti, ritratti, sentimenti riguardanti una Sicilia dell’anima. Sicilia personale, intima e collettiva nello stesso tempo, visualizzata attraverso la deformazione grottesca che coglie, e restituisce al lettore una visionaria fisionomia barocca. Ne vengono fuori quindi acquarelli che rivelano miraggi scherzosi soffusi di ironica malinconia, schizzi frettolosi e più compiuti studi degli enigmi della condizione umana vista tra composite rappresentazioni oscillanti dal comico al fantastico, dallo storico e filosofico all’apologo, dall’invettiva becera alla partecipata testimonianza d’una età e d’una cultura non ancora del tutto defunte, così come la memoria vorrebbe preservarle dalla voracità del divenire.

Danilo Cannizzaro vive – e già, di questi tempi… – e lavora con i piedi a mollo nel Mediter-raneo, sprezzante dei pericoli connessi con la proliferazione di muffe e condense.
Possiede una di quelle fronti luminose – privilegio concesso ai perincliti Romanzieri – aspersa della rugiada stillante dal potere di maneggiare, mercé la perizia letteraria, il tempo e lo spazio come fosser biglie in mano a un fantolino, e percuote con speciali bacchette donategli perso-nalmente da Billy Cobham i tasti di una Remington a carbonella, da molti considerata oggetto di culto conteso a suon di talleri dalle principali case d’asta internazionali.
Scrive libri affidati all’immortalità grazie al fecondo tributo dei posteri – che ancora non so-no nati ma godono di buone probabilità nella riuscita dell’impresa – senza per questo rinunziare ai più commoventi sensi di umanità in virtù dei quali si benigna di concedere il suo verbo anche ai viventi.

Ciò non è poco, signore, signori. Non è poco.