Seduti è meglio… O no?

“[…] Ti avvicini alla cassa dove c’è già della gente in fila: in genere l’atteggiamento più comune, e anche più vile, è quello di fingersi distratti guardando svagatamente altrove, di modo che purtroppo non possono accorgersi della tua presenza e non possono quindi cederti il posto. Ma c’è anche qualche signora che ti sorride amabilmente, con umanissima e dolcissima comprensione, e fa così pari e patta se non ti fa passare. D’altra parte diciamoci la verità: tu stai seduto su una sedia che chissà per quale stramberia ha le rotelle, mentre gli altri, poverini, devono stare in piedi.” (Cap. 3 – Barriere e Dintorni, Al Supermercato).
Dunque, nell’immaginario collettivo e secondo l’opinione corrente, seduti è meglio. Ma è proprio così? Per rispondere all’interrogativo racchiuso nel titolo di questo memoir, l’Autore si rivolge al lettore in seconda persona, come se l’avesse accanto seduti al bar o su una panchina, e lo volesse schiaffare sulla carrozzina per calarlo nei panni di chi si deve costantemente misurare con le ipocrisie e le inefficienze della società circostante che si annidano in certi episodi tipici e paradigmatici della vita di un disabile. Ne vien fuori un excursus sorprendente, dove le emozioni non rimosse dell’Autore trovano la loro via di fuga nello spirito e nell’ironia, che mettendo alla berlina le grettezze dell’uomo comune, danno luogo a un clamoroso capovolgimento di scena finendo per rappresentare proprio quest’ultimo come un disadattato… il vero “altro”! Ed è così che l’umorismo assume un ruolo centrale in questa antologia di racconti. Da un lato, fornendo gli stimoli giusti per riflettere su alcune delle questioni importanti del nostro vivere, e dall’altro, regalando divertimento e leggerezza con la narrazione di vicende tragicomiche come le traversie descritte nel Ricorso al Giudice di Pace o in Vacanze a Ischia; i miracoli pittoreschi del Pastore Benny in una cornice di tifo da curva sud; le surreali visite mediche in Questioni Urologiche; un pruriginoso incontro al buio in una stanza completamente buia, che diventa claustrofobico – ma per altri motivi – in Afflato Fatale.