Stralunati

Difficile dire se questi racconti siano fantastici o iperrealistici, se in essi sia più avvertibile il tratto poetico o quello chirurgico, se privilegino la deformazione grottesca o la documentazione nitida di un mondo crudele e assurdo. A ogni giro di frase, la realtà pare tradita e sabotata da un fantasticare furioso e contemporaneamente ci si para davanti implacabile, con i tratti riconoscibili della nostra epoca. Certo è che la prosa breve di Inglese è perfettamente adeguata alla condizione dei personaggi che abitano queste pagine – amanti feriti, disoccupati assoldati da multinazionali per mansioni stravaganti, Babbi Natale sorpresi dentro una buca, donne che parlano della loro intimità durante un colloquio di lavoro, famiglie allegramente disfunzionali che vanno alla catastrofe –, tutti sorpresi in una sorta di “stralunamento”, di scollamento nei confronti del mondo e delle sue usuali coordinate. Inoltre, la partecipazione distaccata dell’autore ci permette uno sguardo sia interno sia remoto, insieme partecipe e riluttante, come se la verità dei giorni e delle vite sgusciasse via tanto dalle mani dei personaggi che da quelle di chi li ha creati.
Io tiro calci. Ho iniziato così, per volontariato. Appena vedevo un raggruppamento di individui, anche calmi, che fraternizzavano tra di loro o già avevano fraternizzato in precedenza, io mi lanciavo. Mi buttavo in mezzo e tiravo calci all’impazzata. All’inizio le persone erano estremamente ostili a questa mia proposta. E spesso rispondevano ai calci con i pugni. Ma io, purista quale mi ritengo, non mi lascio influenzare, e tengo la barra ferma: cioè insisto con i piedi finché posso, finché – per altro – rimango in piedi.