Archivio Sonetti

Per non dimenticare 29 Giugno 2009 Viareggio; sono trascorsi 10 anni.

Un tonfo stridente sveglia le stelle,

nella notte d’estate vacanziera,

ed ha-inizio-una tragica bufera.

Da-un sibilo cupo, che-alto ribolle,

 

si gonfia, espande, avanza folle

una nube bassa, di morte foriera;

va per le case che dormono-a sera

e senza pietà colpisce alle spalle.

 

Con laceranti lingue infuocate

rompe le tenebre-un drago feroce,

tutto distrugge con ampie fiammate.

 

Avanza tetro,deciso-e veloce

tra urla, fughe -e sirene straziate.

La città sgomenta-attonita tace.

 

Trentadue vite,distrutte,spezzate…

dall’incuria, una notte d’estate.

Perdersi a Vulci

Io non mi chiedo mai: «chissà cos’era»
quel rudere sbrecciato, quel frammento…
in fondo cerco solo un’atmosfera,
o forse l’illusione di un momento.

In questo antico posto di frontiera
quanto mi piace, quando s’alza il vento,
fuggire la realtà, la vita vera
il mondo, il tempo, tutto e non mi pento

se camminando lungo il decumano
mi perdo in quel bel vento mentre spingo
lo sguardo al mar che luccica lontano.

Così, tra queste pietre polverose
la mente vola e di afferrare fingo
quel senso che non trovo nelle cose.

Però con l’ironia tiro a campa’

Impubere già davo grandi prove
del nulla che mi andava divorando.
Montava sulle furie il prode Orlando
e poi montava pure nelle alcove?

Io invece mansueto come un bove
montavo sulla bici e pedalando
sbuffavo senza meta, anche imprecando
perché ti gira storta quando piove.

I sogni si sognavan tra di loro
e non mi macerava il desiderio.
Da grande che avrei fatto? e chi lo sa.

È vero, non ho mai cantato in coro
ma neanche da solista sono serio,
però con l’ironia tiro a campa’.

Piccola sinfonia per sordi

Mi si è incrinato il cuore con l’età
come un gingillo in vetro di Murano
scalfito da un granello del passato
volato via dal piano del sofà

Ho un ninnolo di vetro dentro il petto
Tintinna ad ogni pianto di bambino
Come un acchiappasogni vibra piano,
quasi un sonaglio appeso sopra il letto

Confusi ed anecoici i miei pensieri
diretti dal pallore della luna,
volti di un tempo, poi volti di ieri
compongono le note ad una ad una…

C’è chi è partito e non ritornerà,
chi troppo in fretta cresce e se ne andrà
lasciando dietro sé soltanto un’orma
Scricchiola il vetro, preda dei ricordi

Nel silenzio notturno prende forma
una struggente sinfonia per sordi.

Pliommero (Pliometrico gliommero)

Il Fato voglia, mena ed incatena,

di tutto lui poi spoglia di gran lena,

al pari di gangrena infetta tetro

tagliando come il vetro l’ima preda.

Per quanto non si ceda ognora incombe

recando ne le tombe chicchessia;

non ha per cortesia pietade alcuna,

così la luna spinge a dar mestizia.

Chè essa più si vizia più ne gode,

abbacina il custode col riflesso,

l’agnello fesso rode e lo trafigge

con pena che s’infligge senz’appello.

Il Fato fa l’orpello e non si vede,

se crede lede, mica s’affatica;

la foglia de l’ortica, e sia con calma,

sul viso questi spalma e non lenisce.

Così chi lo capisce è sol chi creda

che lui provveda, faccia ciò ci piaccia;

ma si dispiaccia l’homo s’ei si neghi,

pertanto anneghi vano tra l’erbaccia.

Poeta e poeta

Il grande poeta sfoggia ardue rime,
fa con la metrica una grave danza,
regala versi di rara eleganza,
in molti animi il sigillo imprime.

La poesia è arte sublime,
sembra egli dire con noncuranza
e, nel segreto della propria stanza,
cerca la rima che il suo genio esprime.

Io sono solo un poeta minore,
cerco la rima che ognuno sa
e voglio entrar nel più umile cuore,

col grimaldello della semplicità,
come abilissimo scassinatore,
con il bottino che il verso mi dà.

Potessi io descrivere il colore dei tuoi occhi

Potessi io descrivere il colore dei tuoi occhi;
la verita´ delle tue mani;
il calore dei tuoi abbracci di pane.
Tu sei la bellezza ;
paura che si fa ombra fugace.
Fascine di legna odorosa;
zolle di terra smossa.
Carezze di foglia di vite;
rossore di pomodori maturi.
La purezza delle rose di maggio.
Il profumo della camomilla nell´ orto.
Tu sei la vita.
Un sorriso infinito.

Priva di corsi d’acqua

Priva di corsi d’acqua, in fondo al molo,
l’aria conta al catasto tre minuti;
nemesi e fuoco, maligna sopisce,
provoca sonni purché non si viva.

L’epoca di “Atlante Sopra”: conferma
e aspro imbrunire del Dio musicato;
libretto avariato, senza peccato,
il suo solo scopo è d’esser tarato.

Aspetto sete per non affogare
in acque luride, tra buchi liquidi:
arsura che disseta di mistero.

Chiudo questo bel cerchio e la ricerca:
arrivo al mio punto, dov’è presunto
medesimo metro fino al mio centro.

 

Promessa infranta

Plana gabbiano, in tiepida sera
ghermisce nell’acqua torba del porto;
col sole che cala sulla frontiera
trascino i passi col fiato corto.

Respiro sul confine effimero
oscillando, qui tutto è distorto;
le onde e il loro riverbero
i miei passi, il mare, sconforto.

Dentro di me, ora scanso la gente
tra mare di cervello in fanghiglia
rimugino passato e presente.

Sigaretta brucia amaramente;
promessa sporca diedi a mia figlia,
il tempo passa e tutto riprende

QUARANTUNO

La mia età

e quella di Alfieri

l’aveva ieri

quando scriveva

la vita vera

Quarantuno

e un mondo

fatto di sostanza

tutta quanta

quel bimbo morto

e la vita

che poi

sorride

nella felicità

di una madre

perchè la vita

è questa:

sorprenderti

non capirci

proprio niente

ed amarla

come una mamma

Tutta quanta

Quasi al Dente

Quanto vorrei riuscir ad intonare

un gioco non indegno del Maestro

del Vecchio Dolce Stile e Padre Nostro

da poter un tantino avvicinare

 

certo sarebbe solo un canticchiare

sortito da un mio sogno un po’ maldestro

ma intanto cerco Lui nel mio registro

scrutando vele sul Suo immenso mare

 

come vorrei parlarvi della vita

dell’amore del tempo e del peccato

condensando sapientemente i temi

 

in minuscoli eppur fecondi semi

germoglianti sui campi d’un sol fiato

ma la burla purtroppo è già finita

Questo mio muto dire nel bosco

Questo mio muto dire nel bosco
non ripercorre, no, quel buon sentiero,
celata via il cui nome conosco,
che porti a qualche silvano mistero.

Questo mio sguardo sospeso tra il lusco
e il brusco, spirito mitesevero
né tutto nitido né tutto fosco,
s’aggira d’ansiose mani foriero.

Il piede che s’inselva non ritrova
il dolcetriste che acquieta e ristora,
chiuso asilo remoto dalla storia,

ma supplementari tracce a riprova
di un andare la cui traiettoria
è alle calcagna della buon’ora.

Radici

Canne al vento
la vita
in balìa del maestrale o del ponentino
ma ancorate a radici
l’alfa e l’omega di ogni cosa

linfa vitale per ogni essere

àncora di salvezza

attracco inabissale

Regredire

Scruta il Lupo, cacciar non può Alci
i denti stringe non cede l’idea,
sbotta non s’acquatta sotto l’altea
perde la speme non ammassa tralci.

Il Capriolo docile non dà calci
solo nel bosco s’accosta, non crea
mazzolin di fiori non rose Tea.
Un contadin fischia non usa falci.

L’infido Lupo l’assale non smonta:
tenero animale gemer non può?
Respira piano non tiene la conta.

Della lotta non il finale dirò.
Cosa è stato, non di loro conta,
perché nessun’ altra rima svelerò.

Revenant Pinocchio

Bravo Pinocchio! Crebbe e sposò Alice,
giunse a lor l’uzzolo d’acquistar casa,
quale lido è miglior per dirla evasa;
‘l tarlo divagò in men che non si dice:

giù, canta la prefica ammaliatrice,
anche su, ‘l fango l’appalta e l’invasa,
nel mezzo, d’ogni dolo vien pervasa;
svanì così ‘l lare e l’aura felice.

Macché scrittori, poeti e naviganti,
disser: qui vol’altro che quattr’occhi,
questo, signori, è un pese di briganti,

vorremmo che qualcun si penta e arrocchi.
Le fiabe son rimaste dominanti,
meglio tornar nel paese de’ balocchi.

Riesci a bloccare gli occhi o la fantasia? Mia

Riesci a bloccare gli occhi o la fantasia? Mia
visione di bellezza e verità son tutto
qua: un poco di gioco, un capriccio di vento,
un rivolvo di mare. Vedi – è il caso di dire –

nulla di che occuparsi e preoccupare. La
creatività ha la stessa natura dell’
orizzonte o di un puro atto che si sottrae,
eloquente di gloria, alla storia che agisce

nello stesso momento. È con essi che esploro,
e tasto, e assaporo il bacio che beve il tuo
alito caldo come un sogno inafferrabile

dalla reminiscenza reale; che non si può
circoscrivere e neanche sfuggire, nell’afflato
dell’immaginativa che s’impoeta di te.

Riflessione (in un sonetto capovolto)

E ti levi su paesaggi perduti
intimità che specchia stagioni,
e ritorni inquietando ragioni
al rosario dei giorni compiuti.
I rimpianti negli anni più acuti
comprendi al timore dei tuoni,
come bimbo i propositi buoni
giurati nascosto in angoli muti.
Sei campo che devasta tempesta,
se lo scroscio concede una sosta
disperi quale raccolto ti resta!
Così al dubbio che si manifesta
illude il vuoto la sola risposta
nel domani che lento s’appresta.

Scuoti i pensieri, anima mesta,
soffri la pena come una crosta
quando sul viso tenace funesta!
Già senti che speranza s’arresta,
quasi avessi giocato ogni posta
avvilisci in tratti d’ombra molesta.
Più non ritrovi però l’hai avuti
giorni ben forti di convinzioni,
sfumati al pari delle canzoni
accenno di accordi incompiuti.
Fa che il passo dei passi vissuti
ancora emozioni di sue emozioni;
una voce dia voce a quei toni
dove il tempo pare tempo rifiuti.

Riparo in greto d’ombra

Ci basteremo un altro giorno franti
dal nugolo di affanni e l’io solcato
s’incenserà in riflessi, e pur distanti
l’una saprà dell’altra voce il fiato.

Estranei all’oro cupo che snatura
la levità del tempo, sospirato
refrain di volo mosso da un’altura
su mute crepe tese lato a lato.

Mosaico agli occhi le ho fermate, chiare
molecole in carezze, cartilagini
sostrato a pose tra parole e cielo

lievi alla pietra, e ancor sottile un velo
di sete e acqua -una prassia d’immagini –
scivola in greto d’ombra ed è già mare.