Archivio Sonetti

Uomo

Scuotiti dall’ebbrezza, ritorna in te
volgi respiro ivi mitezza d’animo dimora
atto di redenzione divino la conoscenza di sé
uomo intorpidito se non sei dritto , drizzati , ora.

Libera te stesso da te stesso , seduce
l’illusione d’esser onda quando si è oceano,
ignaro intralci la tua ombra volta a mostrarti la luce:
le virtù non glorificano lo spirito , lo creano.

Il mondo è trasformazione, la vita opinione,
ogni cosa ha la durata di un giorno
sia chi ricorda , sia chi è ricordato.

Il barlume divino sopito in te fa eccezione
alla fine di tutto alla fonte farà ritorno
perché non è di tuo dominio ma ti è stato donato.

Urbe Amada

Da tute mi son tanto atirado,
qualcuna de bela la gho trovada,
de tante son’ncora afascinado,
ma sol ela del me cor s’ha apropiada.

Certe iè stàde una gran ciavada,
con qualcuna gho solo ben zugado,
qualcun’altra l’ho sol desiderada,
ma sol de ela mi son inamorado.

Beghina, con tanta religiosità,
stizinosa, ma de cor tanto bona,
laboriosa, con gran generosità.

Me, vetustà signora e parona,
non ne separerà la mortalità,
amada urbe nativa, Verona.

 

 

Vapore

Bevo tanto caffé
troppo
lo so
lo ammetto
ma ce ne è uno in tutta la giornata
uno soltanto
ha un sapore unico
un profumo
irripetibile
come un fiore
poi si perde
svanisce per un giorno intero
come un gatto indipendente
ma ritorna
ogni mattina
nella cucina
il sole filtra appena dalla persiana accendo
il neon piccolo sul lavandino
tu entri
arrivi dalla parete celeste
ti sono sempre piaciute quelle piastrelle è bello rivederti
ma non parliamo
non ci serve
tutto già mi conosce dentro questa stanza e conosce te
la luce fragile del mattino presto attorno a noi due come un cerchio
gli occhi
socchiusi ancora
la stanchezza
ancora sulle palpebre
ce la teniamo stretta
un’ultima briciola
discioglie lenta sotto la lingua.
Solo questo esiste
io non più.
Tu arrivi
il vapore bagna l’aria.
Non guardare.
Usa i pori della pelle.
Eccomi.

Vecchiaia

Mi tappo tutto ‘r “tetto” cor berretto

per via de’ “riscontri” della vita…

e cor pallétio ‘he ciò per elle dita

er bello, è quande vad’ar gabinetto!

 

Faccio du’ passi ‘n casa gliè ‘na gita,

er fiore proebito è ‘r piscialletto,

e ‘r cachi nun lo mangio per rispetto!

Poi ‘un posso più assaggià la ribollita

 

sennò mi dò dell’arie giorno e notte!

A desinà ‘n brodino sopr’ar pollo,

a ccena caffellatte o mele ‘otte.

 

Se bado a ‘un inciampà mi tronco ‘r collo…

Ma io ‘un traballo, ballo da me solo,

sono ‘na foglia secca, aspetto ‘r volo.

Vento di parole

Spargere, simile a sterili semi
al vento, le parole silenziose.
Parole mute, le parole erose.
Smarrir come irraggiungibili spemi:

apparenti orizzonti di fonemi.
Incomunicabilità di ascose
gente; nelle sillabe misteriose.
Tumide labbra simili ad emblemi.

Geme veemente a volte la brezza.
Altre, la bonaccia carezza il mare.
Sibila silente con amarezza

la tramontana , cercando d’amare
di gente il cuor; cercando una carezza.
Di lontano lo odo , sento vociare!

Ventun marzo

A mia nonna Elide

Vien voglia di sorridere e cantare

sognando un nuovo amore in primavera,

pregare per chi c’era (e chi non c’era)

posando fiori freschi sull’altare;

vien voglia di allungare l’orizzonte fino al mare

per fare della brezza una bandiera

che sventoli tra i banchi della fiera

portando odor di miele e spezie rare;

vien voglia di far tutto in primavera,

dipingere una scena sulle nuvole del cielo

fingendo che sia vita,

dimenticare il lutto,

ma dietro ad ogni zelo

è aperta la ferita.

Vestita di nero

Sei figlia estiva della natura,

il frutto puro di una terra ardente.

Vestita di nero, tenue creatura,

colma di sensualità evidente.

 

Al tempo chiedi d’essere matura.

Mani ansiose t’abbracciano, perdente

sottratta alla vita, resti figura

di morbida bellezza mai cadente.

 

Infatuato dalla tua essenza,

ti porto a casa mia per affondare

la lama del coltello con urgenza.

 

Il gusto amaro devo eliminare,

cucinata muti la tua presenza.

Melanzana sei pronta da mangiare.

Via Marconi

Rosse alle traverse, la domenica
nel momento di massimo splendore,
uno di noi, fascino d’attore,
ci insegnava l’arte della mimica.

Oggi svanita, ma non dimentica
di notti, volti, sere e qualche errore;
sui vent’anni dominò il colore
impresso in quella via profetica.

Il destino, quindi, era nel nome
tracciato in una forma di contatto
sensibile ad immagini pulsanti

di quanti, in guisa di sgomenti amanti,
rimpiangono momenti senza scatto,
bellissimi, come le stinte chiome.

Viaggiatore solitario

Sfilano
all’orizzonte
imponenti nubi
ancora gonfie
di burrasca
appena sparsa.
Per l’aere
calma oramai
ancor l’odore
mentre tutto s’abbruna
su le acque e tra le fronde
il vento s’arrende.
Mira
dall’esule rifugio
viatore solitario
e intanto il pensiero vola
alle dolci chiome
di un lontano amore.
Abbozza
sull’avvizzita bocca
un fievole sorriso.
Dal socchiuso ciglio
germoglia
fuggevole lacrima.

Viaggioa vuoto

Cavallo di velo –nuvole bianche-
corrono veloci per le contrade
e i ricordi percorrono le strade
al margine dell’eco d’affanno stanco.

La musa guida vuoti duraturi,
sale l’ombra del poeta solitario,
lo sguardo accollato all’abbecedario
allunga la sua ombra grigia sui muri.

Scendono ore senza idea né verso,
nulla penetra la rima sonora,
la pagina bianca è la dimora

del fantasma lirico che ristora,
fermo in controluce appanna l’idea,
nulla si distrugge ma nulla si crea.

VII

Fammi scrivere ancora, se a volte tuttavia
odio la penna che fila sul foglio le trame
che ignoro. Sui tetti ti dico battono lame
ardenti, nel cielo una retta disegna la scia

Di un volo che porta i pensieri in un presto
svanire nel fumo. Delle case un silenzio rimane
tradotto, passato il mezzodì, dalle persiane
la famigliare intimità separando dal resto

Del mondo. Ora il tempo sembra fermo
sui suoi passi ma io non l’assecondo: sulla carta
un abbrivio mi spinge a salpare e i luoghi vedo

Che mai occhi hanno violato, più veri. Credo
sia la vita dell’anima nella lingua che ne accerta
l’esistenza, il rango, essendone a volte schermo

Viola

La bellezza di certe conoscenze
sta nella casualità
o in quelli che diciamo incontri fortuiti
pioggerelle inaspettate
che mitigano le asprezze atmosferiche.
Io non so delle tue storie
tu delle mie altrettanto
eppoi bugie finzioni sospetti dubbi
tutti inventati da noi
manie di grandezze giovanili.
E’ bello sbalordire e restare sbalorditi
solo di chi ne ha passate
o si appresta a passarne
finiremo per interessarci.
Chi nulla ha alle spalle è appena morto
o si appresta ad andarsene.
La tua provenienza semibuia
fascinosa per nuvole e sereni alle spalle
dorme nelle mie mani.
La tua forza è negli occhi immensi
che mi piegono dove vogliono
già suddiviso in un quarto di foglio
aspetto le tue rivelazioni minute
e i frenetici giri di penna.
Sentendomi una specie di bucato
ti ho detto “Stendimi sulla spina.
Esponimi alla corrente.Quando sarò asciutto
mi potrai usare e frizionare”.
Così abbiamo preso a stare
senza una casa e senza una pietra davanti
senza una pergola e un fiore
neppure due gradini
che di solito immettono sul pianerottolo.
Ho visto gente appollaiata sopra
buttata verso camini monumentali
per il piacere d’essere vicina al cielo
gente che condivideva con le cicogne
che dove arrivano piazzano nidi sproporzionati
gente che scopava e la faceva in alto
che spruzzava enormi quantità.
Dall’alto anche noi spregiudicati
carezzandoci ci potremo raccontare.
Io,per esempio, ho vicende lunghe
non mi è bastato ammorbidirle e stirarle
perchè rimbalzano.
Le mie vicende e le tue
segnate da lunghe stagioni
in cui non pioveva e non lampeggiava
neppure per scherzo scendeva una goccia
e tutto era arido come alle porte del Sinai.
Eppure,nei tuoi luoghi lontani
qualcosa doveva succedere
la speranza si situa dove non è vista
dove non s’immagina.
La tua fortuna contro il mio quotidiano
che nulla ha dei soggiorni itineranti.
Adesso il dito proteso
verso le tue terre
o verso quelli che sono i tuoi vissuti
è uguale a un colpo di genio
per un miracolo mi coinvolge.
Che bello la tua vicinanza per i miei spostamenti
la tua carne per i miei bollori
il buco per l’affondo
i capelli da spettinare
il collo da allungare
le braccia per nascondersi
il cuore per condividere il battito
l’attrito al bagno
dove magari non si è facilitati
la testa da prendere con le mani
e farsi un guanciale.

 

Voglia di volare oltre i confini

Quali i confini dei miei occhi
Dietro quella luna violentata?
Forse l’illusione di stelle
Inchiodate come sogni innamorati?

Il buio scende e bacia il mio caffè
Solo poche gocce mentre la collina
Impudica mostra nudità
Sassi nudi, radi arbusti
A contemplare l’eternità

Si riempie il silenzio con le ombre della sera
Annaspo nel ricordo dei tuoi occhi
Ne seguo il percorso coi miei sogni
Smarrisco la coscienza del momento
Chissà son forse li, oltre quei monti?

Dove anelano i miei occhi la pace?
Dietro le bombe, dietro i bimbi morti
Dietro il tuo silenzio statuario?
Il desiderio si scioglie come brace

Volta pagina

Gira ancora forte nella mente
l’incanto ch’era nato a prima vista,
l’onda più bella or spuma assente,
riflesso dentro che or ti devasta.
Restar nel buio pesto coi fari spenti
non dà al mesto cuor quel che gli serve,
cercar tu devi d’andare avanti
per esiliar dal petto fitte e larve.
Dalle pupille togli il suo velo
per liberarti dal sogno più sleale:
l’ombra che ti lascia sempre da solo.
Stella caduta, or senza un cielo,
al vento srotola le chiuse vele
per esser pronto per un altro volo.

Vorrei riavvolgere il nastro

Vorrei riavvolgere il nastro
tornare indietro
a quando ci guardavamo con occhi da bambino
e mi tenevi forte la mano per insegnarmi a camminare.

Vorrei tornare indietro a quando
cominciavo a camminare e se traballante qualche volta cadevo,
eri sempre pronto ad aiutarmi a rialzare e mi spronavi a continuare.

Vorrei tornare indietro  a quando il potere della musica era tanto,
le parole ti entravano dentro e si firmavano sulla pelle,
le serate passavano tranquille con le chiacchiere davanti ad un tavolinetto della gente
e le stelle stavano solo nel cielo splendente.

Vorrei tornare indietro a quando
pensavo di poter volare, e ci si poteva fidare di alcune parole,
i fiori stavano ancora sulle siepi e le nuvole nascoste dietro le montagne.

Di musica tanta ne è passata,
portando con sé  sorrisi ingenui e  occhi da bambino,
tante pagine sono state strappate,
alcune persone sono cambiate, altre sono volate.

Alcune melodie sono rimaste; leggiadre come una carezza a volte riaffiorano,
ricordi di spaccati lontani,
ma le nuvole, ancora, dietro le montagne le hanno portate.

Zarén

23 dicembre 1931
Zarén, Giuanèla, Giuanén, Giumèss,
Giuletu Pustén, Cinq Umenuni del
Spaléra gloria del lenguàgg nostel
Spetascè Gesϋ in môrt! Ma Èl fϋdèss
Minga vera: ma se hin môrt stì stafèss
Pièn de bôn vén, ghèm amò ϋn Busèl,
Poetta Piero Marell padér Francesl
Vìff scrivènt che ul Signur insèma ass
Nazario e Cèlz ghe l’ha mandà a post
Per cunservà ul noster lenguàcc ora
Gaudiosa de Verén inscì nϋm ohh!
Mangia cagiada cunt sti bravi òm nòst
I sètt Meravèi tϋcc in cà ora
I prém cìnq, Marèll e sètt la Gésa ohh!

8 dicembre 1985