Archivio Sonetti
La profetica visione
Insonne per la calura estiva,
andai a leggere nello studiolo.
Dallo scaffale afferrai a volo
la Commedia dantesca creativa
di ogni visione ricca d’inventiva.
Se funesto sogno come unghiolo
straziò nella torre il Conte solo
davanti all’inedia distruttiva,
anche per me onirica visione
cagione fu di forte scoramento:
sognai un mondo senza educazione,
il turpiloquio usato in parlamento,
i più ignoranti a far lezione
sui social media e in televisione.
Ma dov’è la ragione?
Dante m’apparve dietro il velame
e indicò la Cultura nello strame!
La quiete
Quiete nei bassifondi di città
quasi d’incanto questa notte regna
carcasse d’auto e ruderi più in là
non ci sarà vita violenta e indegna.
Fiocchi lampioni e bruma di lillà
pacate le osterie accesa è l’insegna
deserte le vie prive d’ansietà
quasi di tenue armonia l’aria è pregna.
Lontana la pianola nenie effonde
e una donna con voce roca canta
al bimbo in seno sotto umide gronde
Questa notte la pace sarà tanta
poiché anche nelle più lontane sponde
consola un Angelo la gente affranta.
La ragazza emigrante
Verso lontana sconosciuta gente
a dicembre partisti sola sola;
è un anno che da casa tristemente
tu te ne andasti e dalla famigliola.
Vedevi le altre diventare spose,
nessuno a te mandava l’imbasciata;
le mire del tuo cuor tenevi ascose,
dai giovani venivi trascurata.
E come un padre in cerca di lavoro
a Lugano giungesti, o Giovannella,
per guadagnati un piccolo tesoro
che d’amor ti facesse degna e bella.
Or guardo invano verso quel tratturo
dove tu passavi mattina sera;
or guardo invano verso quel torrente
dove tu lavavi sul sasso duro
i panni rattoppati alla corrente.
La Rocca
A piccoli passi nell’ora più calda
strada di casa che porta lassù
Si alzava la polvere che ci seguiva
Viso arrossato e braccia all’ingiù
Lì tra le dita tutto quello che c’era
Il giorno era Giorno la notte era Notte
I giochi sereni e la vita affacciata
sul mondo Infinito tutto per noi
Le sere d’inverno con qualche tremore
nel buio squarciato dagli effetti speciali
La macchia di fronte a guardare le scene
Vivemmo privi ma godemmo i Profumi
Rubammo i Colori e tutta la Gioia
che in cambio di niente la Rocca ci offrì
La sfida
E così con devozione ci si armi
a questa guerra come una partita:
dir più vero il sogno o la cruda vita,
dar più peso alle cose o forse ai carmi?
Si sa, il tempo è tristo e il pan ci manca,
ma se una rosa è rosa, chi mai la osa?
Quassù il connotativo non ci stanca,
il retrogusto, l’arte della chiosa.
Kitsch, vintage, chef santoni ci fan pena
poiché Sereni Giudici vantiamo
e nuovi Omeri raglian senza posa.
Noi vinceremo senza farci in vena
coi versi e con le rime che spariamo.
Un fior sarà ben altro che una rosa!
La sfida
E così con devozione ci si armi
a questa guerra come una partita:
dir più vero il sogno o la cruda vita,
dar più peso alle cose o forse ai carmi?
Si sa, il tempo è tristo e il pan ci manca,
ma se una rosa è rosa, chi mai la osa?
Quassù il connotativo non ci stanca,
il retrogusto, l’arte della chiosa.
Kitsch, vintage, chef santoni ci fan pena
poiché Sereni Giudici vantiamo
e nuovi Omeri raglian senza posa.
Noi vinceremo senza farci in vena
coi versi e con le rime che spariamo.
Un fior sarà ben altro che una rosa!
La spiegazione
Mamma me ce vedi a camminà come li santi?
Figliolo non c’è bisogno a camminà così
basta che te movi giusto pe’ li tuoi canti
e che non stai sempre a dir de sì.
Ma che vuol dì pe’ li tuoi canti?
E perché non devo dí sempre de sì?
Vo dì che tutti c’avemo già dove far li santi
e che a dir di no ce vò come a dir de sì.
Te vedo un po’ interdetto
mo’ te spiego come se fa da noi in contrada
e così te faccio un po’ d’effetto.
I santi se movono in cielo
noi ce muovià pe’ strada
e qui è tutto no sfacelo.
La sposa di sabbia
Talvolta ci fascia come una brezza
un lieto ricordo, senza chiamata
s’insinua con pronta dimestichezza
lungo i sentieri dell’impolverata
ragione. Si ergono antiche memorie
di quella marina, del suo profumo
bisbigli e parole contraddittorie
poi il desiderio a farci tutt’uno.
Un lido suonava la tua canzone
che ripetevi con voce armoniosa
mentre annegavo nella suggestione
della tua pelle dorata e flessuosa.
Ora la sabbia imprigiona un barcone
e sulla battigia un velo da sposa.
La stagione dell’amore
Senti nell’aria quel vivo tepore
che profuma di miele? E il lieto canto
al cielo terso dei mandorli in fiore?
E il mormorio del ruscello, che intanto
fra i campi di smeraldo con ardore
già scorre? Guarda, vestita di un manto
di festa, esulta la terra, ed il cuore
sorride, tutto immerso nell’incanto.
Danza, fanciulla, al suono della lira,
ridestati dal sonno dell’inverno,
Proserpina ha riacceso la stagione
degli amori. Non è dolce illusione
Primavera, ma idillio che in eterno
si rinnova, e passione ora ci ispira.
La stella del mattino
La stella luminosa del mattino
s’apparta con la notte appisolata.
Illumina la guancia d’un bambino
che sogna la sua mamma indaffarata.
E l’infinito brilla dentro al tutto,
intona un canto magico ed eterno.
La dolce luna attende il suo debutto
nell’universo tenero e paterno.
Io credo che a qualcuno sia piaciuto
donarmi questo pezzo d’infinito
che adesso stringo forte nel pensiero.
Mi son convinto che gli sia dovuto
saper che in cuore tanto l’ho gradito,
sapendomi nel mondo passeggero.
La stella della sera
Splende una stella, nel letto del sole,
ti supplico, piccolo astro dorato,
proteggi il fratellino addormentato,
la casa nascosta tra picchi e gole,
fabbrico scarpe, rimpiango parole,
sibila il vento nell’antro gelato,
sogno la mamma, quel volto fatato,
la voce dolce, l’aroma di viole…
“Sei il più grande,” sussurrava la mamma,
“devi aiutarmi, ci serve il denaro…”
Ed eccomi qua, con gli altri bambini!
La frusta inclina la debole fiamma,
l’anima fugge, non trova riparo,
il sangue rovinerà i mocassini.
La trascendenza dell’Amore.
Odevo nel vento il suon del tuo nome,
risuonare tra le sponde dei campi,
nell’aria rosea e tinta d’Amore,
propagarsi con alacri rimbalzi;
parea or di fiutare il tuo odore,
parea or mi figurassi innanzi,
col tuo radioso novello bagliore,
così rara, prodigiosa, t’innalzi;
e un fiore germoglia ovunque ti posi,
con fertile tocco crei nova vita,
tra sterili lande e campi erbosi.
O Benedetta tu sei come Anita,
eroina di due mondi in simbiosi,
folta di spine, ma rosa fiorita.
La tua assenza
Eppur m’era parso
di scorgere nello sguardo tuo
la mia nuda immagine riflessa
e mentre tutto intorno
il mondo si movea a comandi
io avrei voluto tagliare i fili
per dare alle tue labbra un morso
Ma chi scriveva la trama
aveva in serbo il prossimo passo e il verso
ed io presi il treno che facea ritorno
uscendo dalla scena con una ferita al petto
e nelle tasche le parole che non ti avevo detto
che mai avrei pensato mi avrebbero reso sordo
smanioso, vorace, insaziabile, ingordo
Ed ora che dal silenzio son avvolto
io chiudo gli occhi e ricostruisco il tuo volto
e mentre scorre inesorabile il tempo
mi chiedo quando ancor desidererò il tuo corpo
Mi restano queste ultime righe
che non aggiungeranno altro
se non scarabocchi e false via di fuga
dove ad aspettarmi troverò la tua assenza
La tua risposta
Solo quando avrai letto
le parole che non ti ho mai detto,
capirai quanto mi costa
dover attendere la tua risposta.
Non c’è legame più forte
Che unisca fino alla morte
Due anime che si sono incontrate
E perdutamente innamorate.
Per questo ho scritto cento
e poi mille lettere d’amore
per arrivare al tuo cuore.
Non nascondermi il tuo sentimento:
sarà per me ogni tuo messaggio
come del sole un raggio
La violetta assai bella e profumata
La violetta assai bella e profumata
pur nella timidezza si beava
per quelle doti…C’era una…fecata
che arrogantemente l’additava:
“Ti credi d’esser l’unica graziata
dalla natura…” E estrosa decantava
la sua fragranza tanto ricercata
da mosche, vermi, insetti…che la bava
facean sopra di lei, e in mezzo, e sotto…
“Ma – vedi – io sono fior…più d’ogni fiore…”
“Tu hai le tue ragioni…Io non ti sfotto.
Ma questi bimbi che un amore infiamma,
di te non vogliono nemmen l’odore:
coglieran me!…pe’ un dono alla lor mamma”.
La Zanzara
Già la zanzara morde fastidiosa
la caviglia e l’afa strozza il verbo:
ch’esso mi narri storia prima ancora,
resta fiume di rabbia nella gola;
poi tu continui caldo a strapazzarmi,
dicendo come vivermi la gravida
ingiustizia del nostro stare al mondo
e come sopravvivere, aggiustarmi,
farmi adulta: guarda, lasciami stare,
non è cosa, non è casa questa stanza
serrata di cucina a luce bassa.
Taci, non dir parola, sbrana avanzi
della cena, (tu dolce amore mio)
buon appetito: io esco di scena.
Lamia, illusione d’amore
All’impetuoso e gelido vento di tramontana
l’etèra Lamia
ha consegnato pensieri, palpiti
ed emozioni.
Dimmi Lamia, le tue labbra quanti baci
hanno dovuto regalare?
A quale anelito, a quale struggente desiderio di libertà e
di felicità ti sei abbandonata?
Catturata, resa schiava, tu Lamia
giovane e bella, usata
e poi… gettata
come foglio di carta sgualcito e raggrinzito.
Il tuo corpo, trastullo,
al cinico, annoiato e libertino re Demetrio
hai offerto e per una illusione d’amore,
le tue bellezze e i tuoi ardenti abbracci ed emozioni
hai donato tra flauti e arpe.
Ahimè ! tu sai, non hanno prosieguo
le storie senza futuro.
Ma… al gelido vento di tramontana
i tuoi indomiti e fieri pensieri hai raccontato
e alla sinuosa Afrodite hai donato
accartocciato e intriso di pianto,
il tuo cuore rapito e colmo di desiderio.
Larva d’esprimer che interni segreti
Larva d’esprimer che interni segreti
possiede la mano a scrivere intenta:
qual verbo mai il reale rasenta?
come afferrarlo con sì lasse reti?
La parola sia legna che leggendola
ignisca, levando un fumo che annebbi;
danzin le fiamme in accesa farandola
fugando ogni senso, s’uno mai n’ebbi.
Godane l’occhio e l’udito, la bocca
si riempia in volute d’aria barocca,
il tatto s’arrenda a un vago stordirsi;
il verbo da sé di senso trabocca
nel suono, muta corda che rintocca
in ogni senso, senza dir, nel dirsi.