Archivio Sonetti
Latitudine notturna
Irrimediabile e scostante un’altra notte
si avvinghia sulle mie stanche spalle.
Da compagnia il batter dell’orologio
mi affascina come una dolce scoperta.
E il timore del contatto umano colgo,
di finire tra i saluti convenevoli
di scorgere un lampo d’amore
che pure mai vidi passar di sfuggita.
Tremante sono a scendere le scale
senza motivo, come manovrato
da un’orchestra di mani invisibili
e fredde che segretamente deridono.
Senza dir nulla, senza proteste nutro
con passione questo sfacelo interno
ogni volta diverso e inconsueto
come l’infrangersi delle onde marine.
E mi prendo cura degli orti che a caso
incontro, costruendo e disfacendo
dei perimetri dove mi pongo
in contrasto dall’ambito quieto vivere.
Le cose di ieri
Avevi il volto dei chiari cristalli
fulgida luce che si dona ancora
mio fiero amore tu sai qual è l’ora
dei falchi ai picchi e le corse alle calli.
Era quel tempo maroso ai coralli
che ai piedi stanno così come allora
dalle acque fonde quel bianco colora
le tue radici, le fronde, le valli.
Là dove foglie incontrarono rocce
regna Dolomia, dei mari regina
tua sola grazia, lietezza di gocce
di me che in fondo rimango bambina
e colgo fiori nascosti in saccocce
e spine rosse trattengo e si china
la mia chioma corvina
a te , mio monte, alle cose di ieri:
forse ero io, forse no, solo pensieri…
Le guerre
Per raccontare ciò che capitava
fin dai tempi dei Tolomei e la Pia,
riporterò qui sotto un’ottava
del Poeta… che non si sa chi sia.
Negli anni che de’ Guelfi e Ghibellini
repubbliche a que’ tempi costumava,
batteano i Cortonesi e gli Aretini,
specie d’ogni partito guerreggiava:
i Pisani battean coi Fiorentini
Siena con le Maremme contrastava,
e Chiusi combattea contro Volterra…
non vi era posto che un facesse guerra.
Mettiamo adesso in moto la ragione,
dando uno sguardo a tutte le scoperte,
frutto costante dell’evoluzione,
che poi contro di noi si son riverte.
Prima c’erano spade, pur taglienti,
per conquistar province confinanti.
Adesso bombe e razzi intelligenti
tra Stati con ricchezze assai importanti.
Andando avanti, si, con questo andazzo
si faran guerra pure i Continenti.
Poi toccherà ai pianeti, farsi il mazzo,
financo il sole… e tutti sarem spenti.
Le nuvole
Un’intera notte
resterei
sotto questo soffitto di stelle,
anziché
fissare
il bianco soffitto della camera.
Nell’aspettar
Che l’alba s’illumini
M’inchino dinanzi alle nuvole,
viaggiatori
senza ali.
Le onde e il non ritorno
L’una accostata all’altra quelle case
calcinate finestre di alveare
in affaccio, dalle scale in cimase
a scivolare minime nel mare.
Da un buco la stregonia alita ai muri
pura e impudica di ritorni attesi,
regge la chiave snodo degli scuri
un tintinnare in viottoli scoscesi
all’ombra ladra, e noi moltiplicati
per ogni volto ricomparso, assente,
siamo la riva che non vede il porto
in tumuli d’amore mai risorto.
Simile a cima pencola la mente
rotte le onde in secoli di fiati
Lieve è la mano…
Lieve è la mano che ti sfiora il viso
e ancor più lieve è il tuo dolore
che nascondi al beffardo riso
di chi denigra della pelle il colore
Fratello, non speravi braccia al collo
né ghirlande di fiori oltre la battigia,
forse un sorso d’acqua e non controllo
rigido, sospettoso per troppa alterigia
Mutano i tempi e l’emigrato di ieri
s’è fatto lupo della propria ciotola
e non divide briciole né pensieri
con altri. Fratello, c’è chi rotola,
ma si rialza e guarda all’orizzonte
e chi è prigioniero in una botola.
Liquidità digitale
E sono finito dentro un’onda
che trasporta bit al posto del sale,
fa diventare tutto digitale
e in questo liquido tutto affonda.
Sarà forse una vita feconda?
Un giorno su instagram sei virale
ma su internet cosa c’è di reale?
Alla fine la terra è sempre più tonda.
Siamo tutti dagli schermi rapiti,
operai, suore, soldati e dottori:
ci iniettano i bit dritti nelle vene.
E chi produce lo sa molto bene:
per essere bravi consumatori
è meglio essere rincitrulliti.
Lo scoglio e la fine
Lo scoglio sperduto e solitario
alla furia degli spruzzi resiste
soverchiato da convulso sudario
ripartito in mille ametiste.
Atterrite, le alate creature
verso la rupe inseguono scampo
ed al bagliore d’un vivido lampo
profilo scorgono d’ignote paure.
Sorge d’abisso bestiale ruggito,
sembra ghermire l’intero universo
come un miraggio, tutto svanito!
Remoto d’isola lembo emerso
strenua difesa oppone sfinito
fin quando cede al fato perverso.
Lo smartphonne
‘Un mi ci raccapezzo, è un mondo strano
che sian seduti o che siano in cammino
uomini e donne l’hanno sempre in mano
e mai lo lascian, quel telefonino!
“Non lo chiamar così, nonno, è da anziano!
Si dice smartphone” fa il mi’ nipotino
“Con quello il web hai a portata di mano,
praticamente gli è un computerino!”
Mah, sarò vecchio e di cervello duro
ma se camminan e guardan quell’affare
non è che vanno a battere ni’ muro?
Ti sembra il modo di comunicare?
E’ una bella invenzione di sicuro
ma ‘un sarebbe più semplice parlare?
Lo stornello
Quand’i tempo mette a i’ bello
io vi hanto uno stornello
chè da noi qui in Toscana
la unn’è una hosa strana.
Era in uso su per giù
quando un c’era la tivvù
in sull’aia o per la via
serve a stare in compagnia
Se nasceva un bel bambino
ecco i’ grillo hanterino
sposalizi o compleanni
che metteva in piazza i panni
Per la gente hanzonata
esplodeva una risata
succedeva è sorprendente
tutto un po’ bonariamente
Anche quando un marito
dalla sposa era tradito
gorgheggiando un bell’ahuto
si pigliava di hornuto
Per colei non proprio bella
candidata a star zitella
una rima un po’ bizzarra
strimpellata alla ‘hitarra
I’ dottore e anch’i prete
ci hadean nella rete
degli scherzi hanterini
s’eran stati birihini
Oggi i tempi son cambiati
gli stornelli abbandonati
siamo ganzi pe’ cianare
bischerate a i’ cellulare
Io lo diho e lo ripeto
che vorrei tornare indietro
quando i’ nonno poerino
e trombava…. si … ma i’ vino
Luglio. Di luce colmi gli occhi, e canti
Luglio. Di luce colmi gli occhi, e canti,
e tra i ‘ristucci’* biondi balle d’oro
immote giacciono al sole sonoro.
Innamorate faville danzanti
brillano a sera con guizzi eleganti
e dopo muoiono, malgrado loro
non chiedano perché. Cerca ristoro
quello stormo di passeri, incuranti
dei rischi incorsi. Sottraggono grani,
e paglia sì da edificarsi un nido.
E il vento che vien dal mare non tace
di sofferenze e soprusi lontani
ma la sua voce dice, come un grido,
‘tutto sfiorisce nel tempo fugace’.
* ristucci sta per stoppie ed è un termine preso in prestito da vari dialetti del Sud Italia.
LUNA
Nell’infinito della notte
una sottile luna sghemba
distende l’esile arto
incurante della tempesta
che ruggisce il buio
L’ombra malinconica
di alberi scossi dal vento
striscia sul dorso lattiginoso.
Abbraccio d’amore
che profuma di terra
cieco all’enigma della vita
M’È DOLCE SOLO QUEL RESPIRO INFANTE
M’è dolce solo quel respiro infante
che tenero s’infrange sul mio volto,
scorgo la vita in esso e in quell’istante
m’avvolge col suo far più disinvolto.
È lì ch’affiora limpido e costante
un sentimento delicato e colto,
è lì che provo, dal mio cuor tremante,
l’amor più immenso, da restar sepolto.
M’è dolce ancor la lepida sua voce
ch’ascolto così vera e raffinata
uscir da quelle labbra vellutate.
Seppur l’ingenuo naviga veloce
tra le sue fitte trame, par celata
la voglia in lui di mete inaspettate!
Ma chi pensò veder mai tutti insieme
Ma chi pensò veder mai tutti insieme
Abe, Trudeau, e Merkel -sempre lei-,
i novizi Macron, Trump e la May,
con Paolo anfitrione che ha gran speme
di gettare a Taormina un fausto seme
che il terrore e la piena migratoria
neutralizzi – lo attesterà la storia-,
e accordarsi su soluzioni estreme.
Volo sull’Etna (dorme Tifeo stanco),
per le first ladies shopping pro Amatrice,
Giardini Naxos, selfie e arancini.
A Catania anche trenta elefantini
attendono i potenti assieme a Bianco,
proboscide all’insù propiziatrice:
Trinacria vincitrice!
Canta, Battiato, i migranti africani :
falli danzare su intrecci di mani!
Madre
Forza titanica, gracili membra
Del Lar familiare benigno afflato
Fiera e robusta stella alpina sembra,
come mammola è fior delicato.
La sua dolce presenza morte adombra
Latore di vita suo riso amato,
La sua bellezza eterna al cuor rimembra
Quel gran miracolo che ha donato.
Il suo pensiero infonde sicurezza
Perché ella del coraggio è la maestra
Milite ardito, lotta con destrezza.
È scintilla del primordiale amore
Che ci soccorre con una carezza
Soave come petalo di fiore.
Madre
Triste lo sguardo e spento era il sorriso,
gli occhi già rivolti ad un altrove,
finito il corpo, ormai di morte intriso,
e la parola che più non commuove.
Sento la sua presenza in ogni dove,
come un eco che ritorna improvviso,
e mi confonde con vecchie e nuove
memorie e un dolore fermo e preciso.
Ora, in quest’ora incerta, antelucana,
dove tutto sempre è sogno e mistero
e anche la speranza un’attesa vana,
per quanto mi sforzi, niente è più vero
se non la certezza, soltanto umana, del suo guardare silenzioso e fiero.
Malasanità
Ditemi voi se vi pare normale
restar distesi sopra una barella
per giorni e giorni, come in passerella
in un Pronto Soccorso d’ospedale.
Tra tanta gente che si sente male
in mezzo a pianti, urla, cacarella
ti negano persin la pennichella,
ed il marasma regna generale.
Ma attento che ben bene ti corbella
chi ripete le solite parole:
camere non ce n’è, né posti letto.
È che nel Bel Paese, poveretto,
sulla salute lesinar si vuole
e ancora ci propinan la storiella
ch’è vuota la scarsella
ma se ci pensi è più importante assai
il ponte sullo stretto dei tuoi guai.
Malinconia
Non c’è giornata ch’io figliolo amato
non pensi a te che sei così distante,
vorrei vederti almeno un solo istante
a casa qui con me, da noi curato,
coperto da quel nostro amor radiante
che a te sovviene puro e smisurato,
vorrei toccarti figlio mio acclamato,
accarezzarti come a quando, infante,
t’accarezzavo e tu così piccino
tra le mie braccia grandi t’adagiavi
per poi dormirci le serate piene!
Non c’è momento, lungo il mio cammino,
che non ripensi a quando ti svegliavi
e mi dicevi: pà, ti voglio bene!