Archivio Sonetti
Mani di giovani
Al mondo ci son tante mani
benedette, scure, nervose,
sporche, vigorose o callose
che lavoran oggi, chissà domani.
Altre pallide, scarne o rosee mani
di agire e produrre desiderose
di ragazzi e giovinette industriose
per realizzare progetti l’indomani.
Voglion tante giovani mani
esser attive, lasciare le fantasie
vendere magari solo zucchine e patate
e realizzare sogni di innamorate,
e invece … scrivono solo poesie,
costrette a inseguir miraggi lontani
MANU FACTUS (in A.D. 2017)
Col fiasco vuoto e la pancia piena
inchiodo sulla carta questi versi
nel timore che vadano dispersi
dentro la mente che si barcamena.
Vispi su sassi lisci di golena
saltellano pensieri controversi
anfibi che dal vino son emersi,
una sfilza di rime l’incatena.
Ora che ho sfornato le quartine
devo fondere tutto nel cemento
di parole come un manovale
che per finire in modo puntuale
segue del Petrarca il rudimento
rimando allo specchio le terzine.
Mare nostrum
Squallidi scafi stracolmi d’anime
solcan nel buio marosi in tempesta.
Occhi muti, dalle guerre scavati,
scrutano ingenui l’approdo sicuro
loro mirato, con subdolo inganno,
da avidi bruti e disonesti
che hanno lucrato sui loro destini.
E l’ìnfido mare, invidioso dei lidi,
con l’onde schiaffeggia la massa informe,
fiero scompiglia quei miseri corpi
che poi trascina nei flutti golosi.
Mediterraneo, ‘mare nostrum’,
amico sincero quand’offri i tuoi frutti,
nemico spietato quand’orbi la vita.
Maremma
Dietro il forteto infuria il cinghiale;
moreschi arrembaggi, bombarda rimbomba,
tra torri ombrose, e forti sull’onda.
Zufolan fauni, dentro il maestrale.
Chimere immote, frangere biada,
oblunghe corna, rimeggiare sull’aia;
approdo, o fine d’ogni viaggio,
di greggi montane sperduto miraggio.
Spoglie spettrali, obliata speranza:
romiti, butteri e rii malandrini
il morso sentiron degli acquitrini,
videro in faccia la falce che danza.
Scivola il lupo, rista la paranza,
ristagnar specchi, frinir di cicale;
disegni lontani di monti d’opale.
Maremma, mal mare, malia, mala aria,
mal detta, maiala, maliarda sicaria;
amor… che anco amò ‘l perder l’ala.
Ghirigori tenui d ‘onde lontane,
incanto greve, mar di malinconia!
Al canto del chiu, la nostalgia,
si culla in miasmi, ansima con la Pia.
Maremma Toscana
Rotondo il Monte su in alto sorride
sotto i raggi del sole del mattino
scorge gli alti picchi dell’Appennino
che due mari dallo sguardo divide.
Colora il vento d’autunno le foglie
sparge i ricci ai piedi del castagno
toglie le vesti il faggio suo compagno
i rami: braccia di soldati spoglie.
Eppure tuona un profumo improvviso
aglio, viola, pervinca, rosmarino
si veste la campagna di colori.
Si muove nella brezza il fiordaliso
danza il campo di grano ballerino
la notte attende il giorno ai primi albori.
Maremma, tramonto d’ottobre
Sa di pace questa terra adagiata
nel silenzio, una quiete indugia
senza tempo intorno e scioglie
l’abbraccio delle ore al confine
tra la terra e il mare, ove ambrata
luce all’orizzonte si rifugia
nella schiera delle nubi e raccoglie
orli d’ombre di là delle colline.
E ansima di vita questa stagione
ancora nel cuore acceso di fronde
fluttuanti sul fianco della sera,
bisbigliano le foglie la canzone
loro antica che al sonno le confonde
in questo autunno che sa di primavera.
Matrimonio
Il diciotto mi son sposato con la felicità, Laura è questo in realtà!
Pochi amici, un pranzo e tanto amore.
E dopo otto anni,
Siamo ancora con il batticuore.
Siamo sposi da un attimo
E da un’eternità,
Per questo il matrimonio va!
Il diciotto mi son sposato
con la donna della mia vita,
Che gioia infinita!
Finalmente l’ho trovata, nel cammino
Ed ora siamo mano nella mano,
A percorrere questo viale strano,
Questo quotidiano ti amo,
Che ci conduce dove il sogno si avvera già!
Mattanza per mano d’ordinanza
Poi tutto passò per l’indifferenza
il tuo valore, la tua vita
ancorché in conto non infinita
ma nemmeno a termine per violenza.
Triste ricorre sempre una domanda
specie se la mano è d’ordinanza:
“Se chi veste divisa fa mattanza,
cosa fa la società in veranda?”.
Nulla insieme, tutto inutile ognuno
dove non è la piazza per parlare
guardarsi negli occhi, senza paura
di cadenzare versi di cultura,
ricordi al cuore il presente di amare
e alla mente lo scempio del digiuno.
Mietitura
Vomero e vanga han scavato il suo viso,
di paglia ha i capelli seccati dal sole;
e limpidi gli occhi, aperti al sorriso,
presto s’incantano senza parole:
tutto avvolge e trasfigura una bruma
gialla, calda, e freme il ciel di luce
fredda, quel che fu prospero ora sfuma
e al rimpianto Natura induce.
Sobbalza un carro col grano falciato
ci ciondola sopra un fanciullo, è felice,
la mela succosa s’è divorato,
“La nostra vita il Ciel la benedice”
al vecchio si illumina il volto
“Gustiamoci la gioia del raccolto!”
Mind the gap
Mi porta questo sole a cercarti fra
le insegne della città, nei volti dei
viandanti della metropolitana
apertura porte a destra, si dice.
Pensando a quando mi dicevi “Ma la
smetti di insognarti, la vita ha le
sue sequele, cosa credi? Ristagni
morsi e scorie non li nega a nessuno”.
Così ho cercato di costruirmi la
mia privata variante di valico
apertura porte a sinistra, chissà.
Addio sole, ricerca fallita
leggendo Roth buonanotte un tot, con un
Sakamoto tango, sì, mi sostengo.
Miracolo della vita
Quale che sia l’innesco della miccia generante
Un’esplosione ovattata libera la sfera
L’accoglie silente una tuba vibrante
Che tace, senza fiato, dal principio di ogni era
Una intrepida corsa, spietata e fluida
La piccola luna di gelatina attende
Con la sua superficie liscia e tumida
Scivola spensierata e non si difende
Si offre in modo del tutto inaspettato
Ad una danza chimica sofisticata
Con l’inatteso conquistatore caudato
E’ un magico incontro, unico e fortuito:
Che sia una maternità inattesa o desiderata
Il miracolo della vita è compiuto.
Muse misteriose
William, ecco ti recitano! di colpo
giungi dai secoli a destare il lettore
in un reading di veri versi d’amore
che ‘non è lo zimbello del tempo’
Sì, ancora ti cercano gli ispiratori
la dama bruna dark lady sensuale
e misteriosa parole nuove adopri
e d’oro per l’amico senza uguale
I temi sono universali, fan pensare…
la novità è la diffusione nella rete
per una viva rilettura del canzoniere
bardo geniale canti questioni aperte
vigili e conosci l’uomo, la ragione
caducità, arte, poesia e passione
Mutamento
Nella notte farò a pugni con le stelle
marciando ed invocando la speciale
protezione per divenire più ribelle
a questo stato amorfo che ci assale.
O amore dove sei finito? Protesto
contro il cielo e a quel Dio paterno
chiedo del come dato il contesto
non muti il reale in atroce inferno.
Eppure io mite amor umile mi dono
dall’alba all’ultima goccia della sera
tramutando i pericoli in opportunità.
Guarda lo splendore d’oro del perdono
dolce rosa sul viso di chi si desidera.
Baciato l’amore ecco rifiorir la felicità.
Né vuoto né pieno
L’amore non riempie, non svuota,
slega i lacci, apre le chiuse, rimette in moto la ruota.
L’arido terreno si profuma di vita,
l’acqua che scorre fa ridere il cuore, scivolando tra le dita.
Prima vuoto, respiri senza speranze, senza pietanze,
poi un successo, una notizia, l’attesa,
riempiono le stanze.
Si, va tutto bene, si può continuare, il senso riprende a marciare.
Storie da un bambino infelice, stupido, si direbbe.
No. Uomini che amano poco, o forse poco amati.
Perché l’amore, quando lo senti, per un amico, un figlio, una compagna,
spalanca le finestre alla luce, alla campagna.
Viaggia terra terra,
regola gli uccelli del cucù e la cottura del ragù.
Ho telefonato a mia figlia
e una botta d’amore mi ha rimbombato tutto.
Sono andato in giardino e ho colto tante rose,
che, sia chiaro, erano lì da prima.
Rosse, rosa, bianche, alcune profumate.
Le ho recise,
in un grande cesto di vetro, trasparente,
le ho depositate.
Né vuoto né pieno,
Nel bosco…
Foglie cadute al suolo,
viali di pini ombrosi,
distesi dentro al bosco,
estesi come il mondo.
Suonano piano,leggeri,
di dolci canti lonteni,
battendo veloci le ali,
profumando di fiori.
Ascolti il silenzio,
ovunque brulica vita,
scorre lieve il ruscello.
Poi giunge giù a valle,
un dolce pensiero,
si rincorre lontano.
Nel fumo
Sono seduto in punta al divano
Con le dita sulla tastiera del computer
Dietro di me la finestra
Un clacson mi irrita
Scrivo di adesso
Che non so bene che scrivere
Ma picchietto comunque sulle lettere
Qualcosa verrà fuori
Tu stai uscendo
E so che allora mi alzerò
Fumerò una sigaretta in piedi
E verserò un po’ d’acqua nel bicchiere
E mi verranno le parole
Che butterò fuori insieme al fumo
Parole che sapranno di marmellata di ciliegie
Di una nostra antica colazione in veranda
Nel silenzio infinito delle cose
G. Leopardi
Quando salii sulle dune faticose
nel deserto del Sahara infinito,
verso sera al tramonto ho percepito
il silenzio immenso delle cose.
Silenzio delle notti luminose
nel precipitare delle nubi australi
fra le sabbie arse e i fortunali
delle stelle splendenti e misteriose.
Non si poteva andare avanti,
tutto era attonito e sospeso,
solo ombre silenti e assordanti,
era un procedere verso l’eterno,
un perdersi in un gorgo inatteso,
un ritornare nel grembo materno.
Nell’orto ancor gridano i bambini
In cerca di fortuna andasti via
con il treno della disperazione
e salutasti tutto alla stazione
tornasti un giorno per la nostalgia!
Svanita del partito la sezione
e tua madre morta di malinconia
la piazza ancor malata d’apatia
la speranza indegna negazione!
Nell’orto ancor gridano i bambini
aggiungono foglie ai gelsomini
le strade emaciate sempre amare
ahimè così non doveva andare!
Il turrito orologio batte l’ora
spande rintocchi alle campagne ancora!