Archivio Sonetti

Rosei pensieri

Rosei pensieri turbinano lievi,

carezze di petali di velluto

che coccolano l’anima lieti

di un ricordo appena goduto.

 

Scompaiono grigie nuvole grevi,

in cielo sta un divino canuto,

nido di panna per angeli quieti,

Zefiro intona un dolce saluto.

 

Abbandono pesanti armature

e lascio il mio triste sconforto

nella cupa soffocante polvere.

 

Non più dolenti e nere paure,

vela farò in accogliente porto

a ricevermi rosee bandiere

S. Lorenzo

Abbarbicato a briciole di mondo,
girando in girotondo,
ammiro stalle e limpide fontane
sfiorate da una luce senza quando.
Il sole va calando,
il contadino torna al focolare.

Le mucche che muggiscon ruminando,
vociare sullo sfondo
“la cena è pronta, a tavola a mangiare.”
I frutti della terra, il pan fecondo
– frammenti di secondo –
profumi e sensazioni ormai lontane.

Stasera ognuno avrà lo sguardo pieno
e musica di grilli e di cicale.
Spettacolo ancestrale.
I volti si rivolgono all’insù.

Si cercan desideri di baleno
frugando l’infinita volta astrale,
nel tenue luccicare
…nessuno vuole scivolare giù.

I sogni sono lampi di sereno
rinchiusi dentro al cielo di un cortile.
Passaggi di comete
nell’insondabile soffitto blu.

Saluto

T’avviasti titubante la cadenza

Sottratta a tenerezze degl’abbracci

Doglie terrene nunzie di partenza

Si sciolse tenue l’anima da’ lacci.

 

Di passi infermi la fiacca andatura

Nubi di stenti sugl’occhi blu cielo

Ruga d’ambasce e strangugli matura

Mestizia ombrava il pallore d’un velo.

 

Per meta oscura ti sei dipartita

D’enigma incerta che morte sottende

Senza evidenze al destino d’umano.

La vita è spreco dimentico e vano

Corsa a momenti che il tempo non rende

Conati a tessere trama smarrita.

Sbarchi

Le magiche scie di un rametto, il tuo,

sono, figlia, come quelle del jet. Linea

del sogno di volo: una fantasia serena,

quasi, d’infanzia; l’inganno e il vuoto

 

in ogni paragone. So che primavera

ha pure la terra atroce della guerra,

altri voli che tagliano un incanto vero

di stelle nei nostri occhi oltre la sera.

 

Ieri il mare ritrovava, quasi, i riflessi

di momenti luminosi; oggi dimentica

quella superficie di finta pace dopo

 

sommerse radici e bagni per me, doppio

tra un’isola e l’altra. Teletrasmessi nessi

tra barche, rifiuti, sogni. Acqua sfinita

Sclerato ragazzo

Forza sbandieri sull’animo chiuso

giovane acerbo d’onore fasullo,

e percuoti e rubi e ad altro ancor sei aduso

scatti d’istinto, da focoso bullo,

quando coperto ti senti, da ottuso

spasso d’infami amici. Tal è il rullo

che crescer retto ti pare da escluso

sfrontato essere d’intelletto brullo,

sputi calunnia su altrui sofferenza

e non hai vergogna del basso crinale

che a percorrer vai per l’alta violenza:

debordi facile da via ideale

e menando per naso l’umana essenza

presto divieni miasma letale.

Se fiammeggia Notre Dame

Se fiammeggia frattanto Notre Dame
dai teleschermi, e le guglie infuocate
si stagliano tra nubi anodizzate,
sul punto ormai di crollare in un amen,
attende ammutolita e larmoyant
la gente tutt’attorno a man levate
crolli di filigrane consumate
(di stile fatalmente flamboyant)
dalla fiamma che divora impietosa
– oh, mon dieu! – di France la doulce l’icona
secolare, persino troppo iconica…
Non par Parigi sola che risuoni
di quei crolli, ma d’Europa ogni cosa
come travolta da un’onda estuosa.

Se forse giacendo

Se forse giacendo
nel suo in-alterato
e più sincero nume
ozioso l’appagare
la mendace forma
al suo avido negriero.

Se forse a dir poco
ogni estremo nascere
varrebbe del suo giovarsi
che misera pochezza
a tanto adoperare al giorno
non inarcasse il refluo sodalizio
a repobra conformità

l’incessante venire dell’uomo
all’uomo nel suo grido di vita
non perirebbe assennato
all’inanità della vita

che iniquia perdura l’esistenza
che si adopra come essa vuole.

Dove le radici non sono sentenza
né collusa ostinazione.
Lì dove la vita ostenta
l’accadimento gemma
Orora altra vita.

E non conosce alcun Nome
questo Cuore
pieno di meraviglia.
Luce Spiro Guida.

Se fosse possibile

Se domani tu potessi amarmi

come il cielo ama l’estate

sarebbe l’inizio delle ballate

di un animo che vuole salvarmi;

 

potresti forse anche ascoltarmi

cercando nelle parole celate

quel nuovo lampo di gioie mancate

mentre la luna vorrebbe baciarmi.

 

Credo il sole possa rinascere

nel buio della mia anima stanca

che riflette la paura della morte;

 

ascolto il silenzio del carcere

e penso a cio’ che forse mi manca:

l’amor proprio e lo grido forte

Se le quattro virtù abbiamo velato

Se le quattro virtù abbiamo velato,
prudenza, giustizia, temperanza e fortezza,
la Fede che Dio a noi ha donato
ci induce or ora a fare chiarezza.

Le cose del mondo sono di passaggio
ricchezza, potere, la gloria e l’affanno
la natura si inalbera e ci dà un assaggio
quando s’infuria con tempeste e con danno.

E’ giunto il momento della riflessione,
le quattro virtù ci fanno da lume
non si può credere di avere ragione
senza l’amore che cancella il marciume.

Prudenza, giustizia, temperanza e modestia,
la natura richiama e ci richiede ora il conto
l’essere umano non è una bestia,
è tempo di agir con amore profondo.

Siam piccole parti della terra grezza,
con forza e tenacia depuriamo ora il mondo
da scorie inquinanti, da guerre e mondezza
ricreiamo la pace con impegno profondo.

Natura sublime, ci accoglie con cura,
con le sue braccia di rami odorosi
se talora si infuria non abbiamo paura,

Se tanto bello e inesistente pare

Se tanto bello e inesistente pare
quest’uomo in carne sua che non arriva,
uguale vedo il mio signor da riva
nelle carezze del gelo e del mare.

A ogni donna commuove il suo apparire,
ch’egli è lo Sole, anni luce lontano,
e giammai nacque al mondo come umano.
Ogni notte io l’attendo il suo sortire.

Per te non esiste tempo, non c’è freno
nè esiste sangue o conosci postura.
Vorrei che – amore mio – tu fossi nato

tenerti stretto in un sol corpo al seno.
Quando verrà il mio giorno e avrò paura
salda starei in dolce morte al tuo lato.

Sebastiana

Dolce è una lacrima,
se dal tuo martirio sorge,
la mia nudità argina,
il pungente dolore che il tuo corpo morse.

Una sola parola scoccata,
sono cento frecce all’animo impotente,
nella grazia dorata,
il costato è un sigillo d’amore veemente.

Colti petali di rosa,
carezza aulente al seno commosso,
effigie cortese allo sguardo soave.

L’aversi nel tempo del donare

l’abbandono alla sacralità del legame promesso,
labbra lambite nel perdono da accarezzare.

Senso del mistero

Il senso del mistero è il vento
che molto trascina nella polvere
fatta dei ricordi di chi è contento
a dispetto delle lacrime più vere.

I nostri sogni saranno belli,
se faremo speranza del dolore
che carezza le pelli
delle persone d’ogni colore.

Saremo parte della dolcezza
più vasta, sconfinata,
e faremo vita dei respiri.

Saremo la gente nata
per fare di noi la pienezza
d’una vita spensierata.

Senza raggi

Amor mio che non ti slacci

da questa sì bruciata vita

che pria veste era di seta

e or mostra pezze e stracci

e sgarri lunghi sanguinanti

che pari hanno solo in guerra

oh che pianto a questa terra

ohi che pena essere amanti

E sia ieri che domani

stringe il cuore la paura,

oh mio amore nato morto

oggi il sole non è sorto

senza raggi è la pianura

brulla delle mie mani.

Sera

Un altro giorno invola tra le foglie
degli ulivi ondeggianti sul crinale,
e sulla cima dei cipressi scioglie
la cantilena afosa di cicale

rumorose all’ombra delle soglie.
Si disperdono i suoni nel fatale
scorrere di trame spente e spoglie
di ritorno, una mano un frugale

lento abbraccio allarga dai balconi
verso il cielo screziato di turchino,
stringe l’anima il sogno di visioni

nuove sulle orme note del destino,
mentre ai cortili l’oro dei limoni
largisce al buio note di divino.

Sera d’autunno

Profumo di legno e castagne al fuoco per le deserte strade
leggere scie di fumo s’innalzano lentamente in cielo
una debole pioggia dolcemente cade
avvolgono il paesaggio di fascino e mistero

Le foglie lentamente volteggiano nel vento
danzano con le gocce come vecchi amori
spogliano le fronde degli alberi dal vecchio indumento
si posano e ricoprono la terra bagnata di tenui e caldi colori

Nei cortili oramai deserti si odono voci di anziani
tra il profumo di mosto e botti bagnate
affaticati si riposano nell’attesa del domani

Dolcemente la fitta nebbia sui tetti si posa
dipingendo uno splendido quadro di una sera d’autunno
come fosse il sbocciare di una rosa

Serrata

Non così, vi avrei voluto lasciare
nelle crepe storte di un tempo oscuro
se una mano a non farvi catturare
ironia che porta fin dentro il muro.

Guardo il sole al tramonto di un domani
e brucia l’orizzonte nell’attesa
aspettando il tocco di quelle mani
se non sarà la firma della resa.

E crederò nelle stesse carezze
a scandire uno spazio ancora chiaro
al riparo da vendute certezze

entrerà luce nelle fenditure
e l’alba si aprirà s’un filo raro
via da quel muro e dalle nostre paure.

Sformato di gobbi

Gobbi che non siano ladri iuventini.
A levar la costa filamentosa
ci vorrà pazienza, non altra cosa.
Cardi: mezzo chilo, di quelli asprini.

Tagliali, buttali in acqua salata.
Ché non diventin neri sai che fare:
cucchiaio di farina e pedalare.
Cotti croccanti, tutti alla tritata.

Butta poi i cardi nella bacinella:
uova, noce moscata, parmigiano,
non ti scordare sale e besciamella.

Piglia la teglia, non caschi di mano,
imburrala, nel forno un’ora bella.
Attento che scotta: gustalo piano.

Sguardo finito

Guardano nel vuoto, cercando invano

i momenti belli di una vita

d’amore, e seduti su un divano,

taciturni, le mete con le dita

 

accarezzate osservano, provando

per esse un desiderio infinito

mai appagato che vive, ansimando,

in esile corpo e sguardo finito.

 

La bella natura amano e, attenti,

aspettano segni di tenerezza

dai figli per fuggevoli momenti,

 

e, mentre donano loro saggezza

e ricordi, attendono silenti,

con un sorriso, l’estrema carezza.