Archivio Sonetti

Che bello è

Che bello è sognare,vedi persone che non ci sono più ma che nel tuo cuore rimangono con amore.
Vedi luoghi che hai conosciuto ma trasfigurati nel modo che avresti voluto.
Voli sui mari e in mezzo alle nuvole ti riscopri umile.
Nuoti senza annegare, perché è solo la paura che ti fa annaspare.
Riscopri sentimenti veri che la vita ti aveva mostrato solo come desideri.
Parli con chi non c e più e ti sembra che il passato ti parli ancora di più.
Vorrei dormire e rendere i miei sogni una parte del mio divenire.

Chiedere

Chiedere al sole

di riscaldare

il mio malandato cuore,

per riscoprire

un nuovo e più

pulito amore che,

non mi faccia soffrire

ne mai imbestialito redarguire.

Chiedere al sole pulizia

nei sentimenti,

per non più feroci

ed anche malati giuramenti…

Chimica

C’è puzza chimica nella stanza illuminata male
da una lampada al cherosene.
Oltre a noi.
Un materasso senza lenzuola
e la finestra chiusa.
L’aria entra lo stesso dai battenti che hanno perso i cardini, come me, il senso del tempo.
Scopiamo senza farci domande,
per scaldarci, più che altro.
Un tempo scopavamo perché c’era chimica.
Zampillava dai pori.
Io la vedevo, tu la sentivi.
Saltiamo lezione di chimica, mi hai detto la prima volta. Siamo stati a fumare e baciarci un’ora.
Reazione chimica, tra di noi, in un cesso, quello delle ragazze. Ho trovato chimica pisce, ho pensato quella mattina.
Non trovo il drum,
l’hai preso te?
mi chiedi,
adesso che io ho finto
e tu hai finito.

Ci stiam giocando tutto

Il mondo è assai cambiato in questi ultimi anni,
ne son passati due, ma sembra siano mille,
un virus ha cominciato, ma l’uomo ha fatto danni,
gli uni contro gli altri, frizioni e gran scintille.

È un modo come un altro per non esporsi troppo,
in questi pazzi tempi di gran contestazione,
fingersi ciechi e sordi, tenendo tutto in groppo,
evitando fermamente qualsiasi affermazione.

Senza sentir più scuse e nemmeno spiegazioni,
di tutta l’erba un fascio alfine ormai si fa
lasciandosi alle spalle soltanto gran frizioni,

tra politici e regnanti, che danzano e fan festa,
ridendo dei tapini che non comprendon bene
che tutto sto bailamme solo a lor conviene.

Coerenza

Ha senso subire l’ostinato presente

o riviverlo, ostile estraneo, a tratti,

nel mio dolor d’angoscia cosciente,

con occhi da disillusione esterrefatti,

 

per scoprire poi, nel freddo niente,

dell’inutil mia coerenza i misfatti?

L’illusione sostenuta eroicamente

si fa larva languente, eco di ricatti.

 

La confessione chiede assoluzione,

ogni colpa mite perdono implora:

così, nel buio dell’assuefazione,

 

inattesa, flebile, una luce riaffiora.

Dell’animo accolgo la distensione,

se tutto, benevolmente, trascolora.

 

Come bestiame alla mercè dei pazzi

Come bestiame alla mercè dei pazzi
contiamo like e buchi di puntura,
ormai alla fame stringiamo la cintura
twittando cene ed ignorando i razzi.

Forse qualcosa sfugge al nostro ingegno,
sordi alle bombe e ciechi al crollo d’arte
fumiam tumori guardando a Marte,
eppur non siam di latta e né di legno.

Urge un risveglio di massa ed immediato,
siam tutti casa di bene e male,
ingredienti di quel menù ch’è il mondo;

scuotiamone le sorti profondo,
non sia il passaggio nostro un Carnevale,
piantiamo Amor dove non è mai nato.

Come candela

Guardo lo specchio: un volto sconosciuto,
occhi di nebbia e rughe come fiumi
confermano con rabbia che ho vissuto
la breve giovinezza, ormai in frantumi.

Resta solo il ricordo, e il cuore muto
cerca invano del sole i suoi barlumi,
nell’ombra il mio destino si è compiuto
sei tu l’incendio e qui tutto consumi.

Come candela che di sera accesa
per fuggire la notte e il buio e il gelo
ad improvviso vento si sia arresa,

così del fiore il delicato stelo
Atropo taglia e l’anima indifesa
piange e rimpiange il suo perduto cielo.

Come in un dolce sonno

Bella m’appare nella visione,
come la vidi in tempi giulivi,
l’animo si turba di passione
ed evoca ricordi sempre vivi.

Era graziosa e gioconda,
l’aureo crine splendente,
come la cresta dell’onda
sotto il bel sole fulgente.

I suoi sguardi furtivi e ridenti
accesero il palpitante cuore,
dardi improvvisi e ardenti.

Come in un dolce sogno fu mia,
breve fremito di segreto amore
che un soffio di zefiro portò via.

Come le foglie, pian piano

Su folate d’autunno si staccano piano, sciami di foglie colorate
e si posano lente su prati stanchi, disegnando nuove campiture;
qualcuna supera il muro d’orto e si posa leggera sulle verdure,
altre galleggiano su pozzanghere, come zattere dimenticate.

Il ramarro è già in letargo, la lucertola gira intorno
e cerca un ultimo tepore sulle pietre a mezzogiorno
illudendosi che il pallido sole duri sui muri ancora
ma l’ombra lunga arriva presto e tutt’intorno scolora.

E presto arriva la sera che s’affretta ad accendere luci:
il contadino ha raccolto, tra le spine, l’ultimo melograno
e aperta la porta di casa, dei bimbi festosi si spandono voci.

L’autunno raccoglie i pensieri di un tempo che sembra lontano:
nella cesta dei ricordi le promesse sfiorite della primavera,
e lenti dai camini escono i fumi, come le foglie, pian piano

Cominciò così…

Correva l’anno sessantaquattro del Novecento, quando avevo tutti gli ormoni in fermento.
Erano l’anni che sono passati alla storia,
di belle canzoni, feste e baldoria…

Si cercava l’amore nei paesi vicini,
con tanta voglia ma senza quattrini.
Strade sterrate, motorini smarmittati…
ormai cinquant’anni son passati.

Quella sera d’agosto, per farla breve,
a Libbiano si festeggiava la “Madonna della Neve”. A quell’ora la piazzetta era piena,
chi stava al fresco e chi aspettava cena.

L’orchestra aveva cominciato a suonare
e qualche coppia cominciava a ballare…
quelle belle canzoni di “ieri”,
che si riascoltano volentieri.

Le mamme a sede’ intorno alla pista,
attente alle figliole, senza perderle di vista.

C’era anche Luana quella sera,
compagna di lavoro e amica vera,
quarantasette chili d’allegria
mischiati a giovinezza e simpatia.

La salutai e si fece un ballo insieme…
“inciampicai” dicendo “ti voglio bene”.
Ci si strinse forte forte, si diventò “tutt’uno”, mentre suonavano “Come te non c’è nessuno”.

Si ballò anche il ballo seguente.
In mezzo alla pista, fra la gente…
abbracciati, guancia a guancia,
la sentivo tutta… allora non avevo la pancia.

Quella notte dormii poco, so’ sincero…
m’ero innamorato per davvero!
E da lì cominciò la nostra storia.
Ormai vecchia, si sa a memoria.

Una storia normale, come tante…
però, per noi, bella e importante.

Contemporanea

La spiaggia su cui vado è uguale
non ci sono alghe o conchiglie
solo cocci e vetri di bottiglie
e in fondo non è poi troppo male

I sorrisi – quelli da ospedale
che ho imparato nelle guerriglie –
i rimpianti – che ho alle caviglie
d’un benessere dittatoriale –

li abbandono gettandoli dietro,
come sabbia trascinata dal vento,
come foglie d’un ramo spezzato

vado scalzo sui cocci di vetro,
sono rabbia di antico lamento,
sono scabbia d’un tempo malato.

Copacabana, ed io

Sono arrivata a Rio senza visto…

Qui è diverso, è diversa la legge.

Alla fine tante cose ho scoperto,

ho visto il Redentore, il suo volto,

il Pão de Açúcar, Botafogo, il porto.

La samba, la gioia, ho vissuto il sole

son venuta qui sperando di amare,

ma le mie esperienze son state amare.

Si, ho conosciuto persone sole.

Mi son sentita in trappola. Ne porto

i segni sul corpo, nel cuore, sul volto…

Ma dopo la pioggia il cielo scoperto

sono indescrivibili. A chi legge:

io sono felice perché l’ho visto.

Cosa direbbe Erasmo?

mi alleo con te inesauribile di fiori
mi alleo in pace bellezza mille ideali
di te serbiamo miti antichi nei cuori
e come allora sull’isola candide ali

ancora c’inebriano ad onta dei mali
il profumo del croco e d’Esiodo i tori
del rapsodo cieco i sagaci pensieri
le voci di Profeti e i divini Evangeli

al capo sii corona con care radici
di albero della vita le alate fronde
in una nuova era di popoli amici

offri bene, copiosi doni preservaci
nei moti liberi di menti profonde
giorni e giorni fai circolare pacifici

Costiera Amalfitana

Sale su questo tratturo di costiera e non fatica
quest’aria calda che profuma di agrumi e di mare:
ti fa camminare piano, sotto una pergola antica
ove tra fioriture di limoni vibrano insetti a impollinare…

Scompiglia un garbato vento la frasca degli ulivi
che dal vecchio amico si fanno accarezzare
con movimenti ripetuti e lenti che li fa sentire vivi.

Scende la sera sulle case di bianco e di sasso
anche le luci da sopra il monte si fanno brillanti
come le onde che schiumano alla luna da basso
vestendo di nuove tinte gli sguardi degli amanti.

Le musiche di festa e di danze si fanno richiamo
anche per noi che a questo mare ci siamo venduti
confinando le brume di pianura in ricordo lontano…

Cuore

Mani grandi, il pane è nel forno
cime mollate, sole a banchina
onde del mare, vado e ritorno
Nel grigio, fiato, di questa mattina.

Amore per te, son io il rifugio,
i bambini nel prato senza paura
osservo la vita dal mio pertugio,
il mondo è per ogni creatura.

Il tempo, per nulla e solo per noi
In strada la donna cammina, sola.
E tempo d’essere quello che vuoi.

Le mani gonfie, lavoro più forte
il bimbo corre, sente il suo cuore
Lo tiene, piccole mani, più corte.

Custode

Zio Giovanni più amava quel noce
alto nei campi lontano da casa
sparire là nella nebbia invasa
sempre in silenzio senza dare voce

di mostrare quanto fosse veloce,
la nostra famiglia ne era persuasa,
ritrovare tra foglie a terra rasa
noci cadute a notte sottovoce.

Poi per giorni rimuovere il sacco
steso davanti casa quando il sole
appariva pur pallido e fiacco

porre quelle sonanti figliole
in una stanza e diventare un bracco
custode occhi chiari come viole.

Da sempre

Avevi scorto l’intento segreto
chiuso e protetto da gran sortilegio
da menti colte ricolme di spregio
riposto bene e nascosto in roveto.

L’uno diceva da tempo obsoleto:
oltre il respiro otterrai un gran pregio,
l’altro narrava che il suo privilegio
supremo nume aveva secreto.

Ma nati nudi e di tanti colori
piangiamo simili stille, neonati,
chiedendo latte e più calde carezze.

Dando poi retta ad armi e rancori
dimentichiamo l’ignoto e, beati,
gli occhi chiudiamo ma senza certezze.

Decrescita felice (A Serge Latouche e al MDF )

Va contro il malinteso volontario
che taccia d’anelare anacronistico
crescita zero e stato stazionario
– arresto all’antro  con afflato mistico.

E’ il mondo che precipita al sudario!
Se è cieco il vico al calcolo balistico
stallo di retroguardia è necessario
per un futuro in testa  – e sillogistico.

Dismisurata corsa al materiale
crudele sfida il tempo e la memoria
spazio al cemento e al circolo caudale.

Decrescita felice erta agonale
sotto la china morde come noria
l’ultima scoria al rivolo esiziale.