Il sonetto vincitore della XI edizione del Premio Renato Fucini

Sonetto per Angelo

e con la precisione dei capelli
ho spento l’orologio degli incontri
mi abbandono sui testi di Lumelli
cercando gli improbabili riscontri

e mi perdo nelle definizioni
di quanto appare certo l’inusuale
il senso che nasconde le intenzioni
scegliendo l’inversione dell’uguale

quel che mi muove è una commozione,
che non richiama in vita il tuo pallore,
non manifesta alcuna presunzione

sorge da un’ambizione troppo ardita
che si rivolge a te senza pudore
come memoria che si fa infinita.

di Gianfranco Antonio Isette

Sonetti in concorso

…in palio la felicità!

Son diciassette in tutto le contrade
che il Palio si contendono di Siena;
di scorribande in giro per le strade
e d’allegria e di feste Siena è piena.
Quando la gente arriva a Siena, invade
Piazza del Campo ed è come la rena:
un brulicare di persone e accade
che questa frenesia nessun la frena.
L’attesa per la “giostra” è elettrizzante;
nel pomeriggio, prima della corsa,
la passeggiata storica è importante.
Arriva della “mossa” infin l’istante:
il via lo dà il cavallo “di rincorsa”.
Un sol cavallo vince e un solo fante.
Dammi la mano, dai, che ti conduco
alla contrada nobile del Bruco!

A Francesco Petrarca

E’ con gioia, Messere, che mi annetto a celebrarti in simile frangente.
Tu, della schiera sommo un esponente,
concedilo ad un misero cadetto.

Così m’adopro, immeritatamente, a tributarti un umile sonetto
per cui il mio encomio giunga a te, o diletto, a quel degli altri adepti unitamente.

Poiché d’ambrosia tu pascesti il verso, ecco quale retaggio impronta d’oro ch’io non ricalco, forse neanche sfioro:

emulo sì, ma ancor troppo diverso. Né odo ancor levarsi, oggi, concerto che possa ambire a sì nobile serto.

A Leuconoe Libera traduzione di Orazio, Odi 1, 11

Non domandar – saper non è dato –
Quale destino, Leuconoe, quale
Destino gli dèi ci abbian riservato,
E il tuo quadro non tentare astrale.
Il fato, qual che sia, va accettato,
Sia che molti inverni l’immortale
Giove a noi mortali abbia destinato,
Sia che ci resti solo l’attuale,
L’inverno ch’or ora sfianca il Tirreno.
Sii una donna saggia, filtra il vino,
E la speranza recidi lontana:
Breve è infatti il nostro cammino.
Parliamo e il tempo fugge in un baleno.
Vivi oggi, che ogni attesa è vana.

A me stessa

A me che appresi che il viaggio è essenza,
più della meta del traguardo ambito,
grazie al passo lento, sempre avito,
cuor mi dona forza e resistenza.

A me che amai la vera differenza
non un limite, ma vigor ardito,
il passo indietro sia emerito,
vince chi cammina con pazienza.

Tardi ho appreso che il rispetto
per altri vale quanto per me stessa,
e il chiedere non è difetto.

Il tempo mi ha reso più assolta,
levigato gli spigoli del cuore:
ogni mia parte è ben accolta!

A mio padre

Ho capito che mi avevi sempre amata,
Quando riarsa da funesta febbre,
Mi hai parlato con parole ebbre
Di pena e con affetto vero m’hai baciata.
A quindic’anni ai piedi del mio letto
Hai sciolto le riserve del pudore
E spinto dalla paura e dal dolore
Hai detto quel che mai avevi detto.
Nel tuo sguardo vitreo, smarrito,
Una lacrima è apparsa sul momento
E solo allora ho avuto la certezza
Che, nella fugacità della carezza,
Si disvelava a pieno il sentimento
Di un amore paterno mai sopito.

Al fu professore di inglese

Non saranno certo le nuvole
a lasciare lontane le parole che dal ponte delle favole nostre echeggiano funambole.
Di notte appare un bagliore
dal cielo che sulle punte dei piedi viene narrando di nuovi colori
che tu vedi e io non possiedo.
Cercare è invana fatica perché
non qui, non più, possiamo parlare o vedere più là. Con occhiali fumè
tanto antichi avevi un modo audace di guardare le cose del mondo senza evidenti ragioni della voce
potente oltre il tempo resta il ricordo.

Al Mosè di Michelangiolo

Siede immobile sul trono del mondo
La creatura dalle squame lucenti
Di marmo caldo, barba di serpenti
Intrecciati lungo il volto profondo,
Corna che emergono dal capo fiero
Come obelischi di fungo dal ventre
Della Terra osservata tutta, mentre
Ogni arto è sole di freddo mistero.
Se dinanzi a cotanta altura, fremendo,
Collassi in occhi di pietra maestosa,
Oltre le arcate della sua dimora
E le valli del Tempo che non osa
Obliarne lo sguardo, ti abita ora;
Ché tu sappia sempre: ecco il Tremendo.

Al sol marciando

M’era ridente intorno la natura
in cielo il sol coi dardi mi gravava sul capo e il corpo tutto mi grondava di sudore nel pian della radura.
Era però di presso un ruscelletto
e ad esso m’appressai per raffreddare il caldo che mi stava ad assillare
e ne gustai benefico l’effetto.
Poi ripresi ad andar nel sottobosco cogliendo more e funghi nel marciare tra gli alberi e le sue fresche fronde
così il viaggiar mi parve meno fosco masticando qualcosa nell’andare
e rimando poesie liete e gioconde.

Alba a Pianoro

Sorge il sole. In un lampo di zaffiro
palpita il tremolio dell’Appennino.
Scivola l’invisibile sospiro
del tempo sulle pietre del cammino.
Nel silenzio dell’attimo il respiro
del sogno si disfà. Scrive un violino
ghirigori di luce, l’elzeviro
d’oro su un intangibile taccuino.
Si allaga il cuore, il mio, nell’improvviso
risveglio. Odo nell’anima un vagito
di tenerezza. Seguo il mio sorriso
nella nenia del giorno, lo stupito
ritrovarmi, così, in un paradiso
naufrago dentro un mare di infinito.

Alba lenta e gentile

Sfiorò le tende del mio balcone
un’alba lenta e gentile che sciolse,
con le sue calde dita rosate,
neri grumi di pensieri notturni
e cantò per me con voce di uccello
canzoni soavi e rassicuranti,
gioiosi inni al giorno, alla vita, al bello,
sussurri dolci, leggeri e invitanti.
Furtiva si sdraiò sul mio letto,
tiepida, come un domestico gatto
con le sue fusa lenì il risveglio.
Così trovai il sorriso da indossare,
abbagliante armatura per gli scorni
da obliare e i novelli da affrontare.

Ali

Ali riflesse e giochi di gradini rossi,
Sassi che cadono, saltellano nel blu…
E tornano sul, dentro per bussare dentro come un tuono
Irrompe l’onda, lo scoglio di Bocca
E l’asse che la rosa smezza la città

Alì e altri innocenti

Le chiome tue rapprese sulla riva,
le membra che carezzano le onde:
attorno la natura sembra viva,
ti chiamano ma l’eco non risponde.
Il tuo barcone non aveva stiva,
ora è un tronco seccato senza fronde,
ha perso sangue come una gengiva,
il tuo corpo annegato ci confonde.
Bambino in fuga da misera gabbia,
perdonaci se puoi, senti l’amore
che pur mischiato ad invettive e rabbia
prova a lenire il peso del dolore,
mentre rinnova Cristo la Passione
e noi imploriamo una Resurrezione.

Alla bottega

conosco un posto, non molto lontano da qui
dove puoi andare a fare la spesa senza farti confondere dalle luci e i colori dei supermarket

è una bottega piena di sole, come quelle di una volta.
dove puoi scomparire tra le ceste della frutta e i cartoni del latte
senza che nessuno ti dica niente

dove puoi fermarti con il negoziante
a parlare di come sarà l’Inter la stagione che verrà
mentre regala caramelle e matite ai bambini
senza che la gente sbuffi in fila per il tempo che perde.

è una bottega che aspetta te, prima di chiudere la sera;
un posto dove trovi sempre quello che cerchi,
dove la vita non scorre impalpabile come sopra un nastro nero
e non ha il sapore sottile e trasparente del cellophane.

È un posto piccolo e nascosto
che scalda e protegge come
dovrebbe essere, sempre.

Alla Pace

T’annuncia un battito sommesso d’ali, o Pace, di colomba che si posa
sul capo dove la bella armonia osa
e dell’uomo lenisce tutti i mali.
In ogni tempo sempre tanto vali; nel cuore umano profumi di rosa. Anche se il verbo ipocrita ti chiosa resti l’evento che ci rende uguali.
Si viva come la “stella polare”; quando t’opprime la tetra bufera tu alzi la fiaccola del dì sereno.
Mostri i colori dell’arcobaleno;
al tramonto ti veglia l’alma sera, che col suo roseo volto fa sognare.

Amiamoci adesso

Non giurarmi l’amore eterno
perché il tempo non ci appartiene
viviamo l’istante senza catene
può darsi il futuro sia gelido inverno.
Domani presto si chiamerà ieri
torneremo schiavi del nostro destino
ma in questo attimo si cela il divino
a far sì che anche i sogni appaiano veri.
Il sublime non è imperituro
è l’effimero della rosa che sboccia
il fuggevole incrocio di teneri sguardi.
Il luccichio dei tuoi occhi è oro puro
ed ogni momento fra le mie braccia
resterà impresso nei nostri ricordi.

Ammonimento fraterno

L’Alighieri e il suo duca Virgilio
dagli Elisi al Paradiso Terrestre
videro scorrere il Lete silvestre
dalle picciole onde, sorgente d’oblio:
passati ricordi van in esilio
dalle zuppe labbra torbe e maldestre
di chi più non segue vie maestre
e in questo letto trova domicilio.
Così, chi viene preso da Cupido
pare ubriacato da tale fiume,
e sacrifica alla nuova libido
fedeli amici d’antico costume
dimentico del legame splendido,
mutato in vecchiume ormai da pattume.
Se ancora possiedi un poco d’acume,
amico mio, non dimenticare
chi dalla culla ti sa sopportare

Amore sei tu

Sei tu la pianta dalle verdi foglie,
che mi rinfresca nella gran calura
mi dai sollievo quando l’erta è dura
e sai sempre placare le mie voglie.
Sei l’erba verde nelle lande spoglie,
la fonte che disseta la mia arsura,
sei cielo terso, sei come acqua pura,
sei l’elisir che ogni dolore toglie.
Come brezza che giunge da lontano,
passa e accarezza colorato fiore
muto latore di un mistero arcano.
Tu che silente t’insinui nel cuore
poi con veemenza diventi uragano
questo sei tu subdolo e dolce amore.

Anch’io ti amai

Pioveva. Ti incontrai. Tra un urlo nero
di nubici si strinse lungo i bordi
della via. Rimbombavano i precordi
di voci di altre età su quel sentiero.
Cielo e terra si unirono. Il mistero
si squadernò tra le ombre di ricordi
in noi, nelle nostre anime. Echi sordi
il mondo intorno a ciò che tu eri, io ero.
Soffi di azzurro, a un tratto. Ti abbracciai.
Scaldavo il freddo che sentivi ancora.
Nel tuo tu io mi sentii io, più forte
della fuga del tempo, della morte.
Mi amasti già in quell’attimo di aurora
di eternità sospesa. Anch’io ti amai.

Andavo a piedi e ingiambai

Percorrevo una strada sdrucciolevole.
Sempre a piedi camminavo. Su un cumulo
di merda ingiambai, patriottico tumulo
di una nazione d’intelletto debole.
Avrei dovuto mostrarmi arrendevole?
Subir la retorica del bue popolo
che millanta di discender da Romolo,
ma è bruto e d’ignoranza abominevole?
No! Io cerco la sboccata combriccola
rabelesiana non pisciante a vanvera
sulla straripante demenza italica
che ha spento ogni estremità cefalica,
per ridere di come al fascio s’ancora
questa nazione insiem pappona e zoccola.

Antares

Antares, stella gelida e lontana,
che estinta da millenni, mandi luce
siderale nelle mie notti insonni,
lo sai che l’amore mio anch’esso è spento?
Ormai siamo mimi che sulla pista
ballano un tango disperato e folle
sapendo che la musica non c’è più,
ma la farsa senza senso continua.
Dimmi, Antares, che da sempre mi scruti,
mi osservi, mi guardi e non dici nulla
di questa vita bastarda e un po’ sciocca.
Quanto ancora uniremo le bocche
in baci freddi e distanti come astro
ch’è già morto da milioni di anni?

Apparizioni

Ascolto una voce come un lamento
Nel risvegliarmi da un sonno leggero
Incontro quello sguardo e mi par vero
Che tu sia qui da me in questo momento.
Da dove appari per il mio sgomento?
Ti ho vista inerme con quel velo nero
Fredda bianca senza il tuo sguardo altero
Ormai liberata da ogni tormento.
Sei tu l’anima che mi diede al mondo
Madre dolce dei miei anni migliori
Forza amore e il più tenero sorriso ?
La voce ascolto dal tuo algido viso:
“Non temere inganni liti e dolori
E segui sempre l’esser tuo profondo”

Ar cinema

Nella Ruota che gira e che rigira,
ir Cinema c’ha un posto assai speciale:
un ciacche e ti ritrovi – mi’a male –
in artri mondi! È ‘vesto che m’attira.
È tutto finto, è tutto vero: l’ira,
la rabbia, la passione, amor che sale,
i sogni che si posan sur guanciale,
lei bella, la più bella…la si ammira…
Di ‘órpo ti ritrovi in mezzo ar mare,
o in Cina, alle Crociate, anco su Marte,
un fresch indietro ed eccoti bambino!
E ar cinema ‘un si more, si può fare:
ti sparano, stecchito caschi ad arte.
Poi t’arzi e ti vai a prende’ ‘n cappuccino…
Dunque sia groria e spazio sur Parterre
ar genio di Louis e Auguste Lumière!

Arte e Natura

L’oro, il lampasso chermisi, l’argento
l’impasto degli elementi, l’argilla,
l‘olpe bilingue ove il vino scintilla,
le tempere, il quadro ad olio, il pigmento,
la statua, il marmo, l’incantamento
ieratico dell’uomo che fibrilla
innanzi alle forme in cui la pupilla
dà alla Natura il più alto compimento.
Bellezza tu nascondi la tua unione :
la tua Divina Madre apre i tesori
al tuo misero padre che li innalza
alle meraviglie coi pii sudori
dell’Universo; ma tu vai scalza
nella mente come un’ intuizione.

Astro fulgente

Ci sono sorrisi
che scaldano i cuori
ci sono abbracci
che ti fanno sentire un tutt’uno
ci sono baci
che infondono energia
ci sono persone
che restano scolpite nei ricordi
quelli belli.
Sorridi sempre
sprizza allegria
balla tra le nuvole.
Canta a squarciagola
così che possa sentirti
mentre voli alla scoperta di nuovi mondi.
Nuota spumeggiante
tra le galassie
confonditi con le stelle
resterai nel firmamento.
Dolce notte
Astro fulgente

Autunno

Ho urlato la verità al vento
Che nessuno mi potesse tradire, Che almeno tu potessi sentire. Per una volta e ancora cento.
Mi sono mangiata la lingua Non pronunciare parole vane, smetti di credere alle panzane. Muta la realtà si estingua.
Il vento mi ha sfiorato piano, riportava suoni e spavento, Ho sfogliato l’antico dolore.
Una foglia nella mia mano, ho trascritto i suoni del vento. La realtà ha ripreso sapore.

Balena Bianca

Un ricordo di mia madre che spesso mi aiutava a vestirmi mentre si vestiva lei stessa 
nell’auto che nella nebbia andava 
tra le onde, sui flutti di una promessa.
Ero piccolo e credevo lo facesse per me perché potessi imparare dalle sue movenze e sono nato convinto che un gesto è vero se può curare le tristi essenze.
Oggi sento la testa che si ingozza di ricordi 
come una Balena Bianca e sospetto 
che più io scavo, più si ingozza di rimorsi
Balena – Bianca si accanisce nel mangiare 
nel vitreo ventre di acidi sogni 
chi non vuole guarire e si accanisce nell’errare.

Balletto

Ardua ‘mpres’ dir la danza imprecisa
Che fai per non cadere, giochi puella
Tra le tue voglie, profumi e sei bella.
Porti rose in capo ed in bocca risa
Sei tu però una donna non decisa,
Amata per averla vista bella
E corteggiata per vezzo di cella
Con una smorfia e la fronte incisa.
Tornerei a perdermi in te primavera
Ma non t’ho seguito avevo i pie’ stanchi
Di cercare un senso nei tuoi passi
Poi mi ha distratto la danza bischera
Dal ramo fino a terra di petali bianchi,
erano belli e mi sono dato anch’io al vento.

Brilla la luna e cantan le stelle

Avea lo sguardo languido, intanto che lo rivolgeva al cielo nero.
Nulla, attendeva, nella sua danza, d’esser, capiva, del mare, un’onda.
Di spuma candida, la lunga veste, dolce libellula, figlia del mare.
Cresce la notte, alita il vento, s’è addormentato or il silenzio.
Brilla la luna e cantan le stelle, nell’orizzonte, verosimil finto.
S’eleva, nell’incanto d’arabesque. Le voci s’appropinquan, di sirene,
d’Angeli, s’ode, superba, l’orchestra. Vivi plausi, dalla sfera celeste.

Buchi

Un buco è simil ad un varc’oscuro,
Un salto in lungo fra realtà e mistero,
Inghiotte luce e suono dentr’al muro,
E lascia il mondo sospeso per intero.
Inestimabile valor di sua profondità,
Custode di segreti che nel tempo cela,
Buio come il ventre d’un’infranta vanità,
Eterno nel vasto silenzio di sua tela.
Un buco non è solo assenza o vuoto,
Ed ogni passo che attraente pesa,
Ansante fiato trattenuto nell’ignoto
Liquidi confini d’esigent’attesa,
Porta nascost’a chi non osa’l moto
Nel mantener la sua promessa illesa.

Ca’ sonetto

il nobile edifizio
eretto su quattordici colonne
(G. Gozzano)

Ed io mi guasto, azzimato del cellofan
Nero, e dell’aura urbana mi deodoro
Le ascelle flaccide, snelle per cielo
Aleatorio, e sì che volo!, e a disdoro
Degrado, e grido, e mi sfuggo per foro,
Scappamento per vene, e qui mi celo
l’asma mia miasma, e quindi mi perforo,
E scolo, e ammuffo, e poi m’infungo a pelo,
E lievito la vita, dolce plum
Cake sotto vuoto spinto, e sto in apnea,
E trattengo il respiro, stretto in stringa,
Di glosse strozza…! E mi strizzo l’idea,
E mi gonfio nei pressi di siringa,
Che già mi gratta, e già mi sfratta. E… sboom!

Capolavori

Da qualche parte ci sarà qualcuno
che ha scritto irresistibili canzoni,
di quelle a cui, sedotto, t’abbandoni,
però non le ha sentite mai nessuno.

E se non era Mendelssohn (“Raduno
d’un grande – disse – l’opera”) Passioni,
Cantate, Fughe adesso chi le suoni
non ci sarebbe, Bach sarebbe uno

dimenticato. Poi nelle soffitte
ci trovi tele eccelse o, manoscritte,
pagine che è un delitto le si ignori.

Onore, onore alle opere sconfitte
da una fortuna ingiusta che fa fuori
non sempre il peggio. Addio, capolavori.

CasSonetto

Eccomi qua. Piacere! Mi presento:
sono un casSonetto di parole.
Riciclo la vita, ci sto attento.
Ben chiuso, come tradizione vuole.
Sillabe, accenti, pause, ritmo, rime.
Sensi sparsi raccolti in strofe tempre.
Versi fluidi che il metro comprime:
in totale quattordici, da sempre.
A gruppi di sei, otto, quattro, due:
mi producono in diverse varianti.
So adattarmi alle esigenze tue,
a tutte quelle dei tanti poetanti.
Riempimi! Vuoto non servo a niente.
Conservo il tempo ermet(r)icamente.

Catene

Volti scuri nell’ombra della pena
speranza di una vita ormai svanita
urla alla luna l’anima ferita
ogni abbraccio diventa una catena.
Parole d’odio come fiume in piena
sangue versato sopra un pavimento
l’amore se n’è andato con il vento
il tetto trasformato in un’arena.
Rompiamo questo buio con la luce
l’amore vero non può mai morire.
Una catena non potrà fermare
chi cerca libertà, chi vuole amare.
“Mani amate non devono ferire”
gridiamo tutti insieme, ad una voce.
D’ogni donna ferita ed ogni storia
ognun nel cuor ne serbi la memoria.

Chi resta

È giunto quel tempo in cui si fa sera,
manca un piatto, una voce, un respiro;
la sedia vuota scrive il suo martìro
nel legno freddo d’una casa austera.
E troppe foto, a render la preghiera
dei giorni andati, immobili nel giro
d’un tempo che non torna, e il mio sospiro
si spegne dove il buio più dispera.
Ogni cornice è un frammento di vita
che grida piano: “Ricordami ancora”,
mentre il silenzio intorno si fa rito.
Ma resta un lume — tenue, che consola —
nel vuoto che la tavola ha vestito:
l’amore resta, e vive in ogni ora.

Chiusi.

Porte lente si aprono davanti,
chiavi di rame tintinnano, acute.
Vesti in blu controllano ambienti.
Parole secche come isolate
inseguono figure lì presenti.
Rituali soliti, azioni mute
segnano i tempi ora detenuti.
Aria ferma appare come assente
di colpo il clangore di un blindo
chiuso, grida la fine del momento.
Giorni uguali come senza fondo
scorrono dietro uno sguardo attento.
Soli o a gruppi vagano persi
pianto muto oltre il tempo vuoto.

Com’ero, qual sono

Com’ero, quando giovin genitore
pensavo, con costanza, alle figlie
e al lavoro, con grande e sano ardore,
mentre i giorni correvan come biglie?
Amore davo e nessun altro onore
per me chiedevo se non che, con briglie,
tener dritta la barra del censore,
ma infin, di vita, persi meraviglie.
Qual sono or oggi e qual vero sentore
in me alberga del tempo e delle striglie,
che usavo con prudenza per le aurore
che attendevo radioso con fervore?
Tutto è andato per sempre nelle chiglie
al sole ascose e senza più calore.

Come fanciulli

Sarà un bisturi a togliere quel velo
Di emozione sugli occhi e viaggeremo
Però guidati da una donna in camice
Tra pieghe amare, nuovo sarà il sorriso
E gusto nuovo avranno i cibi soliti
Come fanciulli aneleremo il mare
Oltrepassare in volo l’orizzonte
Con quel gabbiano che non torna indietro
Diromperà l’amore nei ricordi
Che ad onde ci annegano e ci annebbiano
Racconteremo la vita ai muri fradici
E alle sponde del letto che c’ingabbiano
Un abbraccio di luce ci affratella
Dove il silenzio spegne ogni dolore

Come ubriachi di assenze si conduce

Come ubriachi di assenze si conduce quest’inganno di teatro alla lontana, quando il sipario si sbrega e si ricuce,
e appaiono madre e padre a una fontana.
Nell’acqua che vi sgorga, in quella luce salutano, consigliano maglie di lana,
lei, sempre madre, richiama la sua voce la terra della vampa tramontana,
calda di una presenza in primavera,
e lui, tacito, abbracciato a vita nuova, e insieme vivi perché viva il fuoco.
Li ascolti, i volti ne coltivi a prima sera,
di ritorno da piazze ove si prova
la via solita, come consueto moto a gioco.
Una donna e un uomo coi loro sguardi a custodire e salvare, e non è tardi.

Cuore debordante

Grigia l’aria dalla pesante trasparenza
il paesaggio che rabbrividisce
i respiri tinti di accoglienza
esserci è verbo che si infittisce.
Casa di anime si erge
la maschera nera alcune ha sottratto
il ricordo le rende eterne
giungendo loro nella luce dell’anfratto.
Vicini nel mantenere il calore
poca cosa serve per osservare
nello sguardo altrui il cuore debordare.

Darti per sempre amore eterno

Darti per sempre amore eterno:
Lo pensai scoprendo i tuoi occhi.
Ma ora che ti avvolge l’inverno
Pare che bellezza più non ti tocchi.
Ora lo so: in quanto ad amare,
La giovinezza è soltanto forma
Che infine svanisce. È il mare,
Che sulle spiagge scioglie ogni orma.
Adesso sfioro il volto rugato.
Sebben d’inverno sfiorisce la vita,
Tu resti bella come in passato.
Ho nel cuore dolcezza infinita!
E in fondo rimane invariato
Il pensier a cui devo la vita.

Democrazia

La responsabilità
è una cosa seria
se la credibilità
ormai, è miseria.
Indovina chi mente,
veggente sì, ma cieco
brancola tra la gente
che ha lo sguardo bieco.
Esiste la verità
o è morta di parto
nel dare alla luce
tutto ciò che produce
solo voti di scarto
per il monte di pietà.

Di senile amore

Di quest’amore di vecchiezza pieno
mi piace talvolta ricordare
l’impotente irascibile veleno
che vano rende il tardivo amare.

La dolce lieve curva del tuo seno
ah! come spesso amo rammentare!
Le belle bianche mani, quelle almeno,
potessi solo stringerti o sfiorare…

Sappi che mai amai la giovinezza
come nella stagione del declino
e che sempre, in notti di tristezza,

ancora sogno d’esserti vicino.
Nel tempo fatto solo di pienezza,
baluginante soffio del divino.

Dialogo nell’AdE dopo la morte di un parente

Dottore, scusi, che è sta busta verde?
Non ho pagato per la successione?
Ma come? Io dico, uno un po’ si perde,
preso a metà tra lutto e depressione,
e oltre ai becchini, ai preti e via la lista
per la lastra, la croce ed il trasporto,
non ho pensato anche al commercialista:
quante cose da fare per un morto!
E che faccio, dottore? Pago e taccio?
Sennò finisco pure con l’arresto?
Così è la legge? Bravo, mi compiaccio.
Servo dello stato, vedi che gente,
a voler essere del tutto onesto,
stavo meglio a incocciare a un delinquente.

Dimore

Abita nelle case della gente
nei sotto strada e nelle gallerie
nei boschi di pini e abetaie
dall’oriente lontano all’occidente
dimora negli anfratti permanente
nei salici piangenti nelle acacie
nei grattacieli e nelle topaie
come fuoco come fumo asfissiante
si nasconde in ogni abitudine
nei sorrisi forzati in ascensore
nell’anima piena di inquietudine
in silenzio senza nessun clamore
si cela questa solitudine
nelle stanze nei giorni e nelle ore.

Dintorni

Libeccio spezza luoghi maltrattati odor di tamerice tosto bagnata, profumo acre di grani sciancati, che tempo brusco ha dimenticata.
La ginestra gialla sugli argini,
il rio che bercia inquieto nel letto, vita che s’apre senza margini, eppure tutto è strano e netto.
Son fieri momenti che fuggono via, come sabbia asciutta tra le dita, granelli persi nell’uggia toscana.
La vita se li porta, e così sia, come l’onda che li vuole rapita, appieno vanno vissuti, perdiana.

Dove la terra finisce

Lungo la costa atlantica una punta
ultima, un paesaggio desolato
da venti forti spesso contrastato
presso l’estremità chiara raggiunta.
Compare un panorama illuminato
sulla scogliera, dove l’onda giunta
con fragoroso boato defunta,
lascia la schiuma al luogo dirupato.
Osserva attenta la mole di un faro
che guarda avanti verso l’orizzonte,
cogliendo ciò di cui è ignaro
oltre l’oceano che fa da ponte
al mondo, là dove trovar riparo
dopo aver traghettato con Caronte.

Du’ cerchi

Nun è per esse’ scartro
ma, du’ cerchi, mastro Giotto messi uno sopra n’artro, fanno un otto.
E messi entrambi, ognuno, senza virgola o l’accento alle spalle d’un bell’uno nun c’è versi, fanno cento.
Invece se li metti accosto come un paio di gemelli s’infilano ar su’ posto precisi com’anelli.
Ma, messi un po’ a casaccio ‘un servono a granché,
di cosa me ne faccio?
Du’ cerchi, vanto della geometria, mastro Giotto mio,
so’ cosa santa, se piazzati co’ maestria.

È nostro il giorno

È nostro il giorno, torna insieme al vento.
Stringiti come cinghia al mio fianco.
Il fuoco dell’estate s’è già spento,
di voglia di deserto sono stanco.
Le piogge di stagione adesso sento
e fra l’erba bruciata non arranco.
Al lume dei tuoi occhi resto attento,
le porte del giardino ti spalanco.
M’aprirò come terra ai germogli,
un cantico ho composto per saluto,
sistemerò i fiori che raccogli
con fili del sorriso ritrovato,
per ricordar che nulla va perduto
di quanto per amore viene dato.

E sono nuvole i passi in ritardo

E sono nuvole i passi in ritardo
dentro una vita e un vagare randagi.
Il riaffiorar di passati naufragi
cela il timore che incute l’azzardo.

Poi, brulicanti e mordaci disagi,
figli d’inganno, non mostran riguardo
al cuore incerto; con fare maliardo,
lesti s’effondono infesti contagi.

Serra la ruvida tana romita,
saggia la via e il sentor di speranze
malgrado il buio svilente di selve.

Arduo accettar la presenza di belve
e indefinibili trame di danze
a disserrare di nuovo la vita.

Eclissi

Siamo vecchi ormai e tu credi ancora alle stelle.
Compagni di un viaggio lungo
uno stralcio di spazi siderali dove
niente è sembrato accadere che
non accadesse per noi, appositamente.
Voglio dirti che è stato un bel viaggio.
Ma non ostinarti ad implorare il cielo
ché il Cielo non ci concederà
di volare via insieme,
di tracciarci un’ unica scia.
Sai, fra poco si eclisserà anche la luna.
E se stasera la luna sparisce
non mi voglio influenzare di stelle
di spazio turbolento ed infinito
Per favore, puoi chiudermi gli occhi?
Desiderio è – mancanza di stelle
e è così che io voglio partire,
ma tu devi lasciare ch’io vada.
sono io la più incline a morire.

Elusi elisi elisa

Elusi elisi Elisa,
diffusa circoncisa noia,
muta l’acca taci e ‘ngoia
come l’ignorar virtude,
prostro alla Scienza del tu’
animo da menzogna spolio,
in istudio del sapore senti;
senti col gesto e mi confermi.
Menti, del gusto che raffermi.
Menti nel giusto, se dissenti.
Ove m’esorti lei, tu, il tuo cuore?
Poniamo fue rimosso accorto,
cronologo cronotopo accorto,
sigh… di vulva spesso a corto!
“Alto là! Chi va là? Sei là?”
Stridula soavità nel ciarlare
al solo suolo in piedi
ingiunti, se disgiunta
la gialla costina d’un giallo
d’inespressa lingua saliva…
‘Lisa “mia”, quant’eri ilare
e a Voi, senza gnome,
chiesi sigle, cercai jingle.
Mai! Si! No! Sempre! Oh, cielo!
Un responso porta meco,
adesso adesso ed ora ora.
Ahi tè, che alle cinque l’ora bevi,
figliamo, copuliamo,
viviamo da morire sbocciando
dal serafico monte di Venere
che nulla sia con, senz’amore;
Non fui una volpe, ma manco lepre:
se non già bestia di te fiera,
donna di specie sapiens, non saggia.
Stupida cioè non figuravi, agli scemi;
non parevi esserlo: perciò l’eri.
Sei femmina, dunque mendace!
Amandoti, non dico non sia bene
e mi fa male, anzi peggio!Duole assai, cosa non allieta!
Se nel torto v’è delle ragioni,
la ragione brami perderla?
T’immischiasti aulica co’ magnaccia,
bonaccia dama di cui fui pedina.
Cinica e sadica e volgare e plebea
come il capitano che invano,
cucciolo d’uovo al faro ormeggiò,
dai segni un eseguire strutto,
in appendice ad un Dalì e del “farò”.
A me non mi frega, né mi ruba e turba,
che da puttana viene un puttanaio
e perciò meglio dimenti l’avei
cato: talvolta capitano, altre sedano.
Chi sugnu minchia!
Però non merita che me, se non altri…
Esenti dall’epilogo postovi ad epigono.

ENCICLOPEDIA CONOSCERE

Le cose che toccavo tutti i giorni
sancivano che i massimi sistemi
stavano in fila secondo l’alfabeto
dall’atomo alla zebra, al domatore.
Ma oggi non c’è computo che torni
stanno sparsi nei libri i teoremi
i fogli stringo, nervoso mi ripeto
com’è che una stella muove amore?

L’indice, poi, che crea sfiorando Adamo
è una faccenda che non ci riguarda
(semmai quello del costo della vita)…
E nell’ultimo sonno interrogavo
l’effigie del mio viso che mi scruta
con i capelli morti tra le dita.

Epigrafe d’amore

Né mai ti saprò dire che ti adoro,
Leonida, tu primo fra gli Elleni,
tu mi portasti per i campi pieni
di luce, per te io baciai l’alloro.
Lo presi dalla bocca quasi d’oro
delle Muse e più soave dei veleni
di Afrodite mi fece d’acqua un foro
in fondo al cuore, dove di baleni
annegai per amore. La saetta
di Zeus mi parve, prima della morte,
la tua figura: del Sole diletta
stella tu sei nel cielo in cui la Sorte
ti diede eterno luogo, a te che spetta
illuminare all’Ellade le Porte.

Er primo impatto

Ai tempi nostri semo stati onesti, rispettosi de leggi e de persone,
avemio combattuto pe la patria, pe avè un futuro diverso e miore,
aripensacce me vengheno li brividi, sannava in giro vestiti co li stracci,
co delle scarpe tutte sderenate, fermate dalle corde o li legacci,
l’unica cosa che nun ce mancava, era la compagnia de purci e de pidocchi.

Poi finalmente quer giorno è arivato, finii la guera e er sogno sé avverato,
avemio combattuto come matti, pe arimette su l’Italia nostra,
a pecoroni tra tutte le macerie, poi finalmente l’Italia è risorta.

Sé incominciò a fa na vita nova, diversa più decente più sicura,
senza più privazioni ne miseria,
ogni persona poteva lavorà, perché er lavoro de certo nun mancava,
quarchiduno se comprò puro casa, coi sacrifici spezzannose la schina.

Sé stava bene nun ce mancava niente, cò onestà se tirava avanti,
c’erà er rispetto nun c’era la malizia e li fii nostri èreno contenti.

Mò chè successo? Semo tornati adietro, devemio aricumincià come na vorta,
dovemio de subii li governanti?, Che pe arubà vanno a briia sciorta,
quanti de loro anno sacrificato?, L’anni più belli della giovinezza,
quanti pe la patria anno subitò?, Le privazioni e tutta la monnezza.

Mò li fii nostri nun pònno sopportà, chè er genitore ie vèngà umiliato,
drento de loro è vivo quer ricordo e nun sé lo scordeno che amio passato,
li sacrifici nostri so sfumati?, Indò stava questa gente in quer momento,
mò saritroveno a fa li governanti, a panza all’aria drento ar parlamento.

Pe sto paese avemio dato tutto, l’avemio fatto grande nantra vorta,
e questi qua co l’intrallazzi loro, lo stanno a maciullà che nun se arisardà,
prima c’era la guera e lo capisco? Éri costretto alle privazioni,
ma questi qua so peggio della guera, lo demolischeno senza li cannoni.

Noi avemio sofferto e questi godeno, avemio combattuto e se ne fregheno,
ma ormai noi che potemio fa? Ma li fi nostri nun ponno sopportà,
loro so gioveni e sto paese lo ponno arivortà,
perché cianno er diritto de campà e quanno serve puro de strillà…

Eravamo

Eravamo
a pochi passi l’uno dall’altra
e neppure lo sapevamo
Eravamo
zolle e sassi in un terreno
fili di paglia e steli di fieno
Eravamo
pioggia e vento di una bufera
sole e nuvole di primavera
Eravamo
come papaveri al vento in un campo di grano
E’ arrivato l’amore con la sua falce in mano
E ora resta poco di ciò che eravamo.

Erba

Non faccio altro che perdere la voce
perché mi ostino in modo personale
ad abbracciare tutto il corpo astrale
che danza nei tuoi occhi, sottovoce.
Ma le mie braccia inchiodate alla croce
della mia triste identità carnale
mi ricordano dove devo stare:
solo a cullarmi nel mio grido atroce.
E intanto resti a guardare; una forma
ti definisce indefinita. E intanto
resto a guardare, con la bocca aperta,
fiacca, mi attacco a cercare un po’ d’erba:
a filo a filo cresce come un manto
sul mio corpo che -piano- si trasforma.

Euritmia

Mi rivedo al di là dell’ombra vana
di quell’età tra accesi tuoni e lampi
correndo di qua nei frondosi campi
nel rifiorir di un’eco lontana.
L’anima sì vuol svelar la visione,
all’apparir di terre senza inciampi
e stelle d’or che ciascun tempo stampi
su volte blu di mirabil stagione.
Nelle città van fiumi di parole,
rime per te, per me danze di accenti,
tutto per noi s’inebria di bellezza,
di venustà di timide vïole
che ormai in balìa dei superbi vènti
quietano velleità con leggerezza.

Europa in fuga

Contro la guerra voce d’Europa tace
Minacciose folate soffian d’oltremare
Ondivag’Apocalisse avanzar appare
Tortuoso sentiero spinoso è la pace.
Pure la luna sembra così audace
Con sanguigna veste vuol andare
Per le vie del cielo pers’a sognare
Un nuovo mondo non così mendace.
Dell’Ucraina eco d’armi a noi giunge
Nel cuore stesso della Ninfa negletta
Triste presagio in fosca nube serra.
Tace ogni canto sull’ignuda Terra
Dall’Olimpo Giove folgori saetta
Sull’infelice Europa ch’or via fugge.
©Franca Colozzo

Evadi!

A cosa serve ancora la Poesia
Un bug antico dell’animo che sogna
Resurrezione di colpa o di vergogna.
Che ne rimane, se non la malattia?
Quand’è che fu che te n’andasti via,
Che la Bellezza mutasti in una fogna
Di schermi d’oro, gettando la carogna
Nel grande vuoto che tutto quanto oblia.
Eppure come un virus mi pervadi
E mi degradi con quei felici pochi
Dall’algoritmo d’odierna vita esclusi.
Così vedendo – sebbene ad occhi chiusi –
La mia prigione bruciar in spenti fuochi,
Mia malattia, Poesia, mi urli: evadi!

Fantasie

Vorremmo un corpo, un’ombra che c’insegua,
provar l’abbraccio, il tocco, la carezza,
avere carne viva, aver bellezza
d’affetti, guerreggiar e far poi tregua;
vorremmo esser baciate dalla brezza,
notar che l’alba viene e si dilegua
la notte, ma il cuscino non s’adegua
ancora al capo con naturalezza.
C’invidia il mondo, la sua sofferenza;
ma noi, noi non vedremo mai il sole
dorato sorger nuovo d’esistenza,
ferirsi le pupille ed abbronzare
la pelle; non vivremo che in parole
vuote e senz’ombra, solo da sognare.
Noi siamo sogni infranti, il triste scarto,
neonati morti appena dopo il parto.

Farfalla dei mondi nuovi

Saranno questi i Mondi Nuovi, schermi
che accerchiano ogni visione libera,
suoni come veleni di vipera,
noi che nella carne tremiamo fermi?
Mi guardo di continuo in questo specchio
che inabissa realtà in mille forme,
né m’accorgo d’inseguire altre orme,
né di chi riversa odio nel mio orecchio.
Son fiorite primavere gelide,
oggettivi inganni, e inverni squali
sotto assedio dell’algoritmo androide.
Se ci esigono ai vermi sempre uguali,
libera io di chiudermi a crisalide
per rimedio alle inerzie siderali.

Felino abbraccio

I tuoi occhi raccontavano mille storie
Giorni passati a cercare un intesa
Sull’esile corpo i segni delle tue memorie
Sguardo felino di una vita che pesa
Sei arrivata in un anniversario luttuoso
Uno di quei giorni che nessuno vuole vivere
Ricordo paterno tumultuoso
Uno di quei giorni che molti devono assolvere
All’ennesimo tentativo di contatto
D’improvviso nel nuovo scandire delle ore
Ti mossi dal tuo nascosto anfratto
Uno scatto d’istinto mi fece tremare il cuore
Un abbraccio, debordante l’impatto
Da allora il bianco e nero è diventato colore

Fides

Le volte ch’esce cielo compare
il passo delle anime in viaggio
e il pensiero buio della paura,
nostra sorella depressione, cede
alla serena liquidità del giorno,
al battito d’un aeroplano di carta.
Trovare silenzi e carezze di nubi,
per non guardare il fondo del pozzo,
uscire allo scoperto tendendo
le mani tenere del bimbo
che fosti, offrire alle guerre
un drappo di gioia per avvolgere
il lupo che si aggira senza pace,
sempre la bestia che impedisce il colle.

Figlia

Insistono a cercare somiglianze
a volte le intravedo in un sorriso non nego la lusinga di Narciso
mi auguro per lei proprie sembianze
Metà di me, meta di meraviglie estrai ossa dalla terra scura malleolo delle mie caviglie
più lo sfrego, più me ne prendo cura
Non so perché si metta al mondo un altro vita imposta, scagliata ad occhi chiusi convinti di aver preso l’orizzonte
Cancello apposta queste vecchie impronte ridipingo unicorni delusi
ma tu mi segui e io non sono scaltro

Figlia 2

C’era una figlia di questo paesino,
duemila abitanti o poco di più,
giocava tra ruderi di travertino
e fronde ammirate cogli occhi all’insù.
Amava ogni glicine, giallo ed azzurro,
dei fiori raccolti pei campi selvaggi;
il sorriso di miele e le mani di burro
la rendevano fata di dolci miraggi.
Com’è che nessuno s’accorse del male
che un giorno lo sguardo le aveva velato?
Quasi ansimava per le strade e le scale:
stessi luoghi in cui, prima, aveva solo cantato.
Una sera dormiente vicino a un boccale
la trovò il suo babau dal cognome imbrattato.
Ma perì molto prima quel cuore di scrigno
nei sospiri del mostro, le sue mani, il suo ghigno.

Fiume di sassi

Scogli spandono echi di onde
Gabbiani solfeggiano in aura marina
Sequenza di tamerici rasentano viale.
Sopisce Silenzio:
In borgo screziato splende granito
Tersi accordi rifulgano
Pelago solcato da poggi.

Frustrazione

Proprio l’altra mattina mi son detto: chissà se è possibile raccontare
una storia intrigante in un sonetto? Una storia che faccia immaginare
un orizzonte più grande del tetto
e profonda, profonda come il mare che a ogni lettura meriti il rispetto e ci spinga a rileggere e sognare.
Son certo che esistano le parole
che creano il mondo che ho nella testa: le cerco, le frugo, scrivo e rileggo.
Di sillabe forgio salti e capriole
ma in un botto la fantasia si arresta. I versi che vorrei, non li posseggo.

Fuochi dal cielo

Fulgidi corpi viaggianti nell’aria
seducono fantasie di bimbi
sopra tappeti d’aerei lembi
e luci ora rotanti con furia.

Ecco oggi il tremore di sempre
quando il cielo di sera s’oscura
piovono ordigni di nuova paura
e la casa sbarrata non si apre.

La guerra è selva di sonorità
pensate per musiche prepotenti
rovine e fantasmi della città.

Lenti i respiri sono portenti
di gente in attesa di novità
vera allerta d’ animi attenti.

Fuori dalla selva

Suona sonetto e canta della vita,
supera i monti e guarda oltre la nebbia;
incontra cuori arditi e non superbia,
ispira i passi di una danza avita.
Della ribeca il lamentevol suono
accompagni lo sciabordio dei versi
quando cozzano, giorni ormai dispersi,
nel perpetuo ritorno all’abbandono.
Infuria guerra fuori e dentro i cuori,
l’uomo è per l’uomo sempre orrida belva:
non ha imparato nulla dalla Storia.
Suona sonetto e insegna ai nostri cuori
come trovare l’uscita dalla selva,
ché fratellanza è l’unica vittoria.

Gabbiani

A volte ci arrendiamo, quando ci pesano
gli affanni della vita, e come quei gabbiani che lasciano il mare
e seguono i fiumi,
sorvolando le gerbide terre nelle valli,
per poi planare
dietro i trattori in aratura,
o razzolare
nella spazzatura,
anche noi, a volte,
lasciamo il grande mare,
ci rifugiamo lungi dal litorale, l’anima ferita,
per sfuggire ai marosi
della vita.

Gli italiani. Chi?

Parafrasando il vecchio motto yankee,
e pluribus hominibus gens una,
l’italica, che spesso si raduna
alle foci del Po, beceri branchi,
elmi cornuti, drappi celti, franchi
e làbari con la rosa camuna,
si gloria per un quid che ci accomuna
ormai disperso in vecchi geni stanchi.
Io dico che non c’è d’andare fieri
d’esser figli di antichi razziatori
Goti, Norreni, Àvari o Burgundi
assetati di sole e di forzieri.
Non ho patria, confini, territori:
sono italiano, ma anche civis mundi.

Guatasti il guado incerto al primo passo

Guatasti il guado incerto al primo passo,
lontana era la riva e il rischio grande.
Temendo di affogarti in quelle lande
finì che ti bagnasti solo il casso.
Ti dissi allor: “È colpa che sei basso
Se ti ammolli i calcagni e le mutande.
Gesù vi camminò senza domande,
Mosè si aprì le acque fino al sasso.
Nella goccia la pulce teme il mare,
ma la procella eccita il gabbiano.
Tra sponda e sponda non si può sostare.
Pensaci bene, o mio compaesano,
che per paura di dover nuotare
resti all’asciutto e campi dentro al guano!

Guida e fiducia

ritrovato sguarnito senza strumento alcuno,
se non la sola bussola della propria attitudine,
chiamato al corso d’opera, che impone il suo disordine
da fonte sconosciuta; diventato nessuno,
svuotando la coscienza da qualsia moltitudine
di sé stesso, lasciando che si affolli in nuovo ordine;
-apolide che cifra tastando l’impalpabile,
sbrogliando e ingarbugliando per decodificarlo,
fermo, incessantemente, testando l’improbabile,
auscultando ogni battito e poi immedesimarlo-;
sventato l’evidente, nel travaglio che intuisce
quando il pensiero eclissa, compiendolo, vacante,
si ritma al tempo giusto nella pausa che fluisce,
in chiave di un sorriso nel lampo di un istante.

I libri fluiscono e rifluiscono

I libri fluiscono e rifluiscono,
ci mostrano la via, la vita intera
luce e ombra dell’amore che s’invera,
dell’amore che non muore, colpiscono
l’orrore della Storia, custodiscono
la memoria di ogni cosa non vera,
l’arcano di ogni nuova primavera,
sono il sale della terra, appiattiscono
le montagne più alte, sono l’onda
che si innalza luminosa, il riparo
in bufera, il legno che non affonda,
un viaggio cosmico, stellare, il faro
oscuro che ci guida all’altra sponda.
I libri – lo sai – sono anche quel faro.

I peccatucci capitali

Tra li peggio mal, che stàn tra sti mortali,
senza capir che ignun li porta in conto,
son tutti li peccati capitali,
e lo far, che li sementa come piume al vento.

Ira, Accidia, Lussuria e Gola,
Superbia, Invidia e Avarizia,
pur se diversi par, so’ nà cosa sola,
dell’umano, son tutta l’immondizia.

Ben sarebbe ch’a giusto scopo, con umiltà si pensi,
or ch’ a fronte abbiam lo brutto sunto,
a quel che di noi, sta cheto tra le righe di sti versi.

L’aire assieme di coscienza e mente,
e lo l’verbar più certo, sarebbe cosa pura,
per far l’omo ritornar, quello che si sente.

I poeti rimbecilliti

Pingui e rosei come porcellini piangono su meriggi e antichi amori sfigati come sono, poverini
bloccati dagli asfittici torpori.
Se da giovani già stavano male invecchiati fan proprio morire: l’impiego alla Gazzetta e il mattinale, non son certo lì a poltrire!
Alla domenica fan la passeggiata sotto frondose cime e l’elzeviro
per terminar un’altra triste giornata.
Fiere sdentate presto incanutite s’adagian poi su soffici divani dando riposo alle ossa intorpidite.

I ricordi

Sono i ricordi la ragione
di tanto ostinato sentire
che le altre istanze sembrano svanire
nel tempo dell’ultima stagione.
I ricordi affiorano improvvisi,
sono i capricci della mente.
Generano il desiderio struggente
di rivivere un attimo, un giorno, il niente.
Con i ricordi ritorna il tormento
del dolore scordato,
la memoria costringe al pianto
che asciutto muta in lamento.
Come una cartolina riemersa con stupore
dalle pagine di un libro sospeso,
i ricordi risvegliano la passione
nei letti non frequentati dall’amore.

i titani

tenere il mondo istoriato di santi
in salvo con due mani larghe e salde
le lastre e falde del globo tiranti
per non cadere nelle gole calde

della sopraffazione come prede
fra la gente che in ressa si fa avanti
a compromessi con la malafede
e a testa bassa accetta tutti quanti

gli stenti, da un filo sporco di pece
pendente, funicolo umbilicale
(nostra radice celeste del male)

e non pensa a una fratellanza invece.
Il mondo con su l’uomo va nel vuoto
se non ne tiriamo al contrario il moto.

*

tenendo il mondo con due mani, forse
riuscirai a sentire che ti appartiene
ché le lotte non sono cantilene
di un ceto annoiato che non insorse

ma legittimo morso alle risorse
per le fauci di pescecani e iene
e furono accolte da chi trascorse
anni in prigione per un mutuo bene.

e quando il capitale mostrerà
il carico di rottura, su marte
ci sarà vita, ma non viva arte

orti senza semenza e ammazzatoi.
sulla terra la festa si farà –
con un grande botto – senza di noi

moderni titani
dalle infìde mani

Il canto degli uccelli

Il canto degli uccelli di mattina,
da una finestra aperta o in mezzo a un prato,
lo sento appena, è un suono delicato,
che piano, lentamente, s’avvicina.
Quel canto con la terra il cielo abbina
come qualcosa che è solo accennato:
un filo d’erba, un bimbo appena nato,
un fiore che risplende per la brina.
E resto muto in questo breve incanto,
per non sciupare con la voce il coro
degli uccellini che festeggian l’alba.
A volte sembra luce, a volte è un pianto,
quel canto melodioso nella scialba
mattina che si tinge tutta d’oro.

Il ciuco in Toscana

Si dica ciuco od asino o somaro,
sempre solo sul libro di lettura,
che dalle parti nostre di pianura,
anche nei campi s’affacciava raro.
In mezzo ai bei castagni dell’Amiata,
uno ce n’era, a Case Rosse antiche,
con Siro, suo compagno di fatiche,
nella vigna passava la giornata.
Come un trofeo, in posa sopra il dorso,
con un ombrello grande da pastore,
alla campagna intorno ad Arcidosso.
Dall’unica osteria di quel paese,
dal solito avventore giocatore,
qualche bestemmia bona, a più riprese.

Il contatto

Piango le lacrime sue mai viste piante,
trattenute a ovattare l’ingrato dolore.
Nascoste alla luce, chè un diverso colore
del volto temeva non fosse garante
del tanto già dato, servito e protetto.
L’attento ottimismo di lei verso i temi
del giorno, pur nel garbuglio degli schemi,
fu forza che le configurò l’aspetto.
Piango e non ci sarà speranza destante
ragione che eroda l’altezza del fatto.
Anche agendo nella formula più aitante
a vanto di dottrine e qualche baratto
resterà ai salti della volpe di Esopo.
Io di chi ho amato vivo al sole il contatto.

Il cuore che rimbalza forte in gola

Il cuore che rimbalza forte in gola, l’affanno nel respiro tremolante, l’arsura che diviene più incalzante, il suono del suo passo che consola;
chi ama non cammina perché vola, diviene anch’egli stella tra le tante, l’amato si rinnova nell’amante rubando oltre al suo cuore la parola.
Rumori divenuti melodia appaiono strumenti di una banda, così che vige solo l’armonia
e non c’è più nessuno che comanda; ovunque sia sovrana l’alchimia
il bacio è la risposta alla domanda

Il dilettante

Sbuffi forte alla pedalata tosta
ciclista acerbo d’attesa segreta
la fronte increspi alla cadenza imposta da scalare è dura l’ignota meta.
L’allenatore implori a nuova sosta per darti il gel che le gambe allïeta e una sberla dà alla disfida deposta mutando il tuo corpo da iuta in seta.
La vita esponi al rimedio dannoso senza capire che il senno ti aggioga dandoti dopo un futuro feccioso;
sciocco esordiente, allontana la foga mettendo in te il nutrimento glorioso che a rifuggir porta l’uso di droga.

Il divieto di sosta per la pace

Non sentite stritolare le note,
sgretolarsi gli interstizi di canne
a baluardo delle furie? le nanne
ninne agli inetti e le fruste alle gote
delle matrigne gravide? ‐‐carezze
con le spine di rose male andate‐‐
bestie prolifiche e male avvezze,
carne al macello, tutte ben premiate.
Ma c’è un esercito da potenziare:
è quello dei neuroni nel cervello,
per arginare chi da tempo tace.
Che sia vigile e faccia rispettare,
senza corazza e senza altro flagello,
il divieto di sosta per la pace.

Il dubbio di Icaro

L’aereo oltraggia l’azzurro terso
un uomo sbadato volge la mente,
lo osserva come un crocifisso. Perso
tra le sue paturnie subitamente
s’immagina rapace: l’ascensione,
aggrappare la coda metallica
senza zavorre né gravitazione
un arcangelo in posa estatica.
Sull’arenile precipita ancora
incarcerata da soma animale
l’anima lieve che il fato divora.
Mesto risveglio: un gabbiano risale
Icaro stolto, non è la tua ora!
Giù sulla terra la vita è banale.

Il prato degli asfodeli

Nei prati distanti dal sole
si dice non nascano i fiori,
ma sono soltanto parole
che spreca chi vede i colori.
Un fiore al crepuscolo sboccia,
immobile all’aria ma stanco:
di luce ne basta una goccia
al petalo piccolo e bianco.
Non sente passare i momenti,
rapisce ogni cosa con poco,
non scoppia in risate o lamenti
quel fiore un po’ debole e fioco.
Non vede più sole né cielo
chi assaggia di quell’asfodelo.

il ramoscello secco di mentastro

il ramoscello secco di mentastro scordato in vaso vuoto fuori mano dall’estate che già scorreva piano fino all’autunno avvolto in un nastro
assume meccanismi a fiori rostro che non ebbe mai nel bosco isolano dei lecci del tasso delle erbe invano cercate e ridotte a fili d’inchiostro
s’attacca casualmente estremo lembo dell’abito pesante e ben nutrito nell’apatia estranea all’altro grembo
come ragno risale e come invito a evitare futuri di sghembo
e a scongiurare ansie d’altro mito

Il richiamo degli occhi

Richiamato dall’arcate sopracciglia
Castane colorate sulle belle ciglia
Dai rosei zigomi, naso perfetto
Labbra morbide prive di rossetto.
Mi han fatto ricordare giornate
Ansiose, già remote spensierate.
Remoto passato fatto di caste
rare escursioni, partite a carte
Tanti scoponi dissipati con arte.
Tavole imbandite, io in disparte,
Riunite dicevano: i miei perfetti
Sono i manicaretti senza difetti.
Mamma ha tramandato il segreto
Solo a me ecco perché è perfetto.

Il sacrificio del “po”

Attenzione, usar sempre cautela
non irretir, per litote parlare
bandir l’eccesso e più non disturbare, tono basso, mite è da far querela.
Ma ragioniam: il compito è sbagliato è regola che al po non va l’accento. Severa son, di questo non mi pento sicura son che poco tu hai studiato.
A fior di labbra accoglie reprimenda con grande stizza il giovane studente. Il bel parlar non voglio si abbandoni,
io, ferma, non do luogo a strafalcioni. Ecco postridie alfin madre dolente con alti lai risolve la faccenda.

Il sonetto di Pinocchio

Ricordi se era una favola o solo un mesto frammento?
Narravi di tredici mesi, per non dimenticare
mentre già fu reale quell’alba di un tradimento
che bruciava la fede nel cuore e quella voglia di restare.
Quale fuoco può consolare una volpe in tormento
e cosa impedisce adesso ai gatti di volare?
Non so spiegare – sussurrò – e con non poco spavento,
ma qui non voglio lasciare nemmeno un ciglio sbocciare.
Oh piccolo uomo, che mai eri di legno o nato da uno scarabocchio,
ancor piegato sotto quell’orologio indegno; coi sogni chini
perfino l’amore si riconobbe dentro il tuo stesso occhio.
Mio cuore è una piastra di marmo sotto i tuoi giovani pini
mi pare ci sia scritto: né tu eri Pinocchio
né io la ragazza dai capelli turchini.

Il suo biondo ciuffo

Il suo biondo ciuffo, memore di fasti,
non twitta più con furia mattutina,
ma ancora aleggian gli antichi contrasti,
e l’ombra dei suoi dazi si trascina.

“America First!” fu il grido di battaglia,
alzando barriere al commercio vario,
la Cina tossì, con fiera gramaglia,
e il portafoglio globale fu precario.

“Faremo affari d’acciaio e d’alluminio!”
Tuonava il verbo, con piglio deciso,
ma il costo salì, fu un amaro dominio.

E oggi, mentre il mondo è più diviso,
L’eco di quei dazi, un flebile monomio,
Ricorda un tempo, un sogno monco e riso.

Il Vampiro

Profonda a me giungesti senza venia
e calda linfa teco risucchiasti,
come il vampiro fa nella sua nenia;
t’accolsi, cieco, e morte mi donasti.
Son preda, adesso, solo e taciturno,
di infauste membra e sguardi tetri e spenti;
son preda di chi fugge dal dïurno,
e all’ombra mia strisciando van serpenti.
Il bacio oscuro sibila e il respiro
inerme l’alma al ciel mi fa spirar;
canini aguzzi e il sangue in un sospiro
io sento nelle vene tramutar
il corpo morto in quello d’un vampiro:
è freddo questo bacio, ed il sognar.

Impareremo la speranza

Dai ragni impareremo la speranza,
la costruiremo senza sosta intorno, perché si annidi dentro ogni mancanza, a illuminare il tempo disadorno.
E tesseremo parole d’organza
dal silenzio, che spengano lo scorno delle armi, le urla crasse, l’arroganza bendata di una via senza ritorno.
La trama infausta, nera degli orrori per le sue falsità si sfalderà,
svelando il drappo della pace al fondo.
Ne indosseremo i fulgidi colori,
e l’ago della storia indicherà l’amore infine, cardine del mondo.

Implosione

Mossa funesta dal grande boato
ride il silenzio per gioco truccato
da chimiche note male assortite
volute dal genio colto d’artrite
dal ventre terrestre scopre il bosone
molecola scura d’imitazione
l’uomo studioso non sente quel dio
vede nel niente sparire il suo io
chiude l’amore nel finto sapere
senza empatia presume d’avere
e clona l’istinto nell’illusione
che grazia divina possa tornare
tanto per dire e poter confermare
la bella notizia in televisione.

In aria d’oltre

A dire quanto questo nodo è affine
luogo degli occhi liquidi di cera
dal solco dell’anello si fa sera
col fiato lungo d’anima alla fine.
E si drappeggia verbo alle terzine
asole al sole della gioia vera
nel lume della mente è primavera
d’unico viaggio sfibro ballerine.
Dove saresti dimmi aperta coltre?
Fino a domani riparando dentro
lingua, lima indelebile di voce
dei sogni dove sei sorge la foce
intima del mediastino e più al centro
materia senza tocco in aria d’oltre.

In morte della mia cagnolina

Come un’intensa scintilla di luce, scoccata giù dalla mano divina,
che negli anfratti più bui s’introduce ed un incendio grandioso combina,
così anche tu, penetrando nel truce groppo del cuore, che l’ansia aguzzina perseguitava e faceva più atroce, illuminasti il mio mondo in rovina:
a me donasti la pace e il riposo,
per te pochissimo in cambio chiedesti. Ora trovare conforto è ben dura,
ora che il vuoto è tanto più odioso, ora che assente sei in tutti i miei gesti, piccolissima grande creatura.

In vino veritas

Irato, gridai quella sera a Maria ma ella nascosto il tenue rossore pose sul tavolo come all’osteria un timido vino d’antico odore.
Un attimo e il fiasco s’empì d’aria
ma la stanza d’un ben lieto tepore. Pentito, sussurrai alla donna mia:
“Da quand’è che non si fa all’amore?”
Lei mi chiese ridendo: “Che ti piglia?” Non risposi, mi alzai barcollando
poi le chiusi le labbra, con un dito.
E ripresa quella vecchia bottiglia m’allontanai con Maria cantando: “È il vino che me l’ha suggerito!”

Inesorabil tempo

Già scende lieve l’ombra sulla sera, e il giorno cede al sonno suo svanito, il sol che ardea si spegne impallidito, nell’onda che l’accoglie e lo dispera.
Si sfoglia il tempo, e un’eco passeggera nel vento si dissolve, arso vagito, mentre nel vetro resta scolpito
l’istante che svanisce e si dispera.
Eppure un soffio accende la memoria,
ché il tempo alterna il pianto alla speranza, e il fiore stanco ancor diffonde odore.
Oltre la riva, dove il mar s’emporia, l’orma non cede al vento né alla danza, e il sol che muore torna a dar tepore.

Interminabile è il tempo

Interminabile è il tempo,
e infrangersi dolcemente
tra il sole dietro i monti
e lo scoglio solingo.
Vorrei udire il silenzio
delle strade deserte
e delle notti oscure,
tra i sogni che svaniscono
nella quiete di un giorno
di festa nel buio della tempesta.
Felice è il grido di un’anima
vagabonda tra spiagge assolate.
Tormentarsi per il temporale,
che mi trascina nell’oscurità
del mio isolato cammino.
L’inquietudine che mi balena
negli occhi, mi avvolge la vita
in un viaggio fuggitivo
della mente verso le ali
del vento di un grido sospeso
tra la felicità e l’angoscia
di un petalo reclinato.

Io sono

Io sono il pieno, il vuoto, l’invisibile,
il tempo che si piega al mio pensiero, un caos lucido, un fuoco irraggiungibile, un Dio che ride, fragile e sincero.
Contraddizione è l’unica mia legge,
tra l’Essere che sono e quel che sfuma.
Ogni certezza è già una trappola, una scheggia, e vivo in bilico, in eterno, tra la bruma.
Io non ho forma, eppure mi rivelo,
non ho destino, eppure già lo sento.
Parlo col mondo e spesso parlo al cielo,
ma è dentro me che nasce il mio tormento.
E se domani sarò mille o nessuno, oggi mi basta: io sono. E sono uno.

Ir piumetto di babbo

So’ ita a rufola’ ‘n soffitta
fra vecchie ‘ose ‘he un servan più
ragnoli, porvere, io zitta zitta…
Dalla gola un groppo viene su
Drento a ‘n bussolotto di ‘artone,
n’vortato ‘on tre fogli di giornale,
Ir nome appicciato su ‘n cantone
‘Ver c’ho trovato m’ha fatto sta’ male.
‘R Piumetto di babbo Bersagliere!
Tutto ‘r su’ orgoglio, la su’ simpatia…
En sempre belle ‘veste penne nere,
Lui da tant’anni sen’e ito via…
Babbo ‘n divisa da Bersagliere,
fu ‘r primo Amore della vita mia!

L’addio di un fiore

Nacqui nella crepa di un muro stanco.
Misi radici nel cemento infranto
e a lui donai il mio animo bianco.
Regalai note al vento e al suo canto.
Fiero e senza nessun compagno affianco,
fui bocciolo e promessa d’incanto.
Divina luce mi rise financo
e il cielo mi ossequiò col suo pianto.
Or che il mio tempo qui è trascorso
offro alla Terra quanto mi ha donato:
la forza della linfa nelle vene.
E a te, uomo, della mela rendo il morso
perché ti ricordi che nel creato
è, sì, la vita che non ti appartiene.

L’aurea tana

Eran capelli corvini e corti
che in cento fili mossi teneva
calati sul viso, dov’ardevano
quei begli occhi – così accorti –
dall’iride bruna, le cui sorti
non sa né saprà come lei soleva
curar. Né lui sa se avevano
– dolente meraviglia – tutt’i torti
di non guardarlo, mentre sì mortale
il suo sguardo cadeva sul lume
che l’avvolgeva – di dea umana –
con spirito sublime e abissale.
Ciò che ‘nvero vide non fu l’acume
– non desìo -, dolce l’aurea tana.

L’eco di Umberto

A dieci anni dalla morte vinto
di Eco si parla ancora, si sa,
e con spirito, quasi d’istinto,
si vorrebbe chiamarlo, sua santità!
Ma proprio lui, da buon ateo convinto,
caustico a quella possibilità,
e con l’alloro della testa cinto,
avrebbe gridato: “Ma per carità!”.
Se d’immortalità si può parlare,
è grazie ai libri che ha lasciato
un mondo di storie da raccontare,
fin nel medioevo ci ha portato
e con la filosofia navigare
senza essere mai dimenticato.

L’esilio di Paul

Diserto dalla strada con coraggio, fuggendo dal linciaggio.
di questa società giocata a sorte. Emeglio che io lasci questo ormeggio, -Per diventar selvaggio –
a quel che resta cedo al mia parte.
On, vecchio capitano, sono ni viaggio,
perduto nel paesaggio,
sconfesso quella che non era arte.
Così imprudente vado all’arrembaggio,
seguendo quel miraggio.
Scappare… che sia vita… che sia morte!
L’arrivo negli albori equatoriali, ravviva nel profondo li mio pallore.
Lontano dal grigiore,
respiro ardore, senza nostalgia.
Son vivo! Tra gli istinti primordiali,
riluce all’orizzonte nel fulgore, del rosso sopra al mare. baluginante specchio. L’utopia.

L’indifferenza

Subiamo senza alcuna indignazione
i pagliacci crudeli imbonitori
lasciandoci rubare menti e cuori
quasi fosse opera di finzione.
Il nostro tempo quale direzione
quale valore se restiamo fuori
quale senso gli atroci iniqui dolori
avranno senza un moto di passione?
L’indifferenza è la morte più amara.
Guardando abissi da quieti giacigli
muti ossequiamo la mano che spara.
Vivere è un mestiere in cui si impara
ad amare da vivi con occhi vermigli,
un fiore non si apre su una bara.

L’inganno

Disteso sulla riva del mare,
le onde ilmio corpo lambiscono,
lo fanno libgramente cullare,
un po’ i miei affanni leniscono.
Come un legno galleggiante,
supino mi lascio ondeggiare,
tra la spuma biancheggiante
le pene finiscono ditormentare
Una brezza blanda sui flutti spira,
lieto godo un attimo di serenità,
lo sguardo lo sciabordio ammira.
Ma è un inganno della natura
che subito rivela la sua fugacità,
come cosa bella, passa e non dura

L’innamorato

Vedo una luce sperduta nei campi
che or qua or là muovendosi s’avanza null’altro l’accompagna che dei lampi
e un cane che abbaia fioco in lontananza.
E’ un giovane che lascia la casetta
dell’amata, là presso li grande pino,
e torna alla sua ove la mamma aspetta
sola filando davanti al camino.
Forse egli pensa nella notte oscura a lei,all’affetto che sente nel cuore, al sacro giorno,alla prole futura;
pensa a un calmo soggiorno,a un lungo amore: cammina e pensa,senza aver paura,
con la lanterna dal poco chiarore.

l’inventata leggenda delle rane

nel doppio lume dei fari biancastri si agita un universo inesplorato vite minime libere da incastri isterizzate dal buio spezzato
le cime di alti steli senza voce
come asettici tagli di fontana
incidono l’abbagliare feroce
che a morte incanta l’occhio della rana
l’esistenza conosceva una luna se raddoppia ribolle l’atmosfera alla vita di falce ne basta una
viene ora la leggenda a farsi vera al brusco raddoppiarsi della luna la rana si dissolve in acqua e sera

L’invenzione del grammofono

Per ascoltare un’opera, un concerto,
un tempo, per gustarne l’armonia,
il modo sol che ci veniva offerto
è ch’un suonasse quella melodia,

ma adesso che il grammofono han scoperto,
Madonna benedetta, che magia!
l’Aida, la Traviata oppur l’Oberto
in casa sua inscenar può chicchessia.

Volete voi Furtwängler, Toscanini,
Caruso, Gigli od Adelina Patti,
La Capsir nel Barbiere di Rossini?

È sufficiente porne sopra i piatti
un disco, e quegli interpreti divini
rivivon, pur da tempo se disfatti.

L’uguaglianza

Di fronte al mare, al chiar di luna,
un bimbo puntò il dito davanti
e chiese-al babbo:
Bimbo “ Che c’è più avanti?”;
Babbo “Acqua, pesci-e navi in altalena.

Il mare è una vasca piena piena,
grande, più di tutti i continenti”.

Bimbo “Si , ma se si va-ancora più distanti ?”.
Babbo “Acqua, barche… , sempre la stessa scena”.

Bimbo “Bene, ma finirà l’acqua prima-o poi !”;
Babbo “ Allor, torna il mondo con le sue genti,
uguali-a te e gli amici tuoi,

solo per il color son differenti;
con un bimbo di là rivolto a noi
che chiede-al babbo:
“ Che c’è più avanti ?”.

L’abbraccio inaspettato dell’amore

L’abbraccio inaspettato dell’amore
la travolgente danza che ci aspetta
farà di noi un’anima perfetta
unico vero antidoto al dolore.
Tu scaglierai carezze nel mio cuore
fermando il tempo e la sua eterna fretta
il divenire che nessuno aspetta
e lascerai cadere ogni rancore.
Furono solo tiepidi sospiri
a trasformare il pianto in dolce unguento
per le ferite nate dal silenzio.
Tu sola sai placare i miei deliri
quando l’assenza tua si fa tormento
l’altro rimedio ha un solo nome: assenzio.

L’Addio di Narciso

Non si dica ch’io cada innamorato,
né che rincorra gemello nello specchio.
Il mio destino è inciso in questo vecchio
sguardo che fugge il mondo sfigurato.
Questa sorgente gli occhi m’ha svegliato,
e in me s’è fatto amaro il mio silenzio.
Ho visto il falso accordo del riflesso,
l’immago mia dal mondo dissonato.
Forse era il viso, o il crine innaturale,
che male al cielo spento si accostava,
o forse io stesso mi negavo infine
un posto in questa danza universale.
Nel cuore il peso, e l’ombra già mi chiama
– l’acqua mi accoglie: è giunta la mia fine.

L’anima dell’acqua

Non ha memoria, eppur tutto conserva,
l’acqua che scorre e tace sotto il cielo;
specchio del tempo, veste senza velo
ciò che si perde e ciò che si ritrova.
Non chiede forma: in ogni forma trova
la via che scende e torna al suo livello.
Non teme il vuoto, il passo più ribelle:
accoglie tutto e mai nulla rimuova.
È come noi, che andiamo senza sosta
tra scelte, sogni, limiti e paure,
cercando un senso dove il senso è fuga.
Ma lei ci insegna — muta e mai corrotta —
che la saggezza è nelle curve pure
di chi si piega senza esser distrutta

L’evento mutato

Tinteggia nei mattini piovorni,
pendente altero, oblitera sfera
la grazia che provvida ogn’ora
battito strabuzza vaghi soggiorni,
seducente danno di soggezione:
tenuità diafana dell’io la sera
di esili meandri parole ancora
oscure, traviarsi nella prigione,
allo stesso modo il mio vaneggiare
come di farfalla che più si avviva,
e nel fuoco lampeggia – l’ Amore,
malgrado il fuoco, è l’evento mutato
che irretisce la furia creativa
da cui nolente questa rima sbanda.

L’inferno di Gemma

“Capelli neri e occhi azzurro mare”,
da tempo, Gemma non è più corriva
con l’uomo, che la libertà le priva:
un Cerbero davvero da legare!
Ma Gemma è coraggiosa e vuol sperare
che quel figuro vada alla deriva
e dall’inferno possa uscire viva,
ricominciar di nuovo… a respirare!
Epiteti e invettive assai pungenti
subisce Gemma dal tiranno inviso
a lei, da molto tempo assai frustrata.
Il Cerbero, che di maligno, è intriso
per Gemma nutre biechi sentimenti,
lei ora ha voglia d’esser … solo amata!
Aspetta un’alitata
di aria fresca che le dia vigore
dal “nuovo lui” e … ritrovar l’ardore!

L’ombra del solstizio

Nata di giugno, nata tra le ondate di sole, nella luce della vita
intrisa nella notte, indefinita,
nata nel sogno di una mezza estate,
velo i miei lati oscuri di risate limpide al tocco delle ceree dita, taccio i miei dubbi lungo la salita all’ipnotico canto delle fate.
Antifrasi dell’essere, nel mio
nome il senso dei giorni, del destino si intride confondendosi in un punto,
si riapre e si richiude sul consunto correre degli istanti sul cammino fino all’estremo abisso dell’oblio.

La borsa delle donne

Tocca facci un pochino pulizia
quando arriva a pesa’ intorno al quintale: è un fatto fisiologico e vitale.
Sicché ieri ho buttato tutto via.
C’era il mondo lì dentro: un cannocchiale, sette borracce, un’enciclopedia…
via tutto! ‘Un pare più manco la mia.
Ciò lasciato soltanto l’essenziale,
lo stretto indispensabile davvero… tanto che la Cittré, sul seggiolino, l’ha presa come fosse un passeggero:
hai voglia a urla’: “È una borsa!” o nini, dura!
Ha attaccato a sona’ quel cicalino
fintanto che ‘un gli ho messo la cintura. SILVIA GOLINI

La bugia

Secondo il mio pensiero, la bugia
se non è detta per fare del male –
se è tra curiosità e fantasia
un po’ come risposta originale,
porta perfino un poca d’allegria.
A patto però che non sia banale
che non risulti atto di scortesia
o perfino d’offesa personale…
Nei bambini è voce di innocenza
ma fra gli adulti sa di tradimento
e diventa rimorso di coscienza.
Tutte le bugie han la stessa sorte
nascono, ma fan poco movimento:
dice l’adagio: “Hanno gambe corte.

La casa dei nonni

La casa dei nonni ha chiuso gli occhi, cigolano imposte e pozzi,
dormono i ginocchi
di chi pregava l’alba più sincera
Un lume resta, fioco come i tocchi
che lasciava nonna sulla ringhiera. Scappa il profumo, e il tempo, e i giochi col gatto rosso e il vento di primavera
Ora ci passo e abbasso lo sguardo:
le ortiche fan la guardia ai giorni andati,
tra muri scrostati e un buon vecchio Dio in ritardo
Ma dentro sento i passi accennati,
e carezze vicino al mio occhio vispo, e un pane caldo tra le mani,
e i miei ricordi grati.

La controra (tra i vicoli del Borgo)

Tutto si tace. Il pomeriggio è stanco,
l’afrore stagionale un po’ malsano.
In ogni vico, tra sacro e profano,
stanno madonne sole a un muro bianco.
Un uomo passa quieto; mi sta a fianco
mentre la fame tende la sua mano.
Un altro sbava, corre e parla vano
e me ne vado, non mi volto. Manco.
Che sarà mai un folle come tanti?
– mi fingo in un sorriso melodie –
e poi coi soldi non si cambia il mondo.
Così si dice. Intanto tremo; e affondo
a corpo morto le certezze mie.
Ritorno all’uomo quieto, a nuovi canti:
̶ Che pensi di un buon Chianti?
C’è un posto qui vicino che a controra
apre per noi; ed è la mia dimora.

La pace a targhe alterne

Viva la pace! si grida al mattino, mentre di notte si forgiàn le spade,
e la verità, come un vecchio cammino, si perde in menzogne più sgangherate.
Se un tetto crolla, si grida al terrore, ma solo se i click portano affari,
ché certi morti han più gran valore, e altri si spengono senza ripari.
Così coi morti ben selezionati,
chi è degno o no di un pianto globale, lo scelgon lor, che son raffinati.
Siam pacifisti tutti a tempo vero,
a giorni pari, l’ira è virtuosa,
a giorni dispari, il sangue è sincero.

La Sposa

Volge il volto nel niveo velo avvolto
le ride rosa quella rosa rorida
la bocca amena, dolce e florida
dai lumi cari va l’amore sciolto
Spira la sposa nell’aria radiosa
va e avanza in cadenzata danza
mille faville di strass e d’organza
luce tra luci, s’inoltra gioiosa
Posa, lui l’aspetta con lenta fretta
l’unico sole del suolo la sola
sua amata donna e diletta
Posa la testa, a lui s’è stretta
or che s’avvera il sogno e s’invola
viva la vita, l’amore alla vetta

La vita è un cammino

La vita è un cammino,
Tra colline e pianure,
Tra un sorriso e un dolore,
Tra i sentieri fermi.

La vita è un pallone,
Che vola nel vento,
Dentro un cuore maritato,
Che batte con tanto ardore.

La vita è una capanna,
Piena d’amore e di speranze,
Tra risate e prati,
Che risuonano con il verso.

La vita è un filo,
Attorcigliato tra gli occhi,
Tra un abbraccio e un bacino,
Tra i giorni e le foglie.

La vita è un regalo,
Da chiamare sempre mio,
In ogni giorno che sorge,
Tra il sole e la sera.
“`

Lacrime di pioggia e Vecchiaia

Lacrime di pioggia
Ti ho riconosciuta
In una goccia di pioggia
Il vento agitava
Il tuo bastone di radica
le gocce saltellavano
sul tuo viso che io vedevo bello trasformarsi e riportarmi
la bruna di appena vent’anni
Al vento mi sentivo un ragazzo
Ti corteggiavo con voce suadente con spirito e sogni
ti parlavo di musica e d’amore
scevro dei disturbi dell’artrosi e dell’ernia
Cadeva la pioggia azzurri gli occhi tuoi dentro i miei neri
Tacendo abbiamo calpestato poche foglie silenziosi sotto la pioggia
abbiamo ripescato i nostri sogni
poi i nostri passi
in direzioni opposte segnavano l’addio per sempre
Nei nostri occhi lacrime di pioggia

Vecchiaia
Non dirmi cretino se osservo due fili di chioma
nevoso biancore abbracciate al cuscino a carezzare due occhi di miele
E’ lento in nostro respiro
e mentre amoreggiano sulla credenza due statuine riverenti
la sveglia ci sbeffeggia in silenzio.
Una voce insinuante che voglio con forza ignorare sembra volere fermare il mio cuore
sussurra che è passato tanto tempo
ed il grigiore assottiglia la speranza
mi impongo di essere stupido e negarla
voglio che sia un’eco che il rumore la sorda e la renda un sasso che cade per terra
taciuto dai rumori della vita
Non dirmi cretino se la notte rimiro una foto
fra il verde e il giallo di un prato
un volto, le chiome, i tuoi occhi,un sospiro fatato
tra l’erba che ondeggia in silenzio un bacio, una promessa, l’incanto
Dimmi pure cretino
ma non voglio svegliarmi
scoprendo un ramarro sul tronco
come fossile scordato dal tempo
imbalsamato da una pietra scoccata da na fionda di chi detta le stagioni nel mondo
Io questa notte ti volio eterna nel segreto della pace
e del silenzio che scioglie come riccioli d’oro i nostri anni

Le anime del purgatorio

Qui c’era la palude e qui la piena della pressa, del pezzo che mancava. Qui nessuno pregava,
nessuno riportava la sua pena.
Tu passavi ridendo, rimediando nel vestito fluttuante le vocali, le canzoni e i portali
della casa caduta respirando.
Adesso il muro è aperto, sanguinante. Nel ricordo il ragazzo si è perduto, s’è perduto l’amante.
Noi ripassiamo spenti il canto muto di quel padre sognante
il sogno di quel figlio mai vissuto.

Le domeniche d’inverno

Le domeniche d’inverno
hanno una luce irrequieta
piena di malinconica gaiezza.
Nelle domeniche d’inverno
mentre l’arpa della pioggia
crea melodia
si perde l’età
conservando l’innocenza
del bambino che ride
e a sera
fasci di luce
scappati dalle nuvole
baciano la terra
e sono frecce sottili
utili a consolare
prima che il buio
confonda ogni cosa.

Le regole del gioco

Ti illusi proprio tanto, caro Ulisse…
Era falsa la tela che filavo,
ma tu volesti credere a chi disse
che per i Proci mi sacrificavo.
L’astuzia ti guidò nella battaglia
dai maschi combattuta per l’onore.
Chi pensa che vincesti però sbaglia
quando ti misurasti con l’amore.
Fedele fu Penelope a se stessa
sapendo che il suo Ulisse la tradiva:
sposarsi ancora non le conveniva.
Il maschio è per natura menzognero
dettai così… le regole del gioco!
Entrare nel mio letto non fu poco….

Lenta armonia

Il mondo lento è in-coerente,
e difficile da far accettare
come di un faro inesistente
nella tempesta, in mezzo al mare.
Riflettendo il tempo sufficiente
si permette al cuore d’ascoltare
i sinceri consigli della mente
evitando di farsi ingannare.
Chi corre, sì, fugge via da sé stesso
come chi insegue il tempo che fu,
lontano dall’amore, dal successo.
Non si accorge che quella gioventù,
invece che di marmo è di gesso,
e non era libertà, ma schiavitù.

Lo stonfolo

Il politico… contestato
Lo stonfolo, che stava tonfolando,
s’accupisce nell’orba del fastello,
in un brucchio distorto, lambiccando,
rabbrutta sfiorando il piagnistello;
s’aggrugnisce, s’abbruma, s’arrovazza
lo splencico brachir di malefoglie,
sorteggia come orfello la linguazza
a povesar lo scurno chelocoglie.
Viettutto gran dileggio di melassa,
citrullame pomposo di straborchia,
che sfortoli di sbecco non ribassa…
ma frinfrelli a dirdo lo spernacchia
nel mentre che s’arcopia la matassa
al refrenir tombale di ridacchia.

Lo Stretto

E’ la tela di un fantastico pittore
E’ l’opera divina ed ancestrale
Di un essere assoluto e superiore
metafora del bene contro il male
Indefiniti i colori in questo mare
Richiamano visioni del passato
Epiche immagini che tolgono il fiato
E che conducono l’animo a sognare
Quando l’onda si solleva adirata
Sulla battigia sputa il suo dolore
Ed io a guardarla rimango affascinata
Vorrei perdermi dentro questo mare
Per lenire ogni mio dolore
Lasciarmi andare e dolcemente cullare…

Lorelei

Ai fedeli di Utopia
E canta Lorelei dall’alto scoglio
al pettinare i suoi capelli biondi
e regge un lieve gambo di trifoglio
tra le labbra di seta. Arcani mondi
evoca la sua voce. Nel rigoglio
delle sensuali forme i seni tondi
pulsano nel cantare. Il fiero orgoglio
dell’alta sua figura danna ai fondi
l’illuso barcaiolo che, al remare,
segue il ritmo del canto ed alza il volto
verso la roccia alta ad ammirare
quel brillare di biondo crine sciolto
nel riflesso di un sole al tramontare.
Cozzerà sugli scogli, e andrà dissolto.

Luce che resiste

Sei stato roccia, vento, fuoco e sale,
con mani ferme hai retto il mio cammino,
senza un lamento, senza alcun confino,
donavi amore come fosse il sole.
Ora il tuo passo incerto si fa tale,
la mente sfuma in un silenzio fino,
ma il tuo sorriso resta il mio destino:
luce che brilla, anche se più tenue e pale.
Non è sconfitta, questa tua quietanza,
ma nuova forma di profondi sensi:
non più la forza, ma la tua costanza.
E se vacilli, nei tuoi gesti densi
ritrovo il padre, l’eco della danza
che un giorno mi insegnasti tra i silenzi.

Lupo

Lupo che addenta
Lupo che sbrana
che nel mio ventre
vuole far tana
Lupo che fiuta assetato di latte
Che succhia. Morde
Nel buio combatte
Bestia grossa
Foresta scura
Ti strappo le zanne
Non ho paura
Cieca e sorda anima bruna
Ti scaldo le zampe
con soffio di luna

Maestro d’amore

Sin da quando ero solo una bambina
mi hai incoraggiata in questa via.
“Scrivi le tue poesie mia piccolina,
io le farò conoscere!”. E così sia.
Ricordo la penna, la mia manina
tu che sorridevi con simpatia,
le frasi riempivano la pagina
e una poesia era nata, per magia.
Nonno mio, eri un maestro di spessore,
un padre affettuoso, marito d’oro:
sempre ricorderò il tuo buon umore.
Mai hai messo la corona d’alloro:
il sapere viveva nel tuo cuore
e di tutto ciò ne farò tesoro.

Maggese

“Dedicata a chi ha visto le proprie vesti scavate da neri solchi d’un amor mendace,
e a chi, tosca, le gemme dell’anima son state velate, ancor in bocciolo.”

Svelate in trina colano giù stille,
abbozzano gracili labbra, bimbe;
nivea tela, coglie in grembo tombe
dell’afresco vortice di lucille.
(Vita-Morte)
Siderali sferzate come spille
effigiano intra l’argini, birbe,
una falce lucente tra l’erbe
d’un’anima lacera di stelle.
Dagli occhi caleidoscopio, silenti,
sboccia acquosa una rosa, vile angelo
dalle ceree ali di bui dipinti;
tingono audaci l’indaco gelo,
Maggese, nuova alba dai dolci venti.
Scivola vinto il tosco infame velo.
(Rinascita)

Magrebino

Luce blu, fredda sera di Milano bianco e rosso nell’aria risplende, senza patente ansia ci prende spinge veloce la moto la mano.
Lunga schiera di fari nelle strade, quasi vicini aumenta la fretta voce alla radio giura vendetta, gelido vento il casco che cade.
Tocca il culo, il muso resiste, gazzella feroce intralcia la via, una testata sul palo diritti
tutto d’un tratto la morte ch’esiste, un magrebino che volete che sia, tutto normale, dovete star zitti!

Malelingue

Suoni di risa e sguaiati lamenti,
s’alternan per le strade che percorro,
io che da sempre volgarità aborro,
sorrido a quel gridar di sciocche genti.
E m’invaghisco di te, o mio fanciullo,
poiché nel tuo silenzio, sol con gli occhi,
mi lasci sentir felicità che tocchi
e dolcemente con te io mi trastullo.
Ma gente sì maligna quanto ignara,
quando non sa inventa i suoi scenari,
e beata si convince sian reali.
Chè in un abbraccio vita è meno amara,
insiem ci nascondiamo a maldicenti avari,
ma prodighi di parole surreali.

Maschera e verità

Non è successo, sono stato illuso,
hanno così consimili smentito
di Wilde il noto binomio, svilito
maschera-verità e il suo uso.
“Contenimento della pandemia”
permise di vaticinare azioni,
svelamenti di stragi, sparizioni
un abbraccio tra storia e utopia.
Stringere la coscienza fra le mani,
vagheggiarne rimorsi dal riflesso
traslato dalle righe alla ragione;
ma i giorni trascorsi in quella prigione
non produssero l’atteso processo,
rendendo ancora i sacrifici vani.

Materia grigia

Ascolto il cheto mormorio del mare e rivedo sbiaditi chiaroscuri
di persone che un dì mi furon care,
nubi vaganti oltre orizzonti puri.
Amori che hanno fatto vacillare
vite disgiunte da robusti muri, ombre, luci e memorie dolci o amare di speranze affidate ai dì futuri.
Sogni di gloria, lacrime cocenti, tutto riporta il mar sulla battigia
col suo continuo andirivieni e senti,
come un migrante dalla sua valigia, l’incessante mutar dei sentimenti di cui il mare cancella le vestigia.
Mente, materia grigia
che, scomposta in un folle turbinio, viene affidata al mare dell’oblio.

Mattutino sbadiglio

Stamane la nenia di un arpeggio
mi sveglia com’una fronda nel gelo:
‘sto sbadiglio origliante nel peggio
accompagnerà ad altro sfacelo?

Un sentore d’ore d’aria: solfeggio
di bronzee note d’azzurro cielo;
nella tazza gradevole sorseggio,
delizia d’uno zucchero a velo.

L’essere io ancor qui atterrato,
ennesimo mio giorno di vita,
non appar il buio immaginato.

Tra ampie braccia tese mi invita
un amicante sorriso del creato
ché tacito e beato m’avvita.

Metropolitana

La custodia bombé di un contrabbasso,
un chihuahua affacciato ad una borsa,
qualcuno che trascina giù di corsa
un trolley blu pesante come un masso.
Treno in arrivo e c’è chi allunga il passo,
insonnia d’inquietudine trascorsa
tra pendolari stretti nella morsa
di un inverno che gioca al ribasso.
Scorrono sugli schermi le ultime
notizie di soldati e di un palazzo
a mezzogiorno sventrato per metà
– incerto il numero delle vittime –
ed improvviso il sibilo di un razzo
tra facce di macellai senza pietà.

Mi logora il vostro sapere

Sento la tua anima
così fragile e seria,
al confronto di cui
i tuoi simili franano.
Lo avessi notato
molto prima,
o era già previsto
che lo notassi solo ora?
Perché sapere prima
ogni cosa che mi
avviene
E’ una cosa che
invero
mi snerva.

Mia, tu eri mia

Attesi nel silenzio. Sentii il mio
cuore nel tuo all’unisono, l’assolo
di un canto senza tempo, eterno volo
di due anime. In te mi sentii io.
Eri un soffio di vita, eri l’oblio
dei giorni. Tu eri in me. Era questo solo
a importarmi, null’altro. IN quel crogiuolo
tornai fibra del mondo, balbettio.
Mia, tu eri mia. Io madre, non più figlia
nel sogno di un’idea, lungo il cammino
fragile della nostra meraviglia.
Poi, non sentii più nulla. La tua voce
fu eco di un’eco, l’ansia del mattino,
la mia ferita aperta, la mia croce.

Mille novanta

Mille: il numero infinito dei baci
del veronese all’amata, granelli
di sabbia mai contati. Ora le braci
che lasciano umani, arsicci brandelli
neri, evasi dal rogo di fornaci
ingorde di lacrime amare e imbelli;
giù dai tetti per sostegni fallaci,
uomini tramutati in zolfanelli.
Sul lavoro mille novanta uccisi,
numero del nostro tempo, contato
sui pianti infiniti di chi ha perduto
un marito, una moglie, i loro visi.
Non serve la bestemmia contro il fato
ma un cuore che non abbia mai ceduto.

Miracoli

Passano i tempi e le stagioni,
il verno succede alla primavera, vedemmo volare gli aquiloni, le aride fosse della brughiera.
I miracoli nella vita non li ha visti mai nessuno, solo tribolazioni
e dolori continui e frammisti
al tempo antico le orazioni.
Le speranze sono dure da morire, ma desiderare è sempre giusto per chi è adusato a soffrire.
Le algide Madonne guardano fisse, ti scrutano con lo sguardo vetusto e il Bambino ha le mani crocifisse.

Mistero

C’era una volta Mistero
amava celarsi
fuggiva il clamore
viveva in silenzio
cercava parole,
da solo cantava profumi e follie
dal petto irradiava segreti e bugie
poi lungo un sentiero, vicino a una grotta, lui vide Evidenza e si innamorò
correndo abbracciati ridenti e felici nessuno negava la loro unità
la notte Evidenza soffriva d’amore
cercava risposte che lui non le dava
delusa, arrabbiata,piangendo accusava,Mistero di toglierle l’identità
Il tempo passava e nulla leniva quel vuoto assoluto che non comprendeva
poi a primavera Mistero scomparve
afflitta e abbattuta Evidenza cedette
lasciò la sua terra e si mise a cercare
indovini e veggenti incontrò nel cammino
poi vati e profeti chiedendo ricette per farlo tornare
nessuno le diede le formule giuste
ancora lo cerca per terra e per mare

Monna Lisa e Leonardo

ML Gnamo Leonardo datti una sveltina!
LE Sta’ zitta Lisa ‘un fa’ la gnagnolosa!
ML Ma fa buio e so’ qui da stamattina…
LE Fai la modella o no? Allora sta’ ‘n posa!

ML Mi par d’esse’ una bambola ‘n vetrina…
LE Ohi ohi… sempre a di’ la stessa ‘osa…
ML …e poi sempre ‘on questa risatina…
LE Ma è quella ‘he ti renderà famosa!

ML E se ‘un volessi ride’? Oggi so’ triste…
LE E’ ti racconterò una barzelletta…
ML Mi girano le scatole…’un insiste!

LE La sai presempio ‘uella di Pierino…?
ML Ohi ohi… me l’hai belle’ detta e ridetta…
LE O gnamo Lisa… fammi un sorrisino…

ML Madonnina… ‘he palle Leonardinoooo…

Nel cor di Maremma

Su’l dorso aspro di balze e sassi ardenti ove il sudor dell’uom temprò la sorte, serba la terra il canto delle porte
che schiuse al sol metalli rilucenti.
D’antichi versi ancor son vive lenti, scolpite in bronzo e in pietra fino a morte, ché voce e storia fan d’un suol più forte memorie e ingegni a mille fiamme intenti.
Qui Dante udì del foco la favella,
nel soffio amaro d’un’ardente foce,
e scolpì l’ombra in rima alta e novella.
Or chi t’ascolta e legge il tuo veloce
tra fiamme e suoni d’eco sì ribella
l’ardor che in Cielo innalza la tua croce.

Nel Cor Gentile Non V’è Altro Disio

Nel cor gentile non v’è altro disio
fuor che del ver gentil donna laudare,
vo’ però in loda dir parole anch’io
di quell’angiola mia che pura appare.
Dall’alma fugge ogni mal nell’oblio
dianzi il suo benigno salutare
sì che di rendere mercede a Dio
chi la mira non pò l’uopo celare.
Dallo suo sguardo per divino intento
nell’aere spandesi tanta bontade
fino allo cor che ne trae nutrimento,
ch’ogne sì nobile mia volontade
non puote che trovar cominciamento
dalla sua onesta et umile beltade.

Nel cuor dei monti

Nel cuor dei monti, dove il vento spira,
sorse un borgo al cantar d’antichi voti,
tra i boschi sacri ove il silenzio ammira
l’Abbazia che reggeva quei remoti.
Poi gli Alberti, con l’ombra della mira,
presero il suolo e i suoi segreti ignoti,
ma Massa, nel Duecento, lo sospira
e in sua corona aggiunse nuove doti.
Caduta fu, poi Siena fece il passo
e a sé legò quel borgo di fattezze,
custode d’arte, pietra e tempo basso.
Finché, tra le onde toscane e le altezze,
il Granducato, saldo nel suo lasso,
ne fece patria, oltre antiche tristezze.

Nel nome del Padre

I figli tuoi creasti disuguali.
Tra i buoni stride l’ombra dei perversi
che quali autori dei più assurdi mali
al buio come ciechi si son persi.
Nessuna tua creatura ti somiglia:
c’è chi l’amore rende cosa vana
rifugge da chi bene lo consiglia
poi chiuso tra i confini di una tana
impreca e la sua vita maledice
come sa fare solo un figlio ingrato
ch’è causa di sua stessa cicatrice
e addita la sfortuna, accusa il fato
di profanare il quadro e la cornice.
Eppure l’universo gli hai donato
dall’alto della Tua onnipotenza
e quanta luce splende nel creato.

Nel silenzio…IL SILENZIO

Siamo piccoli granelli di sabbia…
Della dolce alba giunge la calma
Il rosso tramonto la noia ingabbia
La notte stelle luminose impalma
Anelo la pace, voglio sognare…
Una luce attiva antichi fari.
I miei cari tornano a parlare
Riaffiorano valori ormai rari
Nel silenzio, IL SILENZIO agisce
Spezza catene, nutre emozioni
Il cuore si cheta, non reagisce
Grazie alla Musa del mio poetare,
anche sulle pietre e dentro le rocce
IL SILENZIO di Dio posso ascoltare.

Nel tuo dolce crine

I raggi entrano lenti nella stanza,
e tu risplendi come onda mattutina. Nel lieve soffio nasce la tua danza, azzurra come il mare che s’avvicina.
Ti vedo allora in limpida corrente, acqua che sfiora i giorni e poi scompare, sussurro chiaro d’eco evanescente.
S’apre la porta a un cielo senza fine, ove la luce sfiora il suo mistero
e l’orizzonte vibra nel tuo dolce crine.

Nessun’altra umanità

Oggi neppure il latrato del cane svela ai sordi la ragione di tanto strazio; giorni di commozioni vane – stanco il sorriso, inutile il pianto
sui grappoli di nuvole ogni giorno ferite al sole in un cielo stremato. A che serve ora l’umano scorno,
a che ragione il perdono invocato s’inclina, e perché ora la preghiera non incontra nessun dio in ascolto? Neppure Morte conosce risposte
e noi scordammo a chi domandare. E quando, alla fine, tutto ci è tolto, resta a noi l’eco del nome: la peste.

Nessuna logica

Ho visto quartieri abbandonati
come gli sguardi dei sopravvissuti;
narrano di cari ormai perduti
e di desideri mai avverati.
Ho visto cadaveri martoriati
in strade deserte, come rifiuti;
dal ramo simili foglie, caduti
grembi materni con figli mai nati.
Ho visto poi il terrore più nero
per chi ogni dì la morte afferra
all’interno di città-cimitero.
Ho girato a lungo questa Terra
cercando “perché” in ciascun sentiero
ma non vedo logica nella guerra.

Noi due e il mare

I tuoi occhi son lucenti onde che il roseo viso fan bocciare, quasi fossero sospiri del mare posati sulla riva tra le sponde
delle tue labbra, mentre si espande un sorriso, un sole a sfociare oltre l’orizzonte, illuminare
il timido sguardo che si nasconde
come ombre distese al mattino, di una notte passata tra stelle fatte di sogni, luci emozioni,
tra il vento che ci racconta suoni, tra salsedine sulla nostra pelle, sfiorando un bacio sapor di lino.

NON CERCARE IL VERO…

Sulle case ove i morti hanno dimora,
striscia l’addio del sole alla giornata.
Qui tu sparisti, e pare, come allora,
che sia anzitempo già notte inoltrata.

Notte a cui nessun’alba è sopraggiunta,
anche se il giorno strazia le cicale
e le foglie rincurvano la punta
in attesa dell’alito serale.

Chi mai risponderà al quesito nero
della vita che passa in un momento
sopra la strada curva del mistero?

Il tuo volto è ricordo ed è tormento.
Tu sembri dirmi: “Non cercare il vero:
la vita non ha scritto il testamento…”

Non so lasciarti

Ritorni sempre, anche se non ti chiamo,
sei l’eco stanca dentro le mie vene;
eppure so che perderti conviene,
stringo il vuoto come fosse un ramo.
Ti tengo dove il buio ha la sua stanza,
dove la luce teme di restare;
se provo ad allontanarmi, il cuore avanza
verso un abisso che non so evitare.
Mi dicono: «Lascia stare, è già perduta»,
ma io conservo ancora il tuo respiro,
sei lama e insieme cura del mio male.
Così non vivo, resto trattenuta,
legata al filo breve d’un sospiro,
e affondo in un amore che fa male.

Non sopporto i vecchi

Non sopporto i vecchi
Con le loro bave e le loro fissazioni
convinti che quello che dicono
sia l’unica saggezza del mondo
Non sopporto
I loro benevoli avvertimenti
La loro saccente visione
Delle cose e del mondo
Che li vede ombre
di corpi lontani
mai perfetti
né pieni di bellezza
come nei ricordi perduti
Confondono il passato
con il presente
E vivono di rimpianti
Recuperano dai cassetti polverosi
brandelli di memoria
Vecchie carte
Suppellettili delicate
Orologi rotti
Fermati dal tempo
Ma in quel loro agire
vi è immensa tenerezza
Non sopporto i vecchi
La loro lucida retorica
La prosopopea annaspante
Il senso eterno di giustizia
Che credono di possedere
Schiavi invece
senza catene
di perbenismi e convenzioni
di cui non si sono
mai liberati
Adoro i vecchi
E la loro disarmante fragilità
Come bambini aspettano
Di essere cullati da una voce
Che li rassicuri
Portano sulle spalle
un fardello pesante
sapido di dolore
E mi rattristo pensando
A quanto sia stata ingiusta
con loro la vita .

Nonna, a quest’ora

Nonna, a quest’ora quante volte, quante
accanto al fuoco, accogliendo la sera,
col libricino aperto fra le sante
mani hai rimormorato la preghiera?
Nella mia sera la dolcificante
memoria dei tuoi occhi, la sincera
serenità di chi ha versato tante
lacrime a viso aperto e crede e spera
di evitare le fiamme dell’Inferno
– lo chiedevi così, senza pudore
quando ti rivolgevi al Padreterno –
riaffiora e lima le unghie al mio terrore
che io muoia. Ora che sei oltre ogni inverno,
istruiscimi sul buio e sul chiarore.

NONOSTANTE IL TELEGIORNALE.

Credo nella distanza tra le persone annullata da una stretta di mano che cancella ogni differenza
e mette la parola fine alla guerra.
Credo nella morte di chi ha dato la propria vita per difendere i più deboli
e salvare un’idea
che è già la mia bandiera.
Credo in chi ruba per fame, non in chi uccide per soldi.
Voglio accendere la luce negli occhi
dove le voci si sono spente.
Voglio pane anche per il mio fratello nero anche se sono figlio unico.
Voglio tornare a rivedere le stelle cadere nei tuoi occhi.
Credo nel potere dell’amore, non nell’amore per il potere.
Voglio lottare per difendere e salvare
la liberà di amarsi degli omosessuali.
Voglio la pace sulle strade
e strappare la guerra dai libri di scuola. Voglio un’estate da vivere
dal primo bacio all’ultimo
raggio di sole,
nonostante il telegiornale.
che c’è tra disobbedire o non obbedire
e rompere le righe.

Nostalghia

Inseguivo le orme del mio umore nel buio silenzioso porticato
di un cortile abbandonato.
Stare così raccolto in certe ore
e dare pace a quel soffiare immenso del dire sulla vita e sulla morte. Mentre d’estate il cielo batte forte tu vorresti che tutto avesse un senso
– baciare le guance rosse della mela modellare i ricordi nella cera – sperando di dar tregua alla tua sera.
Quando tutto sembra terso e perduto comincio a far passi anche seduto
e accendo tra le mani una candela.

NOSTALGIA DEL PADRE

Buono paziente, generoso eri con una testa matta come me: non ero nato e, quasi fossi un re, già riponevi mire e desideri.
Ricordo ancora, come fosse ieri, le volte in cui m’intestardii con te puerilmente, senza ma né se, credendo d’emulare l’Alighieri …
Gettando in fondo al mare i tuoi progetti, (sapevi fosse bene mio primario avvicendarti a capo del vapore),
cocciuto sciocco e illuso di valore, volli seguire il sogno letterario vestendo invece i panni degli inetti.
Un anno intero stetti all’ateneo con fiochi risultati, i sogni di poeta salutati.

NOTTETEMPO SBOCCIARONO LE ROSE…

Nottetempo sbocciarono le rose
le belle rose tutte profumate,
al pari delle cose più preziose
a te, mia cara, io le ho donate,
stamane è tripudio di colori,
nel mio giardino è desta primavera,
brillano nel sole tutti i fiori
cantano gli uccelli fino sera.
Sotto il portico, incorniciato
da boccoli di chiaro gelsomino,
tra nivee calle e il tuo sorriso
spunta un papavero indeciso
e ascolta, il cuor del ciclamino
dice: “Canta or che t’ho baciato!”.

Nuova primavera

Siamo di fronte a un’altra guerra,
esistenze falciate senza pietà.
Accordi tra i grandi della terra:
parole bugiarde senza onestà.
Dicono: “pace” ma un raid si sferra,
prendono il mondo, fanno a metà,
uno devasta, un altro afferra,
negano ai posteri la libertà.
La primavera sta per arrivare,
una nuova stagione, nuova era:
bimbi che si divertono al mare.
Non più lacrime nel letto la sera
e mai più vedove da consolare.
Solo armonia, concordia sincera.

Omaggio a J. L. Borges

«Oltre la porta in fondo al corridoio. Quella che ha per battente un uroboro. Dove il tempo è una farsa – dove l’oro sfolgora sulle costole di cuoio.
Terzo scaffale da sinistra: Storia della letteratura siderale.
Ma il numero del tomo sia casuale; la scelta della pagina, aleatoria. Sono volumi fragili. Fai meglio
a stare attento, mentre l’Universo chiuso nelle profonde ombre del legno, vede che arrivi a un nuovo capoverso, all’ennesima riga, al primo segno dell’ultima parola» – e poi mi sveglio.
El universo (que otros llaman la Biblioteca) […]

ORDO

Rinasce con Inverno il nuovo anno,
poco dopo Gesù, nostro Signore:
se i freddi e grigi dì portano affanno,
secreta speme abita le ore.
Ché quando neve e gelo se ne vanno,
di donna Primavera il bel tepore
con erbe e fiori ovunque doneranno
le mani sue gentili, e vita e amore.
Trionfa Estate, e sua bellezza nuda
superbamente in cielo e in terra mostra,
quasi perché sia eterna l’uom s’illuda;
ma, richiamando al ver l’anima nostra,
Autunno giunge con malinconia,
sì come a dir: accetta questa via

PACE NEGATA

Nel cielo urlano venti di tempesta,
la polvere si posa sopra i fiori,
i bimbi senza giochi e senza amori,
all’ombra d’odio che ogni luce arresta.
Fra pietre mute e macerie resta
il pianto della terra e dei suoi cori,
sussurra il vento, antichi e tristi errori,
ma il mondo resta cieco e non protesta.
Eppure, sotto il sangue e le ferite,
resiste un seme fragile e silente,
attende un’alba nuova e più pulita.
Che il sole scacci il buio dalla mente,
che canti un giorno pace infinita:
giustizia, amore, vita tra la gente.
Teresa Averta

Pace…

Millenni e menti accende l’ambizione
di ottenere la pace universale –
romantico concetto intellettuale,
filosofico slancio d’emozione.
Perché la guerra – Nobel criminale –
e la fervida sua preparazione
con vivida e suadente suggestione
i popoli rallegrano nel male?
Pace esiste se patto condiviso
o non è che atto di forza a vantaggio
di chi ne gode le opportunità.
E chi subisce, sentendosi irriso,
si strema con l’opporsi a tanto oltraggio
nell’odio, sua dronesca identità.

Parola viva

E nel silenzio mesto, il vento grida,
l’acqua di mare con l’onda si difende,
brilla di luce la strofa che sorprende
è la parola viva che ci guida.
L’azzurrità carezza il cuore stanco
e dall’immenso si esula la luna,
l’anima brama cenni di fortuna
per barattare il nero con il bianco.
Se ogni foglia o petalo rinasce
non ci sarà timore per il seme,
il sole brilla sui savi e sopra i folli.
Fra i campi soleggiati e i verdi colli
i sogni sono il pane della speme,
la madre avvolge il bimbo nelle fasce.

PASSATI I MORTI RIMANGONO EPITAFFI

Io fui fedele amante dei motori.
Ricordo cominciai con una moto,
mille di cilindrata, rossa fuori.
In man, qui nella bara, ho ancor la foto.
Poi presi a rate uno spiderino,
capote sempre abbassata anche d’inverno
ma fui punito dal crudel destino;
la polmonite mi spedì all’Averno.
Però vuoi metter la soddisfazione
allor che fui condotto al cimitero,
passando tra gli amici in processione,
con un Mercedes turbo a compressione,
station wagon e di colore nero
che fu, da vivo, la mia gran passione.

Passo

S’affaccia il buio la sua saldatura ai vetri rappresi di sera spenta,
tra i tetti aleggia una segreta altura pare una luce incerta che rallenta.
Nel profondo l’ombra si disfa pura nelle stanze il vento s’addormenta, dalla casa scende una voce dura una forma che il silenzio aumenta.
Un uomo si stacca dalle pareti, svanisce lento come una carezza tra viali ricurvi corpi incompleti.
La casa ora veglia nella chiarezza,
e il tempo si consuma nei tappeti
che attendono un passo con dolcezza.

Piccola sposa

Sognavo di incontrare l’Amore
di vestirmi di rose
di coprire il capo con un velo bianco
di camminare sulla sabbia
con l’uomo che Io avevo scelto.
Volevo rimanere a sognare
nel mio letto di bambole
con la mano stretta
in quella di mia madre.
Volevo, come volevo!
Strappata alle mie abitudini
ai miei giochi di bimba.
All’improvviso sposa
con ancora il peluche tra le braccia
per non sentire l’odore pungente
del maschio padre padrone
che mi faceva sua in un solo colpo.
Quello mortale
che ha rubato
la mia fanciullezza.

Poesia nel dramma

Di chi è poco amato
in cèrca di lavoro
ètèrno disoccupato
ardori da innamorato.
Poèsia a profusionè
nèl continuo andarè
pèr viè aggrovigliatè
strappi da rattopparè
lacrimè è confusionè
strèpiti da règolarè.
Poèsia nèll’èsistènza
èssènzialè alimènto
ènèrgia è movimènto
tèstimonè all’originè
dinamica èvèniènza
carmè ogni momènto.

Pop-corn e bugie

Bello, questo circo, così festoso!
Invadono gl’orecchi i rumori,
rapiscono gli occhi i colori.
Caleidoscopico e maestoso!

Puzza, però, questo circo, non trovi?
Come di cose morte, sangue, terra,
di letame, di residui di guerra.

Usciamo, ora, perché non ti muovi?

Orrenda l’illusione che si frantuma.
Civiltà, democrazia e libertà:

solo un tendone plastificato

su radici marcescenti montato

per un grande spettacolo d’omertà;
la canna di fucile ancora fuma.

PRIMAVERA

Ecco la primavera risvegliata
con le sue gemme e con i suoi splendori,
ha la graziosa fronte inghirlandata
d’un verde vivo con altri colori.
Da tempo se ne stava addormentata
come sognasse aurore e miti albori,
in attesa sí docile e pacata
dell’inverno, la fine dei rigori.
Ma giunta l’ora del risveglio ambito,
schiudendo gli occhi in faccia alla natura
ecco sorrider tutto l’infinito.
Alla carezza dell’arietta pura,
ogni albero di fronde rinverdito
bisbiglia e freme come per paura.

Primo incontro

Dallo chalet dell’amico borghese
vidi una giovane tra la verzura,
villa padronale dietro le mura,
vicina di siepe e male in arnese.
È figlia del sindaco del paese,
cresciuta solitaria per premura
della fragile fibra poco dura
e dell’ipocondria che l’apprese.
Un saluto lontano da parte mia
a lei che discosta sempre lo sguardo,
un buongiorno o piacere o quel che sia
a lei che infine accoglie l’azzardo
repentina e svelta come una spia,
serena e sorridente con risguardo.

QUALCOSA MI PARLA

Qualcosa mi parla da prischi albori,
qualcosa risuona con tonfo cupo,
riverberando aurorali chiarori,
voci e guerrieri con pelli di Lupo.
Da un Tempo d’acciaio e insieme dorato,
giungon barbagli di vaste visioni,
d’un mondo remoto e dimenticato,
di cui son perse le vere ragioni.
Che fosser nel Sole oppure nel fango,
i loro cuori battevano in Cielo
ma ogni uomo aveva il suo rango.
Oggi aspettando il prossimo gelo,
i sogni dell’uomo mesti si frangono
contro le pieghe d’un algido Velo.

Quand’i’ ti guardo mi s’accende ’l core

Quand’i’ ti guardo mi s’accende ’l core ed un cortese spiritel mi mena
a que’ sospir che solo m’offron pena ed i’ mi struggo e reo di quest’è amore.

Ma devo dir ch’è tale il tuo splendore, che tua beltad’è sì dolce e serena
e tua persona d’umiltà sì piena
ch ’l sol pensarti placa ’l mi’ dolore.

Amor vagante mai non è contento de l’opra sua e strali gitta ancora
al cui cammino porre non so scoglio

e ne’ momenti in cui vederti soglio
pace non dammi e i colpi suoi migliora. Ed i’ certo non odio il su’ talento.

QUANDO ?

Per quanto lunga sia la vita l’uomo mai finisce d’imparare, nasce libero e impara a giocare con la coscienza umile e pulita.
Ma se crescendo va smarrita
la strada giusta che porta ad amare,
in case altrui è solito cercare
quel che sarà per sempre una sconfitta.
Nulla varrà il luccicar dell’oro
se d’amore si perdono le tracce che per l’uomo è il miglior tesoro.
Solo quando la guerra si tace sarà in terra il miglior decoro e nell’anima quiete e pace.

Quanto vorrei sia compassione

Quanto vorrei sia compassione
e mai più spregio per chi è morto
ovunque trafitto senza conforto
in guerre vanto di truce ragione.
Da che fu Caino duro il bastone
minaccia s’alzò sopra il rapporto
tra genti vicine, sogno distorto
quel dominare cruda ambizione.
Vano ammonire rosse di sangue
le orme dei padri, la terra geme
pianto d’inermi ancora soffrendo.
Figli violenti, voi riproducendo
tanto dolore spargete nel seme
sicché la speranza illusa langue.
(ai caduti di tutte le guerre)

QUER MONNO VÒTO/QUEL MONDO VUOTO

QUER MONNO VÒTO
( Alzheimer)
Co l’occhi sperzi… er vòto ne la mente
campi in un monno che nun cià passato,
nun t’aricordi più quello ch’è stato:
‘na foja che galleggia in un torente.
Me guardi zitta come fossi gnente,
‘na faccia come tante c’hai scordato,
vorebbe da sapè ndo’ se n’è annato
er ricordo der monno e de la gente.
A vorte ciò ‘na botta de tristezza
quanno penzo a ‘sta vita… a ‘sto destino,
ma poi me fai venì la tenerezza.
Come ‘na biocca coccola er purcino
me illudo che ‘n soriso e ‘na carezza
te fanno capì che te sto vicino.

QUEL MONDO VUOTO
( Alzheimer )
Con gli occhi spaesati… il vuoto nella mente / vivi in un mondo che non ha passato, /
non ti ricordi più quello ch’è stato: / sembri una foglia in balia di un torrente. /
Mi osservi in silenzio come un estraneo, / un volto uguale a tanti altri che hai dimenticato /
vorrei proprio sapere dove è andato / il ricordo che avevi del mondo e della gente. /
A volte sono preso dalla tristezza / quando penso a questa tua vita… a questo destino, /
ma poi prevale la tenerezza. /
Come la chioccia si coccola il pulcino / mi illudo che un sorriso e una carezza /
ti facciano comprendere che ti sono sempre vicino. /

Radici e ali

Tra Maremma e Milano il mio cuore è diviso. tra la terra del babbo e la colta ci6à.
Le radici sono dove il mare è vicino,
ali son libri e teatro e un nuovo cammino.
Là dove il vento odora di sale e di pini, immagino e scrivo, racconto e respiro. Qui tra le strade e il ma=no grigio ogni giorno mi alzo, studio, mi sfido.
Non scordo le zolle, il mio primo giardino, che sa di salvia e di sole in collina
di amici sinceri, vendemmie e canBna,
di olio fragrante e di vino vicino
Milano m’ accoglie, ci6à di cultura, Maremma mi chiama: è cuore e natura. Radici e ali, sapori e saperi
verso il domani con le memorie di ieri.

Requiem

Come sarà la nostra attesa luce?
Al sonno , al respiro più quieto
del padre , sudario che madre cuce
all’ombra rosata dell’aranceto,
l’inavvertita, immortale luce ,
pur posata sul luogo del divieto
non è più che mortificata luce,
fiamma inestinguibile del roveto.
Di fiori, legno e incenso la tua storia
ora non è che arco del tempo fermo
che mira a segno d’incerta memoria .
Tu cerca dentro il nostro mondo infermo
di giorni antichi la perduta gloria,
alla sperata luce nudo schermo.

RICORDO E IL RICORDAR

Ricordo, e il ricordar rinnova attese,
ed io che non vorrei esser chi sono,
ai pensieri e al duolo m’abbandono,
per buie lontananze troppo estese.
A glauchi cieli e acque di cobalto,
i pensieri ritornano vibrando,
dell’immagine tua sempre cercando
nei sogni che trascendon verso l’alto.
Ma il tempo presente già scolora,
giorni trascorsi ed anni già vissuti,
con assenze brucianti fino ad ora,
perché c’è negli attimi caduti,
quanto non è stato detto ancora:
luce d’amor per sogni non perduti.

Risvegli

Leggo ancora la riga di luce
ch’apre, timida, il chiaro del giorno
e c’è sempre il tuo nome. Seduce
dargli voce nel vuoto d’intorno,
nel risveglio dimentico d’anni,
un chiamare nel nulla, in un muto
tintinnare di voglie. Tiranni,
i ricordi di un tempo perduto
e di pelle e di turgidi inserti,
e di mani e d’intrigo di sguardi,
si rinnovano ancora. Lacerti
di visioni, di sogni … d’azzardi
di noi stupidi amanti, d’incerti
giuramenti di amanti bugiardi!

RITRATTO DI CERRETO LAGHI

Sui monti è declinato il sole,
tutto tace ed io non ho parole
per illustrar tutti i bei colori
che ornano piante, frutti e fiori.
Il lago ha verdi increspature
acque celesti, limpide e pure,
salta la carpa, vola il rondone,
il faggio lieto canta una canzone.
Questo è il ritratto di Cerreto Laghi
fulgido specchio di cime cristalline
sito al cuor delle Apuane belle
odor di bosco, gocciole di stelle,
girandola di bianche farfalline
sui pensieri miei, semplici e vaghi.

Ritratto di vecchio

Seduto all’ombra di antiche campane
Tra le mani un cappello bisunto rigira
Lo sguardo anela ancor terre lontane
L’anima sogna e la vita rimira
Occhio languido di vecchio cane
Di vivo rimpianto amaro sospira
Di cielo fatale l’azzurro rimane
la bronzea pelle lacrime attira
un refolo caldo accarezza la fronte
allo studio di nubi lo sguardo si ostina
nelle forme ovattate visi fanciulli
figli mancati su fratern’ orizzonte
intenti ai loro sognati trastullli
son dolce carezza che pena commina.

Roccella mia, eterna nel cuore

Sul vecchio balcone guardavo il tramonto,
mia nonna parlava con voce sincera.
Mio nonno cantava con sguardo profondo,
e il vento cullava la dolce atmosfera.
Le strade di pietra, il profumo del mare,
le voci che un tempo riempivan le vie,
i vicoli stretti, le notti a sognare,
le mani che stringono, forti, le mie.
Le scale che portano in cima al Castello,
la brezza che sfiora i pensieri leggeri,
il sole che illumina il borgo piu’ bello,
la sabbia dorata nei giorni sinceri.
Mi sentivo amata, mi sentivo al sicuro,
pensavo che tutto restasse com’era,
ma il tempo e’ sfuggito, veloce e sicuro,
lasciando il ricordo che pesa e che spera.
Cammino da sola, la notte e’ piu’ scura,
il vento mi parla, ma a chi lo dira’?
Non sento quei suoni, non sento la cura,
ma il cuore ripete: “Roccella sara’.”
Roccella mia, eterna nel cuore
Roccella rimane, nel cielo e nel mare,
nei giorni che il tempo non puo’ cancellare.
Le voci svanite risuonano in me,
sospese nel vento che porta con se’.

ROTTA

Di questa vita mi voglio disfare, vuote carole, motti insensati, anime al sole, cuori dannati, infranto spirto, parole avare.
Mare deserto, cielo affollato, viandanti persi, ornati versi, creature strane, dolci mattane lungo la strada avrei trovato.
Eppur tra i grigi non mi scoraggio,
se guardo bussola, barra io impugno, come d’antan arriverà pur maggio.
Fratello antico, amico saggio, pur tra i severi ritornerà giugno, saper vorrai che erto è il viaggio.

Rugiada.

Mi sento tremare come la Terra
e comprendo che io ne sono figlia:
voce di fiume, orecchio di conchiglia,
cuore di preda, lancia che atterra.
Ondeggio piano, come fa la cerva,
che ad ogni sguardo inonda meraviglia,
come il bruco avvolto di ciniglia
che muta forma ed il suo cielo afferra.
Scrivo così poemi sottopelle,
per Dulcinèa o forse Don Chisciotte
avvinto dal Levante di un mulino.
Ma nel brusìo di Venere al mattino
guarirò ogni crepa della notte
con i miei versi madidi di stelle.

S…mascherati

Quanto è strano l’uomo, non lo riesco a capire:
rivendica l’aborto come diritto fondamentale,
ma poi se vede bambini in guerra morire,
al grido di “vita” e “pace” va a far le barricate.
Abdica alla scuola l’educazione del figlio,
ma se capita un brutto voto a un compito
come si arrabbia e affronta i prof con cipiglio!
“Il mio povero figlio non l’avete capito!”.
E quanto spende a rincorrer l’eterna giovinezza!
Si vuol disconnettere mentre cerca altri post da condividere,
è angosciato e ha perso gioia e spensieratezza,
si rinchiude nel virtuale, sopraffatto dall’ansia di vincere.
La soluzione per scacciare angoscia e tristezza
è abbandonare lo schermo e le maschere e tornare a vivere.

SAGGEZZA

Un corallo nel mare della vita
apostrofo che unisce dei pensieri
la somma dei miei tanti errori
la conquista di una via d’uscita.
Saggezza è potenza infinita
un varco nel percorrere sentieri
accade oggi ciò che sapeva ieri
se la eviti si sente tradita.
Difficilmente nell’agire sbaglia
si mostra nell’argento dei capelli
e nelle decisioni non imbroglia.
Non dimora in sontuosi castelli
ma ha blasone di buona famiglia
il senno che è privo di orpelli.

SALVEZZA?

La poesia nobilita l’uomo e diletta talora il suo cane. Dilla, scandita, nel Duomo, t’aspettano tutti stamane.
Devi darti un nobile scopo con versi ritorti e affilati, ricordati che non è un gioco, i critici sono già arrivati.
L’hai letta con tono febbrile, fra i banchi fremevano i nonni, non serve mostrarsi virile,
non serve nascondere gli anni.
Ora ogni timore è scomparso, i presenti osannavano il testo, il senso, perciò, è riapparso, ma il brutto in te è rimasto.

Sassi levigati (sonetto sospeso)

Vedi, amica mia, i sassi levigati?
Il mare e il vento su quest’arena
sono interlocutori inascoltati
nel turbine che li incatena
Il cielo spalanca il nero occhio
sui lacerti di corpi fumanti.
Al suolo singhiozzano in ginocchio
le madri sotto le luci abbaglianti.
Le sirene allarmano l’aria,
dalle crepe scivolano i corpi,
una nenia s’ode funeraria,
sale dalla bocca degli storpi,
sorvola la collina cineraria.
Resta una scia di vita precaria.

Schermi accesi

Scoprendo di ogni giorno il lume spento e le parole in viso aperto morte
per poi scrutare invano chiuse porte cercando risa e abbracci senza stento
abbiamo acceso schermi col portento di un’invenzione a dire troppo forte, come finestra aperta sulla sorte, distanti ma vicini nel tormento.
Ma il mal venuto se ne andò lontano col caldo del tuo sguardo a primavera smorzò la luce finta e accese il sole
e con parole fiere dal pantano fuggimmo con speranza, quella vera, coscienti che il futuro a sé ci vuole.

Schermo spento

Scorro lo schermo di luci che mi abbagliano,
un vuoto dentro che non so spiegare,
i pensieri si piegano e si sdraiano,
come onde stanche sul mio navigare.
La città urla nelle vie che appaiono,
parole mute che provo a decifrare;
il tempo scivola, i cani abbaiono,
nell’eco sordo che non so fermare.
Mi guardo dentro un vetro appannato,
riflessi storti di chi ero ieri,
un io che inciampa, perso e isolato.
E il cuore batte, ma è un suono sbagliato,
tra sogni infranti e inutili sentieri,
rimango fermo, un uomo incatenato.

Se non muori si fa l’amore

Avevi lo sguardo così assorto
da lasciarmi senza mezza parola,
ho pensato “Oddio forse è morto”
m’è rimasto un bel groppo in gola.
Poi gli occhi han di nuovo brillato
e un respiro “Non sono da sola”,
ma che stronzo son quasi crepato
che una pinta da sola si scola.
Dai che ora facciamo l’amore
anche senza consumarci le labbra
l’importante è baciare col cuore.
Le preghiere di ansimanti suore
tra le rime di un abracadabra
senza traccia di pulsante pudore.

SERE IN CITTA’

Ormai non temo più il calar del sole
quando l’ombra s’allunga sotto i muri.
Non temo più il vuotarsi di parole
che prelude a silenzi duraturi.

La mia sera ha i contorni rarefatti
di molli nebbie, d’incerte figure,
si perde tra le pieghe o negli anfratti
cancellando le impronte più sicure.

M’immergo tra le pietre delle vie
tra porte chiuse, imposte già sbarrate.
Scorgo qualche persona solitaria

odo appena dei passi il calpestio
e mi rifugio in storie immaginate
dove i sogni s’allargano nell’aria

Sgombera tutto

“Sgombera tutto!”, dici: che ogni oggetto
sia conferito e l’isola del rusco
Divenga un arcipelago all’effetto
dei tuoi capricci dentro al modo brusco
d’amar che avevi, che hai. Il maledetto
cuore geloso, bipolar, corrusco
caccia le cianfrusaglie, per l’abietto
furor dannate al fermentar di musco.
Nel cassonetto il ninnolo, la rosa,
la foto della festa a Montecarlo
(di Lucca); ma – ti giuro – butterò
anche lo specchio, l’illusoria posa
che avevi quando stavi nuda, tarlo
del piacer mio: poi dimenticherò.

SMARRITO

Lui è avvolto nell’oblio del nulla
e attorno solo felicità fasulla
non ascolta e non fà testo
tutto ciò che è il diverso
Ha raccolto dalla vita
solo un’immagine ingiallita
che descrive duramente
ciò che non vuol nel suo presente
Or si scuote e ha paura
di affrontar la sua disavventura
sogna giorni nella luce
ma si è spento in un buio truce
Tutt’attorno è indifferenza
ciò che è sempre stato in Lui l’essenza
ma c’è un dubbio che mi assale
non è che Lui voglia vivere nel reale?

Sofia

Venuta al mondo in un giorno d’estate
hai portato la luce della vita
nell’esistenza mia, ch’era sbiadita,
l’hai illuminata con le tue poppate.
Senti, l’eco delle tue risate
risuona, e la dolcezza infinita
della voce che per prima io ho sentita
colma il vuoto delle mie giornate.
Passo dopo passo, cara Sofia
cresci, diventa forte, indipendente,
sicura di te, di ciò che sei.
Contro tutti per te mi batterei,
non creder alle lodi della gente,
ma vivi a modo tuo, bambina mia.

SOGNO DI MARE

Sulla sabbia lucente di conchiglie
resto estasiata come per incanto,
guardando, pure come meraviglie,
le vele, al largo, sul marino manto.
Il vento porta voci di gabbiani,
il sole scalda l’ aria iridescente,
ascolto suoni che non son umani
e m’ abbandono nell’ acqua fluente.
Vorrei restare lì così, straniata,
lontana dalla terra dei miei pianti,
creatura solo di mare forgiata :
dimenticare tutti i miei rimpianti ,
varcare quella soglia illimitata
tanto sognata , tra i flutti cullanti.

Sogno o son desta?

Salgo e scendo con Escher scalinate
che vanno al nulla eterno foscoliano,
poi corro a piedi nudi insieme al Vate:
nel pineto la pioggia batte piano.
Ma ecco che le scene son mutate
in un dantesco inferno, folle, insano,
mentre con Tolkien entrano le fate
e Dickens stende un velo vittoriano
su questo strambo sogno. Già la luna
tramonta, nelle querce irrompe il vento:
Saffo soffre e desidera, ciascuna
stella di Vincent brilla, e in un momento,
con visione bizzarra ed importuna,
Magritte riaccende il cielo ch’era spento.

Son’ gabbie la forma e la struttura

Son’ gabbie la forma e la struttura, che costringono ‘l verso in catena, tanto che il pensiero si snatura per diventar’ grandissima pena.
La rima e il verso mi fanno paura ché l’uomo libero si sente in vena di celebrare le glorie future
se non dee seppellirle nella rena.
Il sonetto e la canzone sono costrizione pel libero poeta,
che chiede solo di librarsi in volo.
E invece sembra domandar’ perdono quando, come baco, tesse seta
sulla pagina per non esser’ solo.

Sonetto a mia madre

Miro le tue guance lattee, le melodiose
voci, la mano calda, l’esser puro,
la croce che il tuo cuor sopporta, il duro
lavoro, le attenzioni premurose.
Sento le fatiche pie e silenziose
che respiro come cure amorose,
colgo della tua mente ogni pensiero
e perché da te amato vivo leggero.
Ed oltre alle sembianze a me sì care,
amo il tuo sacrificio indefesso
che m’induce il bene a dimostrare.
Voglio dirti che se sono me stesso
è per le tue virtù preziose e rare
che dono in relazioni di successo.

Sonetto alla mia nera regina

Caso volle farci incontrare
precisamente fu mrs. Shampoo
Fortuna molto h’avuto da fare
esotica parvi come un’emù

Circondata da fiere compagne
di forte favella forestiera
presto parlammo delle lasagne
il mio pensiero per te sola era

Gi’al mio primo eloquente sguardo
più che tè, sembravi buon caffè
Girammo della Eterna Città

Gl’anfratti più bu’in felicità
Nera Regina, domina con me
Insieme saremo Caos maliardo

Sonetto degli spiaggiati

Cammino nell’immonda cianfrusaglia
che l’onda sbatte con tranquilla forza:
m’arriva un po’ di vento e una spruzzaglia…
ma l’autunnale caldo non si smorza.

Global warming: e chi lo nega, raglia.
Guardo in pensiero la residua scorza
di un tronco che nella minutaglia
è un balenotto che si gira e sforza…

Dal legno stanco affiorano due cuori
con freccia e nomi… Vacillando, leggo:
ci siamo noi in quel legno e son dolori

per le nostre stagioni, Ada! M’avveggo
ch’è sfinita anche quella degli amori…
e ora, a ripensarci… no, non reggo.

Sonetto del tempo fugace

Nel mondo che corre nel tempo fugace
tra schermi luminosi e sogni di rete
la vita si snoda, veloce compiace
cercando un senso, la giostra di crete
Le voci si alzano, unite in protesta
giustizia e pace, futuro migliore
mentre il cuore batte, speranza che resta
in un mare di dati, risuona l’amore.
Ma l’eco del silenzio ora ci avvolge
tra like e commenti e noi ci perdiamo
la connessione è forte, il vuoto travolge
Cerchiamo abbracci, cose da umani
in questo labirinto, pixel e foglie
ritroviamo calore, il nostro domani

Sonetto dell’amore inqiueto

Ti cerco nell’incerto orlo del vento,
nell’eco fioca d’un tramonto ardente,
sei l’ombra che sussurra evanescente,
un soffio smarrito nel labirinto lento.
Ti trovo nella luce che s’adombra,
nel fremito segreto della speme.
Sei seta che si sfalda tra le estreme
vene del tempo, in mute albe che ingombra.
Amore è febbre, ascesa e precipizio.
Un palpito sospeso tra due abissi,
melisma errante in un canto infedele.
E quando pare infranto il suo afflato,
riemerge dall’oblio, trama gli stessi
inganni eterni d’un sogno ribelle.

Sonetto dell’intatta perla

Il nostro amore come intatta perla
se ne sta chiuso in un dorato scrigno
E’ come un incantesimo maligno
che da sempre ci vieta di goderla
quella luce segreta, quel calore
d’antica intimità che ci confonde
nelle sue spire solamente in sogno
ostinati a negarci quel bisogno
alimentiamo il fiele del dolore.
Nei nostri cuori si rinsalda il ghiaccio
il cappio non si scioglie in un abbraccio.
Alla nostra richiesta non risponde
nessun angelo, e ci governerà
il dèmone dell’infelicità.

SONETTO PER ANGELO

e con la precisione dei capelli
ho spento l’orologio degli incontri
mi abbandono sui testi di Lumelli
cercando gli improbabili riscontri

e mi perdo nelle definizioni
di quanto appare certo l’inusuale
il senso che nasconde le intenzioni
scegliendo l’inversione dell’uguale

quel che mi muove è una commozione,
che non richiama in vita il tuo pallore,
non manifesta alcuna presunzione

sorge da un’ambizione troppo ardita
che si rivolge a te senza pudore
come memoria che si fa infinita.

SONETTO PER FILIPPO

Aveva dato un bacio all’eternata
e lo teneva nel cuore del viaggio
quando cadeva estremo l’alto raggio
che porta pena alla stella dorata
Tra i boschi l’aria venne raggrumata
da uno sparo che radica l’oltraggio
su un corpo irto di vita abbandonata
al padre armato del crudo messaggio
Quanti atano il sonno dell’interrato
sanno l’assurdità di questa fine
che infiamma l’essere come un reato
e conta arresi anni come perline
rotolate in una terra senza fiato
punta in ogni angolo da sacre spine
A Filippo Ceravolo, vittima innocente di mafia

Sonetto precario

di sicuro il marmo le statue antiche e le colonne sono eccelse amiche del tempo così come la plastica nulla sarà questa storia fantastica
non dubito dei poemi dei classici ma dove finiranno i nostri abbracci? ci riuscirà l’intelligenza artificiale? e come li salverà sul suo portale?
canto amore la tua vera bellezza mi prodigo in un’ode immortale e poi incespico nell’incertezza
quel che resta è un verso frugale

SPERANZA OLTRE IL BUIO

Siamo parte di un mondo cupo e fitto,
un nulla che aleggia in un mistero:
grida diverse, soli per davvero,
in eterna balia di un fato sciatto.
Vetri rotti, taglienti ombre del vero
in un negozietto da anni sfitto;
senza sorrisi, senza un verso dritto
persi, disfatti dentro un cimitero.
Ma, se guardiamo oltre un poco meglio
si vede un guizzo di luce, di speme:
sottile, misero suono, un sonaglio
che dice a noi: “Dai su crescete insieme
per andare oltre!”
. Così lì, vermiglio,
del buono ecco riapparire il seme.

SPERANZA,FARO DI VITA

Nel buio fitto d’ombre e di tormenti, un lume lieve brilla all’orizzonte, tra i venti aspri e i giorni sonnolenti, riporta dolcemente il sole in fronte.
Forza che guida l’anima smarrita,
che scioglie il gelo e placa ogni paura, che dà coraggio per ogni ferita
e sprona il passo alla gioia futura.
Non cede mai al peso del dolore
né al tempo che consuma ogni certezza, ma cresce in petto come tiepido fiore
rinato al sole dopo la tristezza. Speranza è vela fra la tempesta, il primo raggio che si manifesta.

SPERANZE CHE MIGRANO

Pane spezzato da pallida mano
accolto tremante da brune dita.
Sento il pensiero vagare lontano
vedendo la luce riflessa di un’altra vita.

Un’esistenza piena di dolore
t’ha portato a lasciar terra e familiari
sino ad affrontar deserti con ardore
usando i tuoi ultimi mille denari.

Infine il mare aggredito su malsicuri legni
con altri cuori palpitanti nell’onda oscura
poi braccia amorose t’han tratto a riva.

Baci la terra che speri porti nuovi impegni
pronto ad offrir te stesso cerchi mano sicura
fidando che di cuor non ne sia priva.

Speranze e Amori

Nella sera sboccia la malinconia;
e vaga per la via il solitario cuor,
spandendo i semi della nostalgia
sul vasto campo del perduto amor,
dove scocca l’ora senza allegria;
ed imbruna l’aria sopra il pio fior
che di sole manca, come la via
che dell’astro cerca la radiosa scia.
Piange il cuor, forse non sa del vento
che giunge e scompiglia chicchi e fiori;
lascia al suo passar solo sgomento,
sbiadiscono nell’ombra i colori;
nella sera, in un solo momento,
spariscono Speranze e Amori.

Stagioni

È meraviglia in boccio primavera
ogni germoglio si schiude alla vita
ogni colore, ogni profumo invita
ad un giorno che non conosce sera.
Ardente estate, appiani ogni barriera
frutti maturi stringi tra le dita
ogni speranza in te sarà esaudita
di gustare la vita tutta intera.
Giunge l’autunno, quasi una ferita
foglie morte cosparse sulla via
fugace un’ombra passa tra i pensieri
e il freddo inverno ti riporta a ieri
ma per chi spera non è una bugia
la Luce che intravedi ed è svanita.

SUL LIMITARE

La giovinezza se ne è andata via, tristezza non ce n’è nel ricordare, non misi mai me stesso su un altare, chissà s’è senno oppure eutanasia.
Ho litigato con l’editoria,
volendo l’insipienza schiaffeggiare, mi restano le voci del mio mare, che portano talvolta una poesia.
E quando c’è un tramonto troppo acceso, sovvengono pensieri dell’addio.
(Si sa quando è il momento di salpare.)
Ma resto ancora un po’, sul limitare, ad invocare un nume dell’oblio,
che mi perdoni un tempo male speso.

Sussurro Amore al vento

Come potevamo noi esistere là
tra guerre, morti e orfani in strada, da stranieri senza cuore,
come amare isole ignote. Raccoglievo gracili miracoli sopravvissuti alle barbarie, facendone speme e preghiera. Anima mia, sei il canto del cigno che impavido risorge,
nel sentimento che immutato resta, sotto tempeste di fuoco.
Sei l’incanto d’Amore racchiuso
in un lampo di stelle cadenti, quando nel silenzio ti trovo
in una poesia scavata nel Cuore.
Là il tuo Amore, come il sole
placa i tormenti del mio Cuore;
sussurro Amore al vento la tua poesia,
che mi consola e m’abbraccia;
là io posso ancora cantare la Vita
che se’ impigliata nell’Anima
e nei silenzi del Cuore,
per volare più in alto, oltre il dolore.
Vedrai Anima mia, verrà mattino e torneremo liberi, romperemo i fili spinati che ci imbrigliano,
e con ali nuove torneremo a volare,
nell’eterno Canto d’Amore
che ancor vivrà nel Cuore del Mondo.

Tela di parole

Nel grembo azzurro di un silenzio piano
la penna tinge cieli di zaffiro,
e l’aria prende forma nel respiro
di un monte antico, solitario e arcano.
Distendo l’oro e su di un prato è il grano,
già il vento porta i fili del papiro,
e un fiume scrivo, liquido sospiro
che danza lento in un abbraccio vano.
Poi, con parole verdi, accendo un ramo
che oscilla lieve al canto della sera,
nasce un nido tra i nodi di un ricamo.
Il verso è luce, e l’anima leggera
germoglia in quel che traccio e in ciò che siamo:
un quadro muto, eppur voce sincera.

Tramonto a Trieste

Sul golfo placido il sole si posa,
veste Trieste d’oro e di rubino,
mentre il vento sussurra un verso antico,
e il mare canta storie di confine.
Le case bianche sfumano nel rosa,
brillano i bronchi e le ortiche diffusi,
e il faro accende un fuoco peregrino,
ultima guida che il vespero coglie.
Oh, città sospesa tra colli e mare,
dove il tempo si ferma, silenzioso,
e l’anima ritrova il suo respiro.
In questa luce tutto può sognare,
il passato si fa dolce e amoroso,
e il futuro si tinge di zaffiro.

Tramonto nella stanza

Quando il silenzio accende le pareti
e il sole bussa all’angolo del letto,
risento in me parole mai dette
restare ferme, come semi quieti.
Il giorno muore piano, nei miei gesti,
che ancora vanno incontro al non detto;
raccolgo un foglio, ne faccio un progetto:
sarà domani il tempo dei contesti.
O luce bassa che ridona forme,
accarezza i miei dubbi e le promesse,
portami dove l’anima si ferma.
Non per paura, ma per gentilezza.
Fammi di nuovo alzare questa penna,
con la pazienza dolce della certezza.

Tu il futuro

Acquerello di luce il tuo sguardo fiero sul mondo
goccia di rugiada sui prati, conchiglia d’amore
sei tu donna nel tratteggio dell’alba, tremolante
accogliente. Dalla prima ferita che squarcia l’anima.
Nelle tue stanze regina, figlia ancella sorella, madre
vigile e premurosa, nel silenzio sei impasto di pane,
segno di croce, acqua fatta vino, nell’invaso dei giorni
carezza dimenticata dalla storia. Lievito madre.
Col tuo canto di tenerezza dondoli la tua creatura
fra le braccia, sempre tu la via della pace e del perdono
rattoppa questo mondo come un calzino bucato.
Va’ col tuo fardello di sogni e di mistero. Prudenza.
Sta lontana da chi ti adora e ti lacera, non fare delle ferite
vanto. Tu il futuro, seme che muore e sparge ricchezza.

TU UOMO RISORGI CON CRISTO

Con affanno porti la dura croce sull’oscura salita del Calvario
e già senti l’angoscia del sudario in un cammino sempre più atroce.
Ascolti pietoso e pio lo strazio
di tua madre che piange e prega mentre scorgi Pietro che ti rinnega e il tuo cuore di mestizia è sazio.
Di un avido divino sospiro
si spegne il tuo grido d’agonia e lo spirito muore di passione.
Però splende il sole nel ritiro
e con il cuore pieno di allegria c’è l’annuncio della resurrezione.

Uccise nel 2025

In gennaio la prima sul divano
di casa, da un colpo di pistola
del marito; avrà sognato invano
di andare via a vivere da sola
La seconda freddata dal fucile
del compagno, che era un cacciatore
di donne, e non dite che era amore
Siamo ormai all’undicesima in aprile
chiusa in una valigia, fatta a brani
La dodicesima sarà domani?
L’elenco è lungo e lascia senza fiato
Sorelle figlie amiche cittadine
vittime di una strage che avrà fine
solo quando avrà fine il patriarcato

Un Abbraccio d’Inverno

Avrei bisogno d’un abbraccio sincero, che il cuore mio dal gelo sappia sciogliere, un abbraccio che
possa ancor accogliere un sogno vero, vivido e leggero.
Basterebbe il tuo abbraccio, un pensiero, lo serberei per sempre senza togliere calore ai giorni grigi
da raccogliere, al buio della notte, al tempo nero.
Vorrei che tu restassi qui, vicino, che tu fossi per sempre accanto a me, vorrei che il mio timore
fosse vano.
Ma resto sola, preda del destino, cercando un sogno al quale dire “è te”, un abbraccio che renda
umano l’umano.

UN CUORE (A MIA MADRE)

Anche stamani, passando ti ho trovato,
un cuore, come un fiore tra le mani,
ogni volta ricordi il mio passato,
dolore, affetto, non pensar domani.
Subito mi ricordo gli occhi belli,
che vedean solo dolore e sofferenza,
il tuo sorriso come gli acquerelli,
l’abbraccio che si scioglie in accoglienza.
Mamma, col cuore sempre sei vicina,
sia di sasso, di nuvola o di cielo,
sei sempre la mia cara piccolina,
con il lenzuolo a fiori come un velo.

Un fiore maligno (Epitelioma, un tumore della bocca)

Sapesse quanto valore ha la vita! L’ho capito quando in bocca la Morte ha fatto germogliare malasorte.
Un fiore grande come una pepita.
Solo adesso ho capito la ferita: la quotidianità, era la sorte; dell’animo mio, la cassaforte. Adesso ho perso la mia partita.
E non resterò a piangere ascoso! Vivrò momenti in modo luminoso. Continuerò a cercare speranza!
Del vivere respirerò fragranza. “Conti del cespuglietto i fili d’erba…” Quanti saranno, è un cruciverba.
(Liberamente ispirato a: “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello)

Un lampo di vita

Allo specchio è sfumato un altro giorno
tra passi stanchi, orme da inseguire:
un’anima svuotata, senza dormire,
che instancabile cammina intorno.
Ma un riso lieve- un lampo di vita
risveglia dal torpore l’Io vagante
si riscuote la creatura smarrita;
un tremito- nel gioco d’un istante.
Lui ride d’aria, sogna ad ogni ora
e mi scopro- viva-nel contemplare
il continuo stupore senza dimora.
Tende rosee manine da aggrappare,
non parlo ma un brivido mi sfiora:
Forse il Mondo si può ancora Amare.

Una rosa è una rosa

Se una rosa è una rosa
poco importa se i suoi petali cadono.
È stagione. Se una rosa è una rosa
rimane una rosa.

Se un amore è un amore
non cambia colore.
Rifioriscono sempre le rose.
È stagione, non prigione

Quel che è novo è sembianza di rose,
l’ingannevole fiore.
Facili siamo a smemorare le rose.
Fatue parvenze, voce ammaliante
che mi chiami e m’incanti:

un bel giro di giostra! Uno solo.
Ti ridesti d’improvviso proprio
quando vorresti esalare l’Amore.
“Prego signori si scende!”
È illusione. È stagione

UNA VITA NON BASTA

Nella corsa del tempo
egli ci offre le
risposte che cerchiamo.
Mentre scivola inesorabilmente
ci mostra ciò che conta davvero,
come un’onda che cavalca la nostra vita.
Nel tempo di un respiro
riusciamo a dare valore
alla nostra esistenza.
La vita scorre nel
circolo del tempo: a volte spiegandoci
il suo senso, a volte senza concludere nulla.
L’oceano del tempo ci
restituisce i ricordi a cui ci
ancoriamo per schivare la vita che passa.
Inutile armarsi di orologio;
la vita è come il tempo
non dobbiamo perderne neanche un minuto.
In questo orizzonte, infinito e indefinito,
dove una vita non basta, inventiamo
un altro tempo: il tempo dell’ eternità.

UOMO

Scuotiti dall’ebbrezza, ritorna in te
volgi respiro ivi mitezza d’animo dimora
atto di redenzione divino la conoscenza di sé uomo intorpidito se non sei dritto , drizzati , ora.
Libera te stesso da te stesso , seduce
l’illusione d’esser onda quando si è oceano,
ignaro intralci la tua ombra volta a mostrarti la luce: le virtù non glorificano lo spirito , lo creano.
Il mondo è trasformazione, la vita opinione, ogni cosa ha la durata di un giorno
sia chi ricorda , sia chi è ricordato.
Il barlume divino sopito in te fa eccezione
alla fine di tutto alla fonte farà ritorno
perché non è di tuo dominio ma ti è stato donato.

Vele di pensieri

Si spiegano
le vele dei pensieri
nel vento della vita, spingono il destino
verso sentimenti nuovi. Ignoti compagni di viaggio sconosciute presenze diventano assenze
dopo tempeste di dolore. E…in fondo al viaggio, quando la vela si affloscia, finito il vento
si arena l’anima
su un’isola di ricordi
dove aspetta di volare
nel sorriso del tempo.

VESTITO BLU

Quando la guerra non ci sarà più
e i campi non saranno più minati
e solo più un ricordo i carri armati
arriverai col tuo vestito blu
e non avremo nostalgia di niente
cammineremo fieri fra la gente
nel mondo benedetto di Utopia
sarà finita ogni malinconia
in ogni volto ci sarà un sorriso
musici e ballerini in ogni piazza
la gioia e la speranza in ogni viso
ma tu dirai: son diventata pazza
ho solo immaginato un paradiso
popolato di sogni di ragazza

VIANDANTE

Stavo steso accanto a un masso erratico dove il corpo posava pellegrino
usando la mia sosta come viatico
per andare più sciolto nel cammino
col bastone poggiato alla lavanda con il capo rivolto verso il cielo speravo di affrontare questa landa il silenzio la luna ed il suo gelo.
Ma col senno del poi come potevo se siamo tutti stretti a questo nodo se ogni muro pareva non rimosso
se non c’era mai piano dopo un dosso sì che vano appariva ogni qual modo d’avvicinarmi a questo tempo coevo

XII – L’APPESO

“Brunite le api e il ventre primitivo e il nutrimento all’angolo solare, un culto d’infinito che dà abbrivo ne conta novantuno sull’altare;
un singolo risveglio è vocativo, il dito in dito evolva, l’anulare, s’anelli la regina d’oblativo, divenga l’alveare un alveare”.
Sul tripode la Pizia pronunciata teme il nome risorto del Guardiano e non è ape se il miele le è promesso,
la volontà divina è valicata: nell’alveo del mantello quotidiano, in me stesso, conoscere me stesso.